Continua la terza edizione del corso China Issues che si tiene presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Lunedì 10 febbraio interviene sul tema de La Cina e l’occidente, sfide etiche e scenari di decoupling Francesco Silvestri, Acting Director for China di TOChina Hub e Docente di politiche pubbliche presso la School of International Relations and Diplomacy della Beijing Foreign Studies University.
Perché la tecnologia è diventata oggi un tema sicurezza nazionale?
In qualche modo lo è già da tempo. La tecnologia, in particolare i sistemi IT più avanzati, comandano ormai da molti anni gran parte delle infrastrutture critiche di un paese: dai trasporti, al sistema finanziario, al traffico aereo, all’energia, ecc. La possibilità di compromettere, attaccare od ottenere il controllo remoto di tali infrastrutture fa sì che questi ambiti siano a pieno titolo punti centrali del discorso e dell’azione dei governi sul tema della sicurezza nazionale e internazionale. Tuttavia, oggi, il rischio legato alla sicurezza presenta un profilo più complesso. Con il dominio del digitale su quasi tutti gli ambiti della vita pubblica e privata, le aree di vulnerabilità sono aumentate in maniera significativa andando a coinvolgere lo scambio di informazioni, i dati degli individui, i segreti industriali e commerciali e così via. Con l’imminente rivoluzione del 5G, dell’Internet delle Cose e dell’Edge Computing, questa vulnerabilità non farà che aumentare ulteriormente: moltissimi oggetti che sono parte integrante della nostra vita quotidiana saranno connessi in rete, dai veicoli, agli smartphone e smartwatch, agli elettrodomestici, a moltissime altre tipologie di sensori.
Che cos’è il decoupling? è una prospettiva reale o soltanto un “falso mito”?
Mi sembra che il decoupling sia una prospettiva piuttosto concreta, ma naturalmente il grado di avanzamento di questo processo dipende dai settori. Per quanto riguarda internet e la sfera digitale il decoupling è già avvenuto. Ci basti osservare che circa il 20% di utenti online a livello globale (i cinesi) sono tagliati fuori dai principali social media (americani, ma di diffusione mondiale) e vivono in un mondo digitale completamente diverso dal nostro. Entro i confini di questo “intranet” sono ormai emersi nuovi modelli di business, di pagamento, di consumo, di interazione sociale, di mobilità e logistica, che hanno cambiato il modo di concepire gli spazi fisici e virtuali. Per certi versi dunque il decoupling è già qui.
Oggi questo trend sembra destinato ad accentuarsi; dalla sfera prettamente digitale si sta espandendo alle value chain tecnologiche a causa delle restrizioni sulle esportazioni da parte degli USA e alle risposte dei cinesi (che hanno disposto la rimozione di tutti i dispositivi hardware e software stranieri nell’amministrazione pubblica entro tre anni). C’è anche da osservare che mito o no, come le borse ci insegnano, le percezioni contano e contano molto. La presenza di queste tensioni a livello tecnologico, ove non siano già manifeste e concrete, spingeranno gli attori economici a preparare strategie alternative, a diversificare, a ripensare i loro processi di fornitura per mitigare il rischio. E’ già in corso una riconfigurazione delle value chain tecnologiche, che ad esempio trovano ora nei paesi dell’ASEAN interessanti e più sicure alternative rispetto alla Cina. Queste dinamiche avranno sicuramente delle ripercussioni sul medio-lungo termine, implicano costi altissimi, e non sono facilmente reversibili. Resta da capire chi si farà maggiormente carico di questi costi.
Ma c’è secondo me una minaccia ancora più grave all’orizzonte: che dal mondo digitale e tecnologico, il decoupling possa espandersi alla sfera della scienza, della condivisione di idee e dei dati di ricerca, fino a compromettere un dialogo comune su alcuni temi che dovrebbero essere parte di una discussione globale e non soltanto regionale (come ad esempio il dibattito etico sui sistemi AI e sulle biotecnologie, dove è cruciale – anche se forse utopico – poter discutere e decidere tutti insieme). Un decoupling su quei temi implicherebbe l’impossibilità di mettere a sistema prospettive diverse (e anche le menti migliori che abbiamo a disposizione) per risolvere problemi e rispondere a domande che interessano l’umanità.
Quali sono i settori maggiormente coinvolti dal dilemma della sicurezza tecnologica?
Innumerevoli: le telecomunicazioni, la finanza, l’energia, i trasporti, i social media, Internet delle Cose, eccetera. Alcuni ambiti sono più salienti per quanto riguarda la difesa nazionale, come i trasporti e le infrastrutture critiche gestite da sistemi informatici (penso alle reti elettriche, alle dighe, al traffico aereo e navale). In altri ambiti, come i social media e Internet delle Cose, la vulnerabilità riguarda più da vicino la protezione dei dati personali degli utenti.
E poi c’è un altro versante, quello della competizione tra paesi: oggi, in particolare, tra Cina e Stati Uniti. La rapida ascesa delle capacità tecnologiche cinesi nell’intelligenza artificiale comporta una crescita delle potenzialità militari e di controllo sociale, in quanto tutte queste tecnologie sono quasi sempre dual use, basti pensare al riconoscimento facciale (che può essere usato per identificare target militari) o ai sistemi di guida autonoma (che possono comandare mezzi navali o droni per scopi bellici). La Cina sta compiendo oggi un grande sforzo per conquistare l’autosufficienza nelle tecnologie chiave. I semiconduttori, ad esempio, sono uno dei principali terreni di competizione. La Cina ha ancora molto da fare per raggiungere l’autosufficienza ma gli investimenti in tal senso sono enormi. Infine, riprendendo di nuovo l’idea di decoupling, non dimentichiamoci il settore dell’aerospazio e come questo ambito sia collegato con le informazioni e la difesa. La Cina ha attivato il suo sistema di navigazione satellitare, Beidou, che presenta alcune innovazioni tecniche rispetto al GPS americano e che quest’anno raggiungerà la copertura globale. Anche su questo la Cina vuole limitare la dipendenza tecnologica dall’occidente ed è stata in grado di costruire un suo sistema autonomo.
Come è coinvolta l’Italia in queste dinamiche e quali azioni dovrebbero intraprendere aziende e istituzioni per far fronte a questo scenario in evoluzione?
L’Italia si trova in mezzo ai due contendenti, Cina e Stati Uniti, e la sua posizione è cruciale per entrambi. Per Pechino rappresenta, potenzialmente, un favorevole punto di ingresso per i suoi investimenti in Europa. Per Washington rappresenta un alleato e uno snodo strategico fondamentale, come dimostrano le basi militari americane dislocate nella penisola. E’ dunque chiara la resistenza e l’esplicito disappunto manifestato dagli americani per la firma del MoU BRI e per il caso Huawei, su cui l’Italia è tuttora in una fase interlocutoria. Le tensioni sul 5G mi sembrano assolutamente indicative di queste tensioni. In un dossier del dicembre 2019, il Copasir ha evidenziato i pericoli dell’ingresso di Huawei nelle nostre telecomunicazioni, mentre il titolare del MISE ha ribadito che è importante poter offrire le soluzioni migliori ai prezzi migliori. Ma è bene osservare che il nostro paese non è l’unico a non aver ceduto interamente alle pressioni degli USA per l’esclusione di Huawei. Interessante è la posizione di Londra, che ha deciso di non interdire in toto l’azienda cinese ma di escluderla solo dalle infrastrutture critiche, o la posizione di Berlino, che non interdirà alcuna azienda dalle proprie reti 5G, ma ha ben esplicitato quali debbano essere gli standard di sicurezza minimi. L’Italia si trova inquadrata dentro un contesto geopolitico e di alleanze ben chiaro. Credo dunque che sarebbe sensato avviare, prima di ogni decisione, un’interlocuzione preliminare con i nostri più stretti alleati. Allo stesso tempo è essenziale far valere i nostri interessi, sforzandosi dunque di trovare soluzioni articolate e composite. Per quanto riguarda le aziende, credo sia oggi essenziale: 1. essere consapevoli delle vulnerabilità che le nuove tecnologie portano con sé; 2. investire in sicurezza e formazione su questi temi; 3. prestare attenzione a come questo complesso scenario geopolitico altererà le catene del valore su scala globale, chiudendo alcuni mercati e aprendone altri.
Di Alberto Di Minin e Filippo Fasulo