Nonostante la conosca da anni, fatico a capire quanto Maria Chiara Carrozza sia emozionata nel ricevermi per la prima volta – in conference call – nel suo nuovo ufficio di Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Alla fine della nostra conversazione, non avrò invece difficoltà a cogliere quali siano i princìpi a cui si andrà ad ispirare nella guida del più grande ente di ricerca italiano.
Nel corso della sua esperienza accademica, imprenditoriale e istituzionale, Carrozza afferma di aver compreso che la ricerca riesce a muovere un passo avanti verso l’impresa e il mercato quando il ricercatore è in grado di fare un passo indietro. Ciò può avvenire solo al verificarsi di condizioni particolari. Realizzarle sembra essere l’obiettivo della trasformazione che Carrozza progetta per il CNR.
Innanzitutto, per quale ragione in un percorso di trasferimento tecnologico il ricercatore deve compiere un passo indietro?
Il motivo principale, secondo Carrozza, sta nel fatto che una spin off di ricerca non può essere gestita nello stesso modo e con le stesse ambizioni con cui opera un gruppo accademico. “Una cosa è fare scienza, un’altra è fare impresa”. Inoltre, è assai difficile che una spin off abbia successo senza che i suoi obiettivi di crescita siano condivisi e supportati da partner esterni, sia finanziari che industriali. Il ruolo dello scienziato-imprenditore è centrale nelle prime fasi di sviluppo, quando cioè nasce un’idea di business basata su scienza e tecnologia, ma può diventare un freno quando l’azienda si impunta su una via solitaria verso il mercato.
Il rischio nel percorso dell’imprenditorialità accademica non si trova però solo nell’inesperienza o nelle errate convinzioni del ricercatore. Esso talvolta risiede in una mancata o scorretta accoglienza della spin off da parte dell’ecosistema. I soci industriali e finanziari che accompagnano il percorso di trasferimento tecnologico devono mostrare di comprendere e rispettare una cultura d’impresa peculiare, nelle parole di Carrozza, “sono tenuti essi stessi a fare un passo indietro e resistere alla tentazione di ingessare una spin off di ricerca con le logiche e i modelli tipici della grande azienda corporate”. Se è vero che una spin off non può rifarsi alle pure logiche del laboratorio di ricerca, imporle le prassi di una grande azienda significa limitarne la flessibilità e ridurne la spinta propulsiva. Inoltre, il nucleo fondatore di una start-up potrebbe reagire a questa irreggimentazione irrigidendosi a sua volta, mostrando meno sicurezza e propensione ad affidarsi ad una strategia di innovazione collaborativa proposta da consulenti esterni. Nel suo vissuto di imprenditrice, Carrozza ha ben chiaro quanto è importante il contributo di industria e finanza, ma conosce anche le potenzialità del giusto mix di prassi e modelli di business che sono più funzionali alla collaborazione tra start-up e grande impresa.
Nell’impianto della nuova Presidente, è altresì chiaro come procedure e regole possano giocare un ruolo chiave nel processo di trasferimento tecnologico: “Abbiamo bisogno di giuristi d’impresa che mettano in campo servizi veloci e abilitanti”, fondamentali per la definizione di contratti, la protezione della proprietà industriale, la fiscalità, la finanza e la strategia aziendale. Sono servizi che, laddove efficaci, permettono una maggiore fiducia da parte di tutti gli operatori del sistema. “L’amministrazione pubblica di un ente di ricerca deve renderli accessibili ai ricercatori e ai partner industriali nell’ottica del problem solving.”
Secondo la Presidente, la missione delle attività di trasferimento tecnologico e di valorizzazione della ricerca dell’Istituto dovrebbe essere quella di abilitare, e non frenare, il ricercatore che dimostri capacità imprenditoriale, track record scientifico, volontà di trasferire sul mercato creando benessere e occupazione. Il sistema amministrativo gestionale non sempre dà fiducia ai ricercatori, imponendo vincoli e regole talvolta eccessivi “perché si parte da una presunzione di colpa”, senza tenere conto di motivazioni e opportunità che un ricercatore ha davanti.
Chiedo poi a Carrozza di chiarire una questione chiave: se la priorità per un’organizzazione con settemila dipendenti consista nel liberare la forza delle eccellenze o piuttosto nell’elevare la qualità media del lavoro dei ricercatori. “La questione non va posta in questi termini”, mi corregge. Un’altra lezione tratta dalla sua esperienza di ricercatrice è infatti quella per cui non esiste eccellenza senza un contesto di qualità elevata. Me lo spiega con un’analogia che riporta alle sue origini toscane: “A Pisa c’è una prestigiosa scuola di scherma che ha saputo imporsi a livello nazionale e conquistare medaglie e soddisfazioni”. Non l’ha però fatto puntando sui rari atleti eccellenti e dimenticandosi di tutto il resto. “Il successo è frutto di anni di lavoro di maestri e allievi che hanno creato una squadra e hanno nel complesso innalzato la qualità media degli schermisti. Da questo nucleo che si allenava e imparava insieme sono fioriti i fuoriclasse”. Anche la strategia di sviluppo del CNR dovrà dunque andare a mettere al centro la valorizzazione delle eccellenze, in un contesto che deve però essere globalmente sostenuto ed elevato.
In sintesi, creare le condizioni che consentono al ricercatore di fare un passo indietro e alla ricerca un passo avanti verso il mercato vuol dire riconoscere e rispettare i diversi ruoli che partner accademici e industriali ricoprono, gettando così le basi per un rapporto di fiducia e collaborazione. Vuol dire dotarsi di regole e procedure veloci ed efficaci, che abilitano soluzioni invece di creare ostacoli. Vuol dire presidiare un contesto di qualità della ricerca diffusa in grado di incubare e fare sviluppare le punte di diamante. Ecco la ricetta con cui la neo presidente Carrozza si appresta a rafforzare il ruolo del CNR come motore propulsivo dell’innovazione italiana.
Di Alberto Di Minin
Pubblicato su Il Sole 24 Ore di Domenica 25 Aprile 2021