Tech Forum 2018: mappe e bussole per esplorare le nuove frontiere dell’innovazione

Quali sono le frontiere dell’innovazione? Venerdì 25 Maggio l’Unicredit Pavillon di  Milano ha ospitato la settima edizione del Technology Forum, l’appuntamento annuale organizzato da The European House Ambrosetti che coinvolge i protagonisti dell’ecosistema innovativo. L’evento, organizzato con il supporto di Enel, ABB, Agrati, Assobiotec, Cisco, Citrix e Pirelli ha visto la partecipazione di diverse esperienze italiane ed internazionali che hanno delineato un quadro sullo stato attuale, e sulle prospettive future dell’innovazione.

A distanza di qualche giorno, rimetto in ordine i miei appunti con l’aiuto di Giacomo Lazzarini, mio studente della Laurea Magistrale MAIN, che sta completando una tesi sul Corporate Venturing. Insieme identifichiamo tre spunti che ci hanno colpito.

NUOVE TECNOLOGIE AL SERVIZIO DI TUTTI

Per  Fu Xiaolan, professoressa del Dipartimento di Sviluppo Internazionale dell’Università di Oxford, siamo fortunati a vivere durante una rivoluzione industriale.  Massicci investimenti, la convergenza tra le varie tecnologie, e la possibilità di metterle a disposizione delle singole persone, sono le caratteristiche di questa quarta rivoluzione. Tra i numerosi trends tecnologici, il dibattito del Tech Forum 2018 si concentra soprattutto su 4 di essi: Robotica, Intelligenza Artificiale (AI), Quantum Computing e 5G.

Un tema centrale della discussione è stata la convergenza tra queste diverse tecnologie, come nel caso del  5G ed i nuovi sistemi di comunicazione,  che potranno essere la chiave per lo sviluppo della Cloud Robotics,  per  la diffusione della robotica grazie alla collettivizzazione dell’intelligenza, e alla possibilità di trasferire il sapere da una macchina all’altra. In quest’ottica Maria Chiara Carrozza, professoressa  di Bioingegneria industriale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, si chiede se sia la robotica che dà un corpo all’AI  o sia il machine learning che dà una intelligenza al corpo del robot.

È la stessa Carrozza, come moderatrice della tavola rotonda, ad introdurre  un altro tema fondamentale: quello della personal robotics, una promettente applicazione della robotica, grazie alla quale le tecnologie industriali  potranno essere utilizzate  anche da parte di  operatori non qualificati. L’esempio è quello di una signora che prepara una torta insieme al suo robot. Un tema per nulla scontato e legato a doppio filo con questioni come la  socializzazione, la cyber security ed il replacement di molti posti di lavoro.

E proprio YuMi, robot della ABB, è stato uno dei protagonisti della giornata. Presentato da Mario Corsi , country managing director di ABB Italy, YuMi è un altro passo verso la personal robotics,  verso un mondo in cui i robot potranno relazionarsi in piena sicurezza con le persone, anche al di fuori dell’ambiente controllato della fabbrica .

Sviluppo e convergenza tra robotica, intelligenza artificiale, quantum computing e 5G  dovrebbero essere al vertice dell’agenda per tutti i paesi che vogliono avere un ruolo centrale nel prossimo futuro.

La Cina ha già iniziato a lavorare in questa direzione, investendo una quantità significativa di risorse e sviluppando programmi tecnologici specifici. Come spiega Valerio De Molli,  Managing Partner & CEO di  The European House – Ambrosetti, solo nel campo del  quantum computing, la Cina sta investendo 10 Miliardi  di dollari. La Francia di Macron ha presentato in aprile, la “strategia francese per l’intelligenza artificiale”, un piano di investimenti in ricerca e sviluppo  pari a 1,5 miliardi di Euro, volto a favorire l’innovazione nell’ambito dell’intelligenza artificiale. L’Italia? Diversi i dubbi emersi nel corso del forum sulla capacità del nostro Paese di rincorrere questa frontiera, ma non sono mancati gli spunti di ottimismo: siamo ad esempio l’unico paese in Europa che sta facendo avanzate sperimentazioni nel campo del 5G.

OPEN NATIONAL INNOVATION SYSTEMS (ONIS):

Il Golden Gate Bridge di San Francisco rappresentava  fino a ieri la frontiera più avanzata dell’innovazione.  Oggi  questa prospettiva va rivista. Il nuovo corso della politica americana, con lo slogan “America First”,  sta gradualmente riducendo l’impegno internazionale rispetto al passato:  di queste scelte parla con preoccupazione Gianluca Galletto, che lotta con tenacia per affermare il ruolo della sua New York City come una delle capitali mondiali dell’innovazione.

Nel frattempo, la Cina sta cercando di  affermarsi  come un nuova  superpotenza internazionale, capace di sviluppare programmi tecnologici avanzati. Il gigante asiatico  vuole realizzare il sogno di “diventare una nazione pienamente sviluppata, ricca e potente”. Infatti, come spiegato dalle parole del presidente Xi Jinping, l’obiettivo è quello di essere più vicini al centro del mondo abbandonando una posizione di isolazionismo e cercando di scrivere una storia di globalizzazione con le caratteristiche cinesi.  Ma anche altre nazioni, come gli stati del sud-est asiatico, l’India e Israele, stanno rivendicando una nuova centralità.

Come muoversi in questo mondo  multilaterale e caratterizzato da esponenziali cambiamenti tecnologici? Diventa sempre più importante collaborare a livello internazionale. Per  questo oggi diversi contributi al Tech Forum hanno sottolineato la centralità di un  “Open National Innovation System (ONIS)”. Aprirsi a conoscenze, risorse e mercati lontani può favorire l’innovazione interna di un sistema paese. Un esempio lampante viene dalla constatazione che più della metà della ricerca scientifica cinese è prodotta da collaborazioni internazionali. Collaborazioni ricercate da aziende come la Pirelli, come sottolinea il capo dell’R&D, Marco Spinetto.

Così come la Cina, anche l’India ha fatto passi da gigante negli ultimi anni.  Questo paese potrà  avere per  la prima volta un ruolo centrale nella quarta  rivoluzione  industriale, ne sono convinti sia Sam Pitroda, già Consigliere nel governo di Rajiv Gandhi, che Utkarsh Amitabh, giovane e talentuoso fondatore di Network Capital. L’India può puntare con coraggio su tecnologie come la  robotica e l’intelligenza artificiale. Ma per raggiungere questo obiettivo sarà necessario  un processo di democratizzazione  e diffusione  della conoscenza anche all’interno del paese.

La collaborazione a livello internazionale è importante soprattutto per uno stato piccolo come Israele. In questa direzione vanno numerosi progetti come Yalla10, presentato da Erel N. Margalit, uno dei principali Venture Capitalist israeliani, che si pone l’obiettivo di aprire la via alla collaborazione nel Mediterraneo, anche con i paesi arabi, grazie all’imprenditorialità e all’innovazione. Altri esempi consistono sia nella creazione di poli tecnologici specializzati  all’interno del paese sia  di Hub israeliani internazionali. Tutto ciò  per diffondere conoscenze e benessere nelle  aree più povere, come nel caso del Food-Tech Hub in Galilea ed allo stesso tempo per dare visibilità a livello internazionale alle startup israeliane grazie ad Hub in Asia, America, ed anche in Europa.

Qual è il ruolo del Vecchio Continente in questo mondo multilaterale?  Se in passato i paesi europei si sono mossi in ordine  sparso, trovando solo alcuni punti di contatto come nel caso del programma Horizon2020, oggi la sfida  è forse quella di trovare  un terzo modello, distinto da quello asiatico e americano, un modello che si basi sull’idea di realizzare la società più competitiva e inclusiva del mondo.

Una sfida anche per l’Italia, dove continua ad essere fondamentale ribadire i vantaggi di un ecosistema aperto che investe in ricerca e sviluppo di nuove tecnologie  e che sa imbastire collaborazioni internazionali.

CVC E RETI DI IMPRESA

Così come per gli stati, anche per le singole aziende è utile aprirsi e collaborare con l’esterno.  In questo contesto di innovazione aperta, le startup rappresentano un’importante opportunità per un’azienda consolidata. La startup o PMI ha la possibilità di crescere grazie al network, al capitale finanziario e al mentorship della grande azienda, quest’ultima ottiene invece visibilità su trend emergenti e tecnologie non direttamente presidiate, oltre che la possibilità di esporsi con una cultura organizzativa più “lean”.

In quest’ottica uno  degli strumenti più interessanti per le aziende dotate di grandi budget è la creazione di un fondo di Corporate Venture Capital (CVC) con cui un’azienda investe in startup in cambio di equity: una tipologia di venture capital guidata da motivazioni industriali oltre che finanziarie.

Proprio per questa complementarietà e reciproco scambio di valore, l’attività del Corporate Venture Capital è in costante crescita negli ultimi anni e il 2017 è stato un anno record a livello globale.  Nel solo 2017, secondo CB Insights, sono stati conclusi 1.791 contratti da fondi di CVC, che rappresentano un totale di $ 31,2 miliardi di capitale investito. Gli investimenti di CVC sono in aumento rispetto al totale degli accordi di VC: hanno rappresentato il 16% nel 2013, sono ora il 20% e si prevede che cresceranno fino  al 35% del mercato entro il 2025. Moltissimi anche gli investimenti in cui fondi CVC investono in aziende che hanno già beneficiato di un intervento VC.

Mentre il fenomeno è abbastanza diffuso negli Stati Uniti e in Europa, in Italia sono poche le grandi aziende che hanno creato una vera e propria unità di Corporate Venturing. Alcune realtà hanno istituito fondi e divisioni che investono in startup e/o creano  collaborazioni strategiche con aziende giovani e promettenti: Fabio Tentori ha portato al Forum il caso Enel Innovation Hubs, di cui abbiamo già scritto su questo blog.

Nel 2017, AIFI ha monitorato 21 società italiane e calcolato investimenti che ammontano a 60 milioni di euro. Una cifra irrilevante se confrontata  con altri paesi sia in Europa che nel mondo, ma che rappresenta una quota significativa (29%) degli investimenti totali nelle startup in Italia per tutto il 2017 (€ 208 milioni). Secondo De Molli i problemi derivano  dalle dimensioni medio-piccole tipiche delle  imprese italiane e dalla poca propensione all’apertura e alla  collaborazione tra le imprese stesse.

Un primo, importante, passo potrebbe essere la creazione di un fondo di CVC che coinvolge più società italiane. La proposta, irta di difficoltà ma affascinante, è stata  ripresa  da più relatori. Creare una rete di imprese dovrebbe innanzitutto mettere insieme le risorse necessarie, ma è evidente che la dimensione finanziaria è solo uno degli aspetti da considerare. “Potremmo anche immaginare un sistema di filiera che possa realizzare un CVC di reti di imprese, un’idea innovativa poco sperimentata nel mondo ma alla portata dell’Italia”, sostiene sempre De Molli.

Dello stesso parere anche Stefan Gabriel, già presidente di 3M New Ventures e moderatore della tavola rotonda dedicata al CVC, che propone una dimensione minima di fondo da 50 milioni, da realizzarsi anche tramite una configurazione MultiCorporateVenture Fund o Cluster Venturing, modelli già noti in Germania.

In Italia, stiamo vivendo un momento denso di opportunità, sottolinea Agostino Santoni, CEO di Cisco Italy, anche perché: “il nostro è un paese sotto capitalizzato, ma ricco di talenti, di idee e di creatività”. Ed allora per tutti questi motivi, il CVC, ed in particolare il Multi-CVC può rappresentare una strada da considerare per l’innovazione in Italia.

In sintesi: mappe e bussole per territori da esplorare

Quali sono le nuove frontiere dell’innovazione? La quarta rivoluzione industriale  è oggi caratterizzata dalla convergenza tra varie tecnologie, ma soprattutto dal ripensamento delle mappe su cui investitori e innovatori tracciavano le loro rotte di sviluppo. Siamo difronte ad una nuova geografia dell’innovazione che abbraccia tutto il globo, e che porterà sia al rafforzamento di alcuni degli hub esistenti che alla ritrovata centralità di aree del pianeta segnalate fino a ieri  con la scritta Hic sunt Leones et Imitatores.  Queste dinamiche portano allo sviluppo di piattaforme globali interconnesse e multilaterali: chi non sa giocare questo gioco, o chi per scelta strategica deciderà di toccar blu e non giocar più.. pagherà pegno.

Dando appuntamento al prossimo Technology Forum, Valerio De Molli cita Pasteur:  “La scienza non ha patria, perché la conoscenza è patrimonio dell’umanità, la fiaccola che illumina il mondo.” Ai nostri scienziati e imprenditori il compito di essere protagonisti, di aggiornare le mappe e dotarsi degli strumenti di navigazione appropriati per affrontare questa avventura.

Di Alberto Di Minin e Giacomo Lazzarini