Ai margini del roadshow sull’internazionalizzazione delle aziende italiane in Cina, ho incontrato Vincenzo De Luca, già Console d’Italia a Shanghai e oggi Direttore Generale per la Promozione del Sistema Paese del Ministero degli Esteri.
Non ti ha sorpreso l’attenzione dedicata all’Italia al Forum Tecnologia e Innovazione di Shanghai? Una mattinata insieme al Sindaco di Shanghai non capita spesso.
Mi ha sorpreso molto favorevolmente. È secondo me anche un segnale di cambio di passo in Cina. Naturalmente Shanghai rimane all’avanguardia nei processi di sviluppo rispetto al resto del paese. Lo è stata nell’evoluzione della “fabbrica Cina”, lo è oggi in questa fase di impegno politico ed economico rivolto alla scienza e la tecnologia. L’Occidente nell’ultimo periodo sta guardando alla Cina con una certa preoccupazione per la flessione del suo tasso di crescita, ma i cinesi stanno puntando moltissimo ad aumentare la competitività della loro industria. Si pongono il tema dell’industria 4.0 e investono dandosi degli obiettivi. Se si guarda agli ultimi trent’anni, quando la Cina si pone degli obiettivi tende a raggiungerli. L’Italia si è trovata a prender parte ad un evento molto significativo per Shanghai, come ospite d’onore del China Shanghai International Technology Fair. Ci siamo presentati bene, con una visione sistemica e coordinata tra istituzioni, Ministero degli Esteri, della Ricerca scientifica, dell’Ambiente. Non sono passate inosservate le numerose imprese italiane, le università e i centri di ricerca.
C’è chi sostiene che il trend cinese sia di chiusura nei confronti degli investitori internazionali. Tutto falso dunque? Ci sono dei settori più a rischio?
Ci sono ancora delle aree del mercato cinese che non sono aperte agli investimenti internazionali, come energia, infrastrutture e telecomunicazioni. Occorre però essere reattivi di fronte alla politica economica cinese e per farlo bisogna avere una solida presenza sul mercato. In questo modo, saremo in grado di intercettare la direzione che il paese sta imboccando e potremo intervenire con le nostre competenze, capacità e tecnologie.
Hai parlato a braccio poco fa davanti ad un folto gruppo di ricercatori, banche e aziende oggi presenti in Cina, dicendo che l’ingresso della Cina nel WTO è stato forse dal punto di vista economico più importante del crollo del muro di Berlino. Da quell’onda lunga sono scaturite tante cose. A me oggi ha particolarmente impressionato che l’organizzazione abbia anteposto all’intervento di un sindaco e di due ministri quello del responsabile dello State Intellectual Property Office.
E’ in linea con la nuova posizione del paese in materia. Una Cina che investe sempre di più in ricerca e tecnologie si pone anche il problema del brevetto e del diritto d’autore. Ora anche il suo capitale intellettuale rischia di essere copiato, se non viene adeguatamente tutelato. Il problema è per ora tutt’altro che risolto, ma il governo sta affrontando la questione. Noi dobbiamo incalzarlo per aumentare il sistema di controllo e di implementazione delle regole. La produzione di brevetti in Cina è aumentata, ma la traduzione di brevetti in prodotti veramente tutelati è un altro discorso.
Parlando di Europa in Cina, come ci stiamo muovendo nei confronti dei nostri partner europei? Le aziende italiane considerano le controparti europee su territorio cinese degli alleati o dei concorrenti?
Come Europa, dobbiamo lavorare di più insieme per aprire i mercati in Cina. Questo lo può fare solo l’Europa unita. Nessun paese europeo ha da solo la capacità negoziale nei confronti di Pechino per insistere sull’apertura di certi mercati cinesi. Naturalmente non bisogna dimenticare la concorrenza europea nel conquistare quote di mercato. Noi stiamo cercando di fare del nostro meglio. Siamo in difficoltà rispetto ai francesi perché non abbiamo i loro circuiti distributivi, perché non siamo stati capaci di investire sulla presentazione e la promozione dei nostri prodotti, soprattutto nel consumo di massa. Quando lo facciamo, come nel settore della moda, andiamo bene.
Michal Ron responsabile per gli investimenti internazionali di SACE Spa / SIMEST SpA ha distinto il Made in Italy dal Made by Italy. Tu nel corso del convegno hai sottolineato che l’Italia ha per certi settori un vantaggio nel vendere prodotti, ma è in difficoltà quando si tratta di creare e sviluppare nuovi mercati. Spiegami bene cosa intendi.
Per presidiare i mercati non possiamo pensare di esportare soltanto dall’Italia. Dobbiamo esportare dall’Italia solo quello che non si può produrre in Cina, dobbiamo produrre in Cina quello che è necessario per il mercato cinese. Molte di quelle aziende che lo hanno cominciato a fare stanno andando bene. Hanno tassi di crescita a doppia cifra e reinvestono sul mercato cinese perché lo presidiano. Questo sviluppo non ha significato per queste imprese ridurre la capacità occupazionale in Italia. Chi ha investito bene in Cina ha aumentato gli occupati in Italia e anche la capacità produttiva. La sfida è difendere la capacità produttiva e l’occupazione in Italia investendo in Cina. Si tratta di una prova in particolare per le PMI che spesso si trovano senza le capacità manageriali e le risorse per affrontare i mercati più lontani.
Il tuo cuore è stato a Shanghai per tanto tempo. Ora sulla tua scrivania a Roma quali dossier Paese troviamo?
Occorre ora concentrarsi sui mercati più lontani. Il baricentro si è ormai spostato ad est, è proprio in Asia dove la sfida è più difficile. Pur mantenendo gli export tra Europa e Stati Uniti, bisogna ora focalizzarsi sulla crescita in Cina e in altri paesi asiatici per noi più accessibili come dimensioni. Con il Ministro Gentiloni abbiamo realizzato numerose missioni, è stata creata l’Associazione l’Italia-ASEAN, presieduta da Enrico Letta per dare spinta al sistema delle imprese e rafforzare gli scambi con i mercati di questi paesi.
In stati dell’America Latina, come il Brasile, le barriere doganali sono talmente alte che senza una produzione in loco è impossibile competere sul mercato locale.
In Iran stiamo lavorando moltissimo, è uno dei paesi prioritari. Siamo arrivati prima degli altri e siamo stati un loro partner tradizionale; vogliamo tornare ad essere un attore importante, il primo o il secondo partner industriale europeo.
Per quanto riguarda il continente africano, nonostante la riduzione del prezzo delle materie prime, ci sono diverse aree in fase di crescita. In termini di risorse, popolazione e potenziale in capacità da sviluppare l’Africa non va sottovalutata. Per questo abbiamo realizzato un’operazione di medio-lungo termine.
Infine, anche Cuba è stata meta sia del Presidente Renzi che del Ministro Gentiloni. Non si tratta di un mercato di grandi dimensioni, ma vi abbiamo organizzato diverse missioni.
Chiudiamo questo nostro incontro con un consiglio di lettura. Che libro hai sul comodino?
Elena Ferrante, “L’amore molesto”. Mi incuriosisce il fatto che l’autrice sia passata dal quasi anonimato all’essere tradotta in decine di lingue. Vorrei capire quali sono i segreti di una scrittura che è riuscita ad affascinare mezzo mondo.