SME Innovation Instrument: la storia di tante storie

Vi propongo alcune riflessioni emerse nel corso della  6a Tavola Rotonda dedicata alle imprese italiane vincitrici della Fase 1 dello SME Innovation Instrument. L’incontro, organizzato da me e dall’APRE in collaborazione con l’Enterprise Europe Network, si è svolto a Roma il 4 Luglio scorso, ed è uno dei momenti che periodicamente mi permette di raccogliere esperienze ed idee delle aziende da portare a Bruxelles in qualità di Delegato italiano del programma HORIZON2020 per le PMI. Ringrazio per il saluto iniziale il Dott. Gianluigi Consoli, della Dirigenza generale per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione della ricerca che ci ha ospitato nella sede del MIUR di Via Carcani. Ringrazio per il suo intervento Marco Falzetti, Direttore dell’APRE, e Antonio Carbone, National Contact Point di APRE che ha organizzato con me questa giornata.

Abbiamo iniziato la presentazione proprio con gli interventi di Consoli e Falzetti. Entrambi ci hanno ricordato come il confronto in ambito europeo possa migliorare la competitività delle PMI, aiutandole a crescere e recuperare la fiducia nel loro essere portatrici di valore, a migliorare la loro capacità progettuale e di investimento aziendale. C’è inoltre bisogno di un maggior coordinamento tra gli enti interessati a questi strumenti di finanziamento, in modo da “fare sistema” e poter sfruttare al massimo ciò che l’Unione Europea mette a disposizione delle nostre imprese. Non è facile, soprattutto dal punto di vista burocratico che rende, come ha ricordato Nicoletta Amodio di Confindustria, molto complicato prendere contatto con le aziende che hanno ricevuto un Seal of Excellence nel tentativo indirizzarle su altre fonti di finanziamento. Questo certificato non ha ancora una applicazione completa dato il divieto di divulgare il contenuto dei progetti e appunto i nomi dei beneficiari. Di ieri la pubblicazione del bando del Ministero dello Sviluppo Economico che finanzia nelle Regioni meno sviluppate e in transizione anche le imprese che hanno ricevuto il Seal of Excellence per la Fase 2 dello Strumento PMI Orizzonte 2020. Certo l’Italia ha un success rate nella presentazione dei progetti ancora da migliorare, ma il processo di valutazione delle domande e la scarsità delle risorse rendono necessaria un parallelo miglioramento del programma HORIZON2020. Come ho già detto in passato, una domanda su quattro del programma è indirizzata allo SME Instrument, che riceve ancora una quota non sufficiente dei fondi a disposizione di HORIZON. Quello che continua a colpirmi, tra l’altro, è il numero di aziende che dopo aver ricevuto il primo finanziamento non riescono ad accedere alla Fase 2, uno spreco di risorse e di talento preoccupante.

Nel frattempo le nostre aziende cercano di imparare. In questi anni l’approccio alla Fase 1 ha dimostrato di poter avere un “effetto palestra” che è fondamentale nella preparazione della Fase 2, in cui c’è bisogno di idee molto più definite e concrete. La Fase 1 può essere anche quel momento in cui si avviano delle pratiche di coinvolgimento di clienti e partner che possano aiutare nel pilot in una fase successiva. Antonio Carbone, National Contact Point dell’APRE, ha mostrato alcuni dati relativi ai finanziamenti e ha fornito degli utilissimi suggerimenti per una corretta, ma soprattutto efficace, redazione del progetto da sottoporre in Fase 2. Innanzitutto le imprese devono avere ben presente che i valutatori non hanno un background accademico, sono esperti di settore e sempre più spesso investitori. Ciò significa che una chiara definizione del core benefit accompagnata dall’individuazione della domanda e dalla definizione di una strategia di commercializzazione sono il primo passo per poter convincere i valutatori che scommettere su questo progetto significa vincere. Altro aspetto fondamentale riguarda le caratteristiche del personale e l’eventuale necessità di altre assunzioni, entrambi da dettagliare per poter collegare le competenze aziendali a ciò che si vuole creare per il mercato. Non stiamo presentando progetti di ricerca, stiamo portando alla luce un’opportunità di mercato che deve dimostrare di essere realmente sfruttabile. Abbiamo, dunque, bisogno di diverse competenze che spaziano dal nostro ambito specifico a quello del management e del marketing.

È sorta qui una domanda che voglio riportare: quale il ruolo dei consulenti esterni per il lavoro di progettazione? La risposta è emersa dalle esperienze degli imprenditori stessi, che hanno concordato con noi come un consulente utile sia quello che va oltre la pura redazione del progetto. Certo, usare le parole giuste al momento giusto aiuta, ma è sicuramente imprescindibile che ci sia un ritorno anche in termini di supporto allo sviluppo del piano di azienda. Ad esempio, in contesti accademici in cui l’abitudine a pensare rispetto al mercato è meno diffusa, un consulente potrebbe rendere più chiaro il valore intrinseco dell’innovazione posseduta dall’istituto di ricerca. Oppure aiutare le imprese di nuova costituzione come spin-off e start-up a definire in maniera dettagliata le possibilità di subcontract che aiutino a rendere l’implementazione più credibile agli occhi dei valutatori. Non si può fare tutto in house, bisogna prevedere nello specifico chi ci aiuterà con le sue competenze e i suoi prodotti nel raggiungere i nostri obiettivi economici e di sviluppo.

Moltissimi sono gli spunti di riflessione emersi dalla discussione e dalle domande poste. Nel programma abbiamo dato spazio a tre storie diverse che ci danno un’idea di quanto lo strumento SME possa essere sfruttato negli ambiti e nelle condizioni più disparate. Non ci sono solo successi che hanno come obiettivo quello di arrivare ad un’IPO sul Nasdaq, ci sono anche altre vie di innovazione da poter percorrere. In altre parole ancora una volta è emersa l’importanza di rimanere aperti a molte forme di Open Innovation, inserendo la sfida della redazione progetto nella propria specifica storia aziendale. Ciò che accomuna queste tre storie è d’altro canto il fatto di aver dato tutte la giusta attenzione a quei punti chiave irrinunciabili per avere successo nella valutazione. Proviamo a cogliere similarità e differenze nei loro racconti da “fuoriclasse”, che mostrano percorsi non lineari né semplici ma segnati dalla determinazione e dalla costanza, percorsi che possono essere di esempio per chi ha intenzione di applicare alla Fase 2.

Francesco Marcellino ci ha portato l’esperienza di Datawizard, start-up B2C nel settore ICT nata a fine 2012. La sua azienda si occupa di Digital Pharma ed è stata inizialmente finanziata da un fondo di venture capital che gli ha permesso di sviluppare e testare il prodotto in Italia. Quando Francesco viene a conoscenza del programma HORIZON2020 decide di partecipare all’incontro per la sua inaugurazione e successivamente non manca agli ICT Proposers’ Day organizzati dalla Commissione Europea per le aziende interessate alle call in questa tematica. Inizia a capire come funziona il programma e raccoglie le esperienze di chi ha già avuto modo di usufruirne. Poi decide di applicare (direttamente) alla Fase 2 dello SME Instrument, il migliore di HORIZON dal suo punto di vista, che gli avrebbe permesso di espandere la sua azienda a livello europeo. Le carte in regola non mancano, Datawizard ha in mano capitali privati più test di prodotto e di mercato già effettuati. Eppure le prime tre sottomissioni sono un fallimento, nonostante i tentativi di cambiare topic di applicazione. Bisognerà aspettare il quarto tentativo e l’intervento di un redattore che aiuti (in lingua inglese) a raccontare, più che presentare, il progetto per avere finalmente un risultato positivo. Sì perché lavorare in un contesto che continuamente evolve rende necessario “far sognare” i valutatori, essere capaci di evidenziare in maniera chiara la propria idea e il perché sia migliore di tutte le altre che affollano il vasto mare dei progetti. Soprattutto è fondamentale affiancare all’elemento emozionale quello concreto dell’aspetto commerciale e della composizione del team aziendale, che devono assolutamente essere coerenti rispetto a quell’idea che stiamo narrando. Oltre il prodotto dunque dobbiamo mostrare l’impatto, il ritorno dell’investimento e la capacità di execution che la nostra azienda può mettere in campo. E chissà che una mattina a New York, a suonare la campanella del NASDAQ sia proprio Francesco!

Ci sono però altre storie che puntano in alto, ma in modo diverso, e che suscitano tante emozioni. Fabrizio Spaziani ci ha portato la ben diversa esperienza di Survey Lab, spin-off dell’Università di Roma – La Sapienza che si occupa di geomatica. Il progetto scientifico nasce dall’impegno di docenti e dottori di ricerca della facoltà di Ingegneria, ma la svolta per arrivare allo spin-off la dà proprio Fabrizio. Avevo già avuto modo di incontrare la Professoressa Maria Marsella, che mi aveva spiegato la genesi del progetto e la sfida di proporre una tecnologia nuova in un ambiente particolarmente conservativo. Fabrizio, consulente aziendale che ha competenze nel campo del management, ha saputo affiancare le competenze scientifiche del team analizzando il mercato, comprendendone la domanda per poter rendere attuabile un modello di business. Comunicazione e analisi di mercato, oltre ad una solida base scientifica, sono stati gli ingeredienti per attuare un progetto innovativo, che viene innanzitutto finanziato grazie a BIC Lazio e poi vince l’application in Fase 2 al primo tentativo. Come è stato possibile raggiungere questo successo? Presentando il risultato del lavoro svolto nei due anni di finanziamento dal BIC, che hanno permesso di svolgere un momento simile a quanto avviene in Fase 1 in cui definire ciò di cui la spin-off aveva necessità per entrare nel mercato. Soprattutto questo momento preliminare è servito a creare un solido network con gli stakeholder interessati al prodotto, che hanno sostenuto tramite lettere di intenti la redazione del progetto. In questo caso ciò che ha fatto la differenza è stata la concretezza di un gruppo di clienti già pronti a testare ed acquistare il prodotto. Un elemento questo molto importante per l’implementazione del business model. L’azienda ha infatti già dimostrato di essere in grado di dotarsi di una rete di collaborazione con diversi enti

Diversi gli spunti anche nel corso dell’intervento di Francesco Orioli di Soltigua. Con Francesco ho condiviso alcuni anni di Università al Sant’Anna di Pisa, e ora l’ho rivisto dopo tanto tempo a capo di un’iniziativa molto interessante. La sua Soltigua è un’azienda attiva nel campo dell’energia solare che dopo diversi tentativi è riuscita a portare a casa un Fase 2. Interessante notare che l’azienda di Francesco è a conduzione familiare, una delle tante Family firms che contribuiscono allo sviluppo della nostra economia. L’azienda di famiglia, da tempo impegnata nel settore dei laterizi, sta ora cercando ambiti di diversificazione, e ha sottolineato Francesco, il successo nella domanda per il finanziamento è arrivato solo quando lui (animo commerciale) ed il fratello (animo tecnico) si sono messi a lavorare insieme e si sono convinti della storia da narrare ad EASME.

Appunto, tre belle storie, molto diverse tra di loro che ci raccontano di quanto sia vivo e variegato il panorama della ricerca e innovazione in Italia. Strumenti di policy, iniziative di supporto e fonti di finanziamento devono rimanere aperti alla possibilità che appunto esistano diverse strutture narrative, partendo dal digitale, dai laterizi o dai laboratori di un’università, per volare al NASDAQ, per sviluppare un mercato o per rinnovare un’attività produttiva in grado di svilupparsi attraverso diverse generazioni di imprenditori.

 

Scritto in collaborazione con Francesca Pennucci