Interfaccia è stata la parola chiave in comune alle quattro presentazioni proposte quest’anno nell’ambito dell’Anteprima del Forum di Cernobbio, organizzato da The European House Ambrosetti.
L’Anteprima è stata moderata da Gianluca Consonni, partner Ambrosetti, responsabile dei servizi di Aggiornamento per l’Alta Direzione. Di fronte a un nutrito e selezionato gruppo di manager delle principali aziende italiane, ha parlato di interfacce tra uomo e robot Hiroshi Ishiguro, Distinguished Professor dell’Osaka University. “Le interfacce più desiderabili per un uomo hanno caratteristiche umane”, ha sottolineato il professore e dunque il futuro della robotica sta proprio nello studio di una interazione tra uomo e macchina sempre più simile all’interazione tra due individui in carne ed ossa. Tutto ciò richiede uno sviluppo in parallelo di scienza ed ingegneria: scienziati ed ingegneri devono fornirci strumenti per comprendere l’uomo ancora prima di identificare le traiettorie di sviluppo di macchine e di robot. Comprendere l’uomo, i suoi meccanismi di funzionamento e di interazione è il primo passo per costruire delle interfacce adeguate tra umano e robot.
Henry Chesbrough, dell’Università di Berkeley, California, che 15 anni fa ha coniato il termine “Open Innovation” ha parlato di interfacce tra aziende, in un contesto di innovazione collaborativa. L’innovazione è ormai diventata una veloce staffetta, dove il passaggio di testimone da una mano all’altra, da un centro di ricerca ad un’impresa, da una start-up ad una grande multinazionale caratterizza sempre di più il percorso dall’idea al mercato. Gestire questo processo è complesso, richiede una strategia di open innovation e non solo una propensione all’open innovation. Al centro anche in questo fenomeno ci sono le persone e le loro competenze. Sempre maggiore sarà la domanda di professionisti “T-Shaped” sottolinea Chesbrough: manager, ricercatori, imprenditori particolarmente competenti nel loro ambito di specializzazione, ma anche in grado di abbracciare/di comprendere e di cogliere le opportunità di collaborazione con altri esperti e altri contesti. Modelli di business, diritti di proprietà intellettuale, percorsi di acqui-hiring: ecco le interfacce più interessanti tra le aziende che navigano le complesse acque dell’Open Innovation.
In che contesto avviene tutto ciò? In un contesto in cui a volte la classe dirigente corre il rischio di non interfacciarsi con la realtà dei fatti, con la crudezza e la purezza dei numeri che caratterizzano la nostra economia.
A livello globale, questa disaffezione per la realtà dei fatti è stata dimostrata dall’intervento di Niall Ferguson che ha evidenziato, con la consueta efficienza e semplicità, quali sono i numeri dell’economia globale, ed in particolare di “Chimerica”: la somma dell’economia americana e cinese, in costante crescita, con un peso ormai superiore a un terzo dell’economia globale. Vista la rilevanza di Cina e USA, ogni piccola frizione tra questi due giganti ha ripercussioni enormi su tutti noi. Pericolosissimo ignorare gli effetti domino in questa economia globale così interconnessa. Due le questioni sul tappeto al centro dell’intervento di Ferguson che rischiano di rimanere ignorate a fronte delle tante “emergenze” che ci troviamo ad affrontare. Il primo è la presenza cinese in Africa, i massicci investimenti in infrastrutture e piattaforme che potrebbero profondamente disegnare nuove regole del gioco in questo continente così fragile e così importante. Il secondo tema è legato al sistema finanziario. A dieci anni di distanza della più grande crisi finanziaria dal dopoguerra ad oggi, tanti dei fondamentali che caratterizzavano le istituzioni bancarie e i mercati a livello globale non sono cambiati. Tanti dei nodi che hanno causato la crisi e sono stati alla base del meccanismo di contagio non sono stati affrontati.
Interfacciarsi con la realtà, con i veri problemi e con i numeri dell’economia è stato anche il messaggio di Nouriel Roubini, della New York University, uno dei primi economisti al mondo a predire più di un decennio fa l’avvento della grande crisi del sistema finanziario. Solo che questa volta il Professore ha somministrato la sua amara medicina all’Italia. Per 15 minuti ci ha proposto i dati e le dimensioni per comprendere quali siano veramente i nostri problemi e quali i nostri realistici margini di manovra. La sensazione, ascoltando il Prof. Roubini, è che ciò di cui lui ha parlato a braccio debba essere l’ABC di ogni dibattito di politica industriale in questo Paese. Invece, il messaggio del Professore è stato che la stessa disaffezione ai fatti, le stesse decisioni basate più sulle emozioni che sulla nuda e cruda realtà dei fatti, di cui Ferguson ha parlato a livello globale, siano dinamiche che stanno prendendo sempre di più piede in Italia.
Riuscirà la nostra classe dirigente a crearsi una base di consenso che si interfaccia con la realtà e non con l’illusione?
Ecco il dubbio con cui ci siamo salutati.
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