Dialogo con David Teece

David Teece, uno dei più noti studiosi al mondo nel campo del management dell’innovazione presenzierà alla celebrazione conclusiva per i 30 anni del Sant’Anna che si terrà presso l’auditorium “Rino Ricci” della Camera di Commercio di Pisa lunedì 20 novembre.

Per l’occasione la Scuola Superiore Sant’Anna ha bandito una borsa di dottorato di ricerca in suo onore.

Il Professor Teece parlerà di alcuni temi di importanza assiomatica per gli studiosi della teoria dell’impresa e del management strategico. La sua ricerca finora tradottasi in oltre 30 libri e 200 documenti scientifici, ha abbracciato temi rilevanti in materia di cambiamenti tecnologici e struttura organizzativa, politica di concorrenza e proprietà intellettuale, tematiche queste su cui la sua autorità è indiscussa. Tra i meriti più considerevoli della sua ricerca, condotta negli ultimi 30 anni, va riconosciuto il suo contributo alla teoria dell’impresa. Il professor Teece è infatti considerato il fautore della prospettiva delle capacità dinamiche, definita come “la capacità di integrare, costruire e riconfigurare le competenze interne ed esterne per affrontare ambienti in rapido cambiamento“. Secondo Science Watch (Novembre / Dicembre 2005) il suo lavoro (con Gary Pisano e Amy Shuen) “Dynamic capabilities and strategic management” è stato l’articolo più citato in economia e business nell’arco del decennio 1995-2005.

Ho avuto il piacere di intervistare il Professor Teece, dal momento che nel corso degli ultimi anni i suoi più recenti lavori sono stati oggetto di lezione e discussione con alcuni dei miei Allievi. Riporto qui di seguito i principali passaggi dell’intervista.

Alberto Di Minin (ADM): I regimi di proprietà intellettuale (IP) offrono una protezione imperfetta. Come superare questo problema?

David J. Teece (DJT): Si tratta certamente di una sfida e le aziende che riescono ad elaborare e ad implementare un modello di business creativo superano quelle che non ci riescono.

ADM: In uno dei suoi recenti lavori sostiene che l’efficacia di una strategia di proprietà intellettuale (I.P.) di un’impresa sia inevitabilmente legata al sistema giuridico dove essa opera. In Europa siamo nel bel mezzo di un dibattito sul “brevetto unico europeo”. Qual è la sua opinione al riguardo?

DJT: Probabilmente è giusto andare verso uno standard unificato per i brevetti UE, a patto di non arrivare ad uniformare verso il basso il livello di protezione. Dal momento che sono più quelli che usano I.P. piuttosto che quelli che la creano, è necessario ignorare le molte voci che vorranno portarvi verso un regime di I.P. più debole. È anche vero che una strategia I.P. non uniforme può consentire ai Paesi di differenziarsi e competere sulla base della protezione offerta. Per esempio, l’Italia potrebbe dire alle aziende straniere: “investite da noi e vi daremo una migliore protezione della proprietà intellettuale”.

ADM: Lei scrive: “La complessità della nostra economia richiede una gestione integrata della proprietà intellettuale.” È questa una sfida alla portata delle PMI?

DJT: Sì, le PMI dovrebbero essere in grado di avere un approccio integrato e coerente. Per certi versi il loro lavoro è più facile. Devono identificare una strategia di I.P. coerente con il loro modello di business, e avendo meno pezzi da allineare rispetto ad una grande organizzazione, il compito potrebbe risultare a loro più semplice.

ADM: Quanto il suo modello Profiting From Innovation (PFI) è incentrato sul contesto americano?

DJT: Neanche un po’! Il modello PFI sottolinea l’importanza dei complementi, degli standard, della protezione I.P. nonché della tempistica per l’acquisizione del valore. Sì, è necessaria la capacità di assemblare rapidamente i complementi (quella che io chiamo “orchestrazione delle risorse” nel framework delle capacità dinamiche). Questa capacità non è necessariamente Made in USA. Occorrono manager imprenditoriali, ma l’Italia ne ha molti! Certamente, potrebbe essere un problema se a livello europeo continuate ad allevare una classe di manager-burocrati.

ADM: Come applicherebbe il nesso tra strategia, struttura e ambiente aziendale al contesto italiano? Dovremmo provare a fuggire situazioni di troppa incertezza? Oppure rafforzare l’agilità dinamica delle nostre aziende?

DJT: Affrontare l’incertezza richiede forti capacità dinamiche. Non ci si può nascondere davanti all’incertezza. Bisogna affrontarla, specialmente in ambienti caratterizzati da rapidi cambiamenti tecnologici. Non c’è posto sicuro dove nascondersi! Anche i settori più regolamentati devono affrontare l’incertezza associata a possibili cambiamenti nella regolamentazione (si pensi, ad esempio, all’assistenza sanitaria negli Stati Uniti). L’unica strada da seguire è rafforzare la capacità delle imprese di percepire opportunità, appropriarsene e trasformarsi. L’efficienza tecnologica è importante, ma è una preoccupazione secondaria.

ADM: L’Italia è nota per i suoi marchi. Come collegare marchi, tecnologia e visione strategica per la crescita delle nostre imprese?

DJT: l’Italia ha grandi marchi: ma i marchi devono restare in sintonia con i mercati (il fit evolutivo è il fine ultimo). Ad esempio, le grandi maison dovrebbero eliminare dal mercato quei prodotti creati con materiali che violano i diritti degli animali, delle persone, ecc. I marchi garantiscono solo un certo grado di resilienza. I marchi consentono di non soccombere all’inesorabile pressione della commoditizzazione, ma devono essere costantemente (e attentamente) rinnovati.

ADM: La letteratura sulla sharing economy assegna all’innovazione guidata dall’utente un ruolo centrale. Lei è d’accordo?

DJT: L’innovazione guidata dall’utente è importante, ma non è più importante di altre forme di innovazione. Essa ha il vantaggio di avvenire in contesti di avanzata accettazione commerciale; ma l’innovazione guidata dall’utente non ci ha regalato l’i-Phone o la Tesla. La mia teoria sull’appropriazione del valore è un stick in the eye alla storia della free innovation di Von Hippel. Molte innovazioni richiedono ingenti investimenti in ricerca e sviluppo e, a meno che non fai in modo che tali investimenti vengano recuperati, non otterrai molto da queste innovazioni. I prodotti farmaceutici sono un esempio calzante. Lo stesso vale per il mondo telco (3G, 4G, 5G..) dove talvolta sorgono controversie sul livello di una royalty ragionevole. Come gli economisti ci ricordano, there is no such thing as a free lunch… In fin dei conti, qualcuno deve pagare, in qualche modo, qualcosa. Portare prodotti meno costosi sul mercato oggi può significare essere in grado di innovare di meno domani.

ADM: Nella revisione della teoria delle capacità dinamiche del 2014 lei assegna un ruolo centrale alla combinazione di routine organizzative e leadership imprenditoriale.

DJT: Ci vuole leadership per sviluppare capacità dinamiche. Oggi questo è reso molto difficile dai cosiddetti shareholder activists e da tutte quelle forze che spingono per ottenere più profitti & dividendi nell’immediato. Grandi amministratori delegati hanno perso il loro posto per proxy fights, nel nome del massimo profitto degli azionisti. I sistemi di governance dovrebbero favorire la ricerca del profitto di domani e non di quello di oggi. I manager con in mano grandi quote azionarie (vedi Google, Amazon, Tesla..) sono avvantaggiati rispetto agli altri per respingere queste resistenze. La separazione tra proprietà e management non è sempre un bene.

  

 

Bibliografia citata

Al-Aali, A.Y., & Teece D. J. (2013). “Towards the (strategic) management of intellectual property.” California Management Review 55 (4): 15-30.

Teece, D. J. (2014). “The foundations of enterprise performance: Dynamic and ordinary capabilities in an (economic) theory of firms”. The Academy of Management Perspectives28(4), 328-352.

Teece, D., Peteraf, M., & Leih, S. (2016). “Dynamic capabilities and organizational agility”. California Management Review58(4), 13-35.

Teece, D. J., Pisano, G., & Shuen, A. (1997). “Dynamic capabilities and strategic management”. Strategic Management Journal, 18 (7), pp. 509-533.

Teece, D. J. (2017). “Profiting from Innovation in the Digital Economy: Standards, Complementary Assets, and Business Models In the Wireless World”. Forthcoming in Research Policy.

Thomas, L. G., & D’Aveni, R. (2009). “The changing nature of competition in the US manufacturing sector, 1950—2002”. Strategic Organization7(4), 387-431.

 

 

 

 

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