Eppur si muove: numeri e idee per il sistema italiano dell’innovazione

Mi ha fatto riflettere il pezzo di ieri di Luca Tremolada per Info Data del Sole, sul nanismo delle nostre start-up innovative e più in generale sulle scarse capacità di crescere del nostro sistema innovazione.

Quella di Luca è una lucida analisi sui numeri: 8000 le aziende che in questi anni si sono registrate come start-up innovative e che dunque soddisfano le caratteristiche della legge che istituisce il registro speciale presso le camere di commercio. Meno di 300 di queste start-up fatturano più di 500 mila euro, e la mediana dei ricavi si aggira sui 30 mila euro. Si tratta in molti casi di una soluzione di auto-occupazione, più che di un progetto imprenditoriale, visto che l’86% di queste start-up rimane in una fase di definizione del proprio business plan.

Eppure…

La settimana scorsa sono stato testimone di alcuni importanti segni di vitalità del nostro sistema innovazione. In primis, come rappresentante italiano per Horizon 2020, mi sono confrontato, nell’ambito del decimo incontro organizzato insieme ad APRE, con circa 300 aziende, e 50 vincitori di un finanziamento SME Instrument. Si tratta di uno dei programmi più competitivi proposti dalla Commissione Europea. Marco Malacarne, di EASME, l’agenzia incaricata di gestire questo programma, ha sottolineato nuovamente la generosità italiana nel proporre progetti di ricerca e innovazione. Sono circa 6000 le proposte pervenute da aziende italiane tra il 2014 e il 2016. Quasi 400 quelle finanziate, che hanno portato a casa risorse per circa 90 milioni di euro. Diverse centinaia di aziende hanno superato brillantemente le valutazioni ma non sono state finanziate per mancanza di budget.

Fa bene incontrare con regolarità queste realtà. Dai loro racconti riesco ad avere idee e stimoli per interagire con la Commissione e difendere la rilevanza di progetti che propongono idee innovative “incrementali”, allineate con le esigenze del Made in Italy, ispirate delle opportunità del Researched in Italy, anche se non necessariamente “breakthrough”… come amano chiedere a Bruxelles!

Cari investitori, siete alla ricerca di innovativi progetti (già finanziati) che sappiano andare oltre al nanismo del sistema innovazione italiano? Fatevi un giro sul sito di EASME e troverete circa 3000 diverse fonti di ispirazione. Molti altri ancora ne troverete presto, visto che l’SME instrument è ora parte del programma pilota che porterà alla definizione del nuovo European Innovation Council.

Altro momento di confronto con l’ecosistema innovazione è stata la partecipazione al panel “Strategia aziendale e collaborative innovation” nell’ambito della conferenza 4T: Tech Transfer Think Tank da Jacobacci & Partners. Il convegno ha messo al centro la rilevanza di un approccio moderno e efficace al trasferimento tecnologico: all’insegna dell’idea di contemporary IP portata avanti dallo studio Jacobacci.

A farci balzare sulla sedia la testimonianza di Joe Jiang, avvocato che lavora per Kangxin, uno dei principali studi cinesi specializzati in proprietà intellettuale. Joe ci ha illustrato le caratteristiche del progetto di cooperazione tra Tsinghua University e Stanford, finalizzato alla creazione di “She Jian Tech”. Valore dell’accordo.. 500 milioni di dollari!

Il panel, coordinato da Paolo Ernesto Crippa, ha risposto ricordandoci alcuni elementi dell’ecosistema innovazione italiano. Cristiano Arrigoni, Direttore di Bergamo Sviluppo, ha evidenziato la rilevanza della formazione delle persone, ed il necessario affiancamento allo sviluppo di nuovi progetti imprenditoriali. Questa formazione può partire anche nelle scuole, anche lontano dal momento in cui un inventore diventa imprenditore.

Maurizio Rovaglio ha evidenziato le enormi possibilità rappresentate dalla sharing economy. Il ritardo italiano (ed europeo), la dominanza statunitense e cinese nella proposta di app e di piattaforme non vuol dire che sia troppo tardi per l’impresa italiana. Come valorizzare il ruolo di pro-sumers quando è la domanda a guidare l’innovazione? Molti imprenditori stanno trovando profittevoli occasioni di business nel dare risposta a questa domanda.

Claudia Miani ci ha portato la testimonianza di quello che avviene nella comunità delle dinamiche PMI dell’Emilia Romagna. La prova dell’internazionalizzazione è quella più dura e quella più utile per distinguere le aziende che riescono a fare un cambio di passo. Internazionalizzarsi non necessariamente da soli, suggerisce Claudia, che sottolinea come sempre più spesso sia utile definire percorsi di internazionalizzazione collaborativa.

Stefano Uberti, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale dell’Università degli Studi di Brescia, ci ha regalato una dettagliata testimonianza, un vero e proprio case study di trasferimento tecnologico, in cui allineamento di modelli di business, attività conto terzi, proprietà intellettuale e contributo di studenti, manager e ricercatori sono stati gli ingredienti chiave. Stefano ha messo in evidenza ciò che ha funzionato e ciò che invece poteva essere gestito meglio. Solamente grazie ad analisi come queste, oneste e lucide, che possiamo progredire e dimostrare che il trasferimento tecnologico non è una strada a senso unico, ma è un processo di co-creazione tra università e industria.

In questo dialogo, un ruolo di piattaforma lo può avere la finanza. Ruggero Recchioni, che è a capo del team di Industry Innovation all’interno dell’Innovation Center di Intesa Sanpaolo, ha evidenziato le iniziative promosse dalla sua banca per far incontrare domanda e offerta di innovazione. Così facendo un istituto finanziario può rendersi promotore di nuove opportunità di investimento e crescita.

Come andare dunque oltre al nanismo del nostro sistema innovazione e dare a Luca numeri più confortanti da commentare? Lo possiamo fare partendo dalla nostra posizione, ma superando l’attendismo che spesso lo caratterizza. Lo facciamo imparando a capire quello che siamo in grado di fare, ma anche i terreni su cui invece è necessario collaborare. Passare dalla teoria ai fatti vuol dire chiedersi se le regole ed i modelli di business con cui ci confrontiamo sono le migliori per innovare e uscire dalla nostra confort zone

Se non lo fossero? Eppur si muove!