La Scuola: prerequisito per una cittadinanza attiva, fondamento e specchio della società. La sua rilevanza strategica è indiscutibile, ma a volte sembra essere dimenticata. Può la crisi in corso, scaturita dalla pandemia di Covid-19, influenzare le tendenze in atto negli ultimi anni nel mondo della scuola?
Ci aiuta a leggere i particolari tempi attuali e riflettere sul futuro Licia Cianfriglia, dirigente scolastico, vicepresidente di CIDA – rappresentanza sindacale per la dirigenza e le alte professionalità di tutti i settori socio-produttivi – e membro del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), organo che svolge compiti di supporto tecnico-scientifico per l’esercizio delle funzioni di governo. Licia ha messo a disposizione la sua esperienza e condiviso le sue riflessioni durante una delle Innovation Restart Chats organizzate nell’ambito del Master MIND della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Nel semestre appena concluso, come hanno risposto le scuole, gli insegnanti, le famiglie, gli studenti alla pandemia, rispetto alle risorse disponibili?
“C’è stata una reazione immediata, specialmente da parte di quella frazione di scuole che già avevano avviato delle attività di didattica integrativa aumentata dalle tecnologie, che si erano dotate di sistemi di didattica online, e che quindi avevano già degli strumenti e delle competenze per poter trasferire tutta l’attività didattica dalle aule reali alle classi virtuali in pochi giorni”. La capacità di fronteggiare l’emergenza da parte di una fetta delle scuole si è scontrata però con la realtà di quante non lo sono state fin dal primo momento. Non si può negare che ciò ha avuto un impatto significativo sulla società, come dimostrato dall’aumento dei fenomeni dell’abbandono della scuola, di dispersione e mancata inclusività. Serve un intervento efficace da parte delle istituzioni di governo.
La crisi come occasione di cambiamento?
Da un lato, il periodo storico che stiamo vivendo rende più difficile la situazione del mondo della Scuola, aggravando vecchi problemi. Uno per tutti: il patrimonio edilizio. Un problema che ha radici lontane nel tempo e che richiede, tra gli altri fattori, tempo, snellimento della burocrazia e coordinamento tra molteplici attori affinché possa essere risolto, ma che si conferma una sfida prioritaria per garantire l’operatività della scuola in condizioni di sicurezza. Questo rende ancora più importante un intervento chiaro ed efficace del governo per gestire la riapertura delle scuole.
D’altro canto, la crisi può aiutare a ridefinire le priorità di intervento, divenendo volano di cambiamento e occasione per compiere un “grande salto in avanti”. “Questa occasione della pandemia ci mette sotto gli occhi, in maniera chiara e senza che nessuno si possa sottrarre, quali sono i veri problemi della scuola” e, prosegue Licia, “mi auguro possa convincere il decisore politico e anche l’opinione pubblica di invertire la rotta ed investire davvero nel sistema dell’istruzione del nostro Paese”.
Una inversione di rotta. Un cambiamento di rotta importante riguarda il modo di concepire la scuola, l’insegnamento e l’insegnante. La scuola non può essere considerata unicamente come un luogo dove realizzare una semplice trasmissione di conoscenze. Come si osserva nel mondo universitario, anche nel mondo scolastico vi è da tempo la necessità di costruire momenti di apprendimento dinamici, interattivi, che forniscano stimoli oltre che nozioni.
A questo si aggiunge un ripensamento dei percorsi formativi volto a privilegiare l’interdisciplinarietà. “Vediamo il sapere per compartimenti stagni. E in questo disorientiamo i ragazzi perché la realtà non va per compartimenti stagni, la realtà è complessa”. Si rende pertanto necessario riuscire ad “abituare gli insegnanti a lavorare più in team, e quindi capovolgere anche i curricula scolastici in modo tale che non siano più organizzati per discipline, ma organizzati secondo grossi nodi concettuali problematici affrontati in prospettiva pluridisciplinare”.
L’efficacia della didattica deve essere incrementata e a questo fine serve investire sul capitale umano.
Gli insegnanti e il capitale umano. “Il capitale umano è la vera forza da cui può ripartire il nostro paese. (…). Se noi siamo convinti di questo, questo momento terribile lo possiamo far diventare una opportunità incredibile”. Il capitale umano si forma a partire dalla Scuola. E a sua volta, chi lavora nella Scuola, necessita di formazione adeguata. È opportuno “fare un investimento serio sulle risorse umane a cui affidiamo la formazione dei nostri ragazzi”, prestando attenzione alla formazione, al reclutamento, al monitoraggio e all’incentivazione del personale, avendo finalmente anche il coraggio di introdurre una seria valutazione dei risultati. La gestione delle risorse umane diviene un nodo cruciale per una buona gestione della Scuola. In primo luogo, serve investire sulla formazione universitaria degli insegnanti, che necessitano anche di competenze pedagogiche: “Un conto è essere esperto e un conto è essere docente”. Le scuole di specializzazione sono state un esperimento importante in questa direzione ma bisogna proseguire. Inoltre, la formazione del personale deve continuare anche dopo l’assunzione, attraverso percorsi continuativi e obbligatori, che siano in grado di stare al passo coi tempi, prevedendo l’utilizzo di nuovi strumenti digitali e metodologie. Il reclutamento del personale deve poi rispondere a logiche meritocratiche e di sintonia tra scuola e insegnante. Infine, il mondo della scuola dovrebbe ispirarsi al mondo aziendale ed imparare a definire e monitorare il raggiungimento degli obiettivi, e incentivare gli insegnanti. Le buone pratiche meritano di essere premiate e per questo è necessario irrobustire le competenze dei dirigenti scolastici e le leve di gestione nella loro disponibilità.
Tanti spunti interessanti emergono dalla chiacchierata con Licia e alcune considerazioni, in particolare, ci sembrano suggerire fattori chiave per supportare la Scuola in questo percorso di cambiamento, per fronteggiare la crisi in atto e per rispondere al più generale ritardo della Scuola italiana nei ranking internazionali.
Servono autonomia scolastica e flessibilità. Ciascuna scuola deve “poter decidere autonomamente quali percorsi adottare per rendere più efficiente il proprio percorso formativo”. L’autonomia scolastica serve, ad esempio, per poter gestire il problema annoso della gestione delle risorse umane, per poter riconoscere flessibilità e adattabilità al contesto. E per supportare il lavoro dei dirigenti, è auspicabile una organizzazione strutturale differente, con “un livello intermedio di collaborazione con il dirigente a cui affidare e delegare dei compiti” che sia stabilmente inquadrato nell’organizzazione.
Servono contaminazione e dialogo. Il cambiamento può essere guidato dallo scambio di opinioni ed esperienze e dalla collaborazione tra università, scuole, aziende ed esperti, anche a livello internazionale. “Credo molto nella contaminazione e nel contatto con altre esperienze, che non possono essere replicate così come sono nel nostro contesto ma possono dare dei grandi spunti”. Ispirarsi dagli altri modelli per trovare una “via italiana”.
Serve indipendenza. È necessario che a capo del mondo scolastico nazionale vi sia un ministro espressione del mondo politico? “Sarebbe necessario difendere l’indipendenza della dirigenza del paese dalla politica, in tutti i settori”. Soprattutto se la politica è “precaria” e non assicura continuità. I continui mutamenti politici e il frenetico susseguirsi di ministri ostacolano stabilità e continuità di politiche e processi.
Ed infine, ma non per importanza, serve ottimismo per lanciarsi verso il cambiamento.
Di Alberto Di Minin e Sara Giovanna Mauro