Nel suo intervento all’inaugurazione dell’anno accademico 2025/2026 della Scuola Superiore Sant’Anna, Benedetto Vigna, Amministratore Delegato di Ferrari, ha fatto qualcosa di raro: ha parlato di leadership senza ricorrere ai soliti slogan aziendali. Ha parlato del tempo, della fragilità del potere, del valore della lentezza, della necessità di saper ascoltare. E soprattutto ha ricordato che il leader non è mai solo, non deve esserlo, e quando lo è – quando si trincera nell’isolamento gerarchico – smette di guidare.
Vigna apre il suo intervento con un omaggio a Pisa, dove è arrivato come studente universitario e dove, nel 1993, ha conseguito la laurea in Fisica Subnucleare. Nel ribadire che sarà sempre grato alla città della Torre Pendente ha anche ripercorso piccoli stralci della sua storia a cominciare dal rapporto personale con questo luogo che gli ha lasciato in eredità cinque insegnamenti: non bisogna perder tempo, non bisogna mai mollare, sviluppare pensiero critico è – oggi più che mai – fondamentale, come lo è stare insieme agli altri e amare lo studio per esplorare terreni nuovi e alimentare sogni futuri.
Vigna affronta poi un tema cruciale: l’idea distorta che il leader debba “sapere tutto”, controllare tutto, presiedere ogni dettaglio. Il suo discorso inizia con la volontà di sfatare quel mito che, nell’immaginario collettivo, porta a pensare che il leader è solo. “Quando una persona lavora bene – spiega – con gli altri e li ascolta non è mai solo!”
E subito vira verso il primo grande tema, il valore più importante che abbiamo: il tempo. Viviamo – dice – in un contesto dominato dalla comunicazione istantanea, che ci spinge verso scorciatoie razionali, decisioni semplificate, perdita progressiva del pensiero critico.
La nostra mente non è fatta per il multitasking, per decisioni semplicistiche, per la reattività continua, per la bulimia informativa: ha bisogno di tempo lento, di elogiare l’ozio, di riflessione profonda, di quella “parte franca” del pensiero che si allena poco perché nessuno la richiede. È qui che la leadership comincia: nell’allenamento della propria lucidità, non nella velocità della risposta.
Oggi – afferma Vigna – siamo inondati di Intelligenza Artificiale che ci induce a voler controllare troppo la realtà. Noi dobbiamo usare questo strumento, non farci manipolare da esso. “Ed è la leadership che ti deve dare la bussola, è la leadership che deve darti uno strumento per trovare la direzione in un contesto che ci fa sentire smarriti nella falsa convinzione di poter controllare tutto.”
Questo bisogno di controllo nasce spesso da insicurezza, incertezza, non certo da competenza. E produce tre errori ricorrenti nella gestione del potere:
- credere che il potere sia un attributo personale;
- esercitarlo come se fosse un diritto;
- usarlo per alimentare il proprio ego.
L’antidoto? Un antico precetto aristotelico: il dominio di sé – enkrateia.
Solo chi sa governare sé stesso può governare altri. E solo chi mantiene questa disciplina interiore può dare una direzione nei momenti di incertezza.
Un leader secondo Vigna si riconosce dalla frequente ricorrenza nel suo parlare di cinque espressioni tanto semplici quanto impattanti:
- “Grazie.”
- “Scusami.”
- “Non lo so.”
- “Proviamo.”
- “È colpa mia.”
Sono parole semplici, ma rivelano una postura mentale: umiltà, coraggio, assunzione di responsabilità, apertura all’errore. “Grazie” e “bravi” sono due parole che il vero leader sa dire. Troppe persone, invece, fanno ancora tanta fatica a pronunciarle al pari di “Non lo so”. Chi non sa dire queste parole – suggerisce Vigna – difficilmente guiderà qualcuno, per quanto brillante possa essere il suo curriculum.
Per spiegare una differenza che nelle aziende genera spesso confusione, Vigna usa una metafora efficace:
- Il gestore che non vuole essere leader è un termometro: misura ciò che accade.
- Il leader è un termostato: legge la situazione e modifica la realtà.
Agisce, non reagisce. Interpreta, non subisce. E, soprattutto, non si isola. Il vero leader non è solo quando ha delle persone vicino, di cui sa potersi fidare, che gli dicono ciò che fa bene ma anche ciò che fa male. Non degli adulatori. Il leader vero non chiede di chi è la colpa, semmai è colui che spinge ad osare, sognare e a rimediare costruttivamente facendo meglio laddove qualcosa è andato storto. Se le persone non condividono l’obiettivo di quello che stanno facendo, allora il leader è isolato e non solo perde energie ma anche non si diverte più. Il leader solo è un po’ come un Re nella sua torre d’avorio con lo scettro. Il leader non solo è come il capitano di una squadra di calcio: mette energia, tempo ed entusiasmo e li dedica agli altri perché vive insieme agli altri.
L’elisoccorso della leadership. All’inizio della carriera, racconta Vigna, si lavora “a terra”: ci si sporca le mani, si conoscono le persone, si vedono i dettagli. Con il tempo, salendo nella gerarchia, si tende a guardare il mondo “dall’alto”: si osservano i processi, si prendono decisioni strategiche, si rischia però di perdere il contatto con la realtà minuta. E infatti ci sono due diversi modi di salire e affermarsi come leader. Con un’immagine molto potente Vigna distingue il comportamento del leader-satellite e del leader-elicottero. Il satellite, dopo aver messo tante energie e lavorato per salire in alto, raggiunge la sua quota e si ferma. Dimentica un po’ il senso e il contatto con la realtà. Una volta messo in orbita il satellite sta lì incontrastato, a costo nullo. Non perde più energia. E il leader-satellite sta lì, si trova da solo come un satellite che assolve al suo compito ma con grande distanza, dando la sua posizione per scontata. Dal lato opposto c’è invece il leader-elicottero che deve sia salire che scendere e si trova costantemente a bilanciare le energie per restare in quota, per scendere e salire. Il leader- elicottero acquisisce visione, ma è in grado di scendere e capire quello che succede per poi risalire. Non sta isolato in orbita, bensì osserva, interviene cambiando altitudine, quando necessario atterra. Sebbene queste due metafore stiano a rappresentare due stili di leadership molto diversi tra loro, per ogni leader il rischio di rimanere in quota troppo a lungo è una costante. Il leader tende a sviluppare un falso senso di urgenza, dove l’unico elemento da preservare è la sua posizione. Qualunque leader rischia di smettere di ascoltare e di vivere immerso in una rappresentazione della realtà filtrata e autoreferenziale. Chiunque abbia assunto degli incarichi di responsabilità deve anche sviluppare gli anticorpi per evitare di di cadere in questa trappola e capire quando è il momento di cedere il passo.
La rete: perché il leader non è mai solo. Altro concetto centrale dell’intervento è quello della rete. Una squadra non è solo un insieme di persone: è l’intreccio dei loro legami. E la forza di un team non cresce in modo lineare con il numero dei suoi membri, ma attraverso la qualità delle connessioni. Un leader non sta al centro come un solista: abilita i legami, facilita la circolazione delle informazioni, crea fiducia.
Non a caso, per Vigna, il leader guarda dentro l’organizzazione, ma soprattutto fuori: all’ecosistema, ai segnali deboli, a ciò che stiamo trascurando perché filtrato da algoritmi, vicinanze comode o pregiudizi cognitivi.
Errori, scomodità e metodo scientifico. Un altro punto forte di questo interessante discorso riguarda il rapporto con l’errore. Un’organizzazione matura è quella in cui le persone non hanno paura di dire ciò che non va. Vigna cita il metodo scientifico come modello: rigore sui dati, apertura al dubbio, disponibilità a correggersi in base all’evidenza. Da fisico, dice di essersi sempre affidato alla pratica del confronto aperto. E aggiunge: un leader è tale quando costruisce un ambiente in cui gli altri si sentono autorizzati a dissentire.
Gli allievi e allieve della Scuola Superiore Sant’Anna hanno chiesto a Vigna se, in questo contesto dominato dall’intelligenza artificiale, abbia ancora senso specializzarsi in una singola materia. Oppore se non fosse diventato preferibile sviluppare una conoscenza multidisciplinare più ampia. Vigna sottolinea innanzitutto la rilevanza del pensiero e della cultura umanistica, come fonte di ispirazione e pozzo di competenza, indipendentemente da qualunque forma di intelligenza artificiale. Ma per rispondere alla domanda, ricorda una favola di Archiloco con protagonisti un riccio e una volpe. “La volpe ne sa tante.. il riccio una ma importante” è la morale della storia. Il riccio è uno che conosce una materia sola, ma nei minimi dettagli. La volpe, invece, sa un pochino di tutto senza essere uno specialista. Jim Collins, studioso e consulente americano, nel suo libro “From Good to Great” scriveva che ad un certo punto, per crescere, l’azienda “volpe” deve evolversi in azienda “riccio”. In realtà, Vigna sottolinea che ogni istituzione abbia bisogno di entrambe le figure. Il riccio non è più o meno importante della volpe in un contesto lavorativo. Ogni individuo, quindi, deve riconoscere e seguire le proprie predisposizioni e passioni per diventare o volpe o riccio, pronto comunque ad evolvere, cambiare, modificare strategia. Si tratta di un processo dinamico, guidato dall’intelligenza… ma quella naturale, non quella artificiale.
Di Alberto Di Minin e Francesca Franceschi