Innovazione e Congresso

“La Cina dovrà diventare un paese di innovatori”: sono queste le parole pronunciate dal Presidente cinese Xi Jinping in occasione del Diciannovesimo Congresso del Partito Comunista che si è concluso mercoledì 25 ottobre, dopo quasi una settimana di lavori. Indiscusso protagonista del più grande appuntamento politico della Repubblica popolare che si tiene ogni cinque anni è stato senza dubbio il Presidente Xi Jinping che, nell’occasione, è stato confermato Segretario generale del partito per il prossimo quinquennio. Il tema principale del congresso, infatti, è stato il rafforzamento del potere del leader che è riuscito ad ottenere che lo statuto del partito contenesse l’indicazione del suo nome associato a un nuovo avanzamento ideologico secondo la formulazione del “pensiero di Xi del socialismo con caratteristiche cinesi in una nuova era”. Dietro queste formule della liturgia del Pcc si nasconde il riconoscimento a Xi Jinping di un onore in precedenza riconosciuto solo a Mao Zedong, mentre negli ultimi anni la tendenza era stata quella di ridurre la personalizzazione omettendo nelle modifiche allo statuto il nome del leader in carica. Quel che ne consegue è che da oggi Xi Jinping dovrebbe avere una maggiore capacità di implementare la propria agenda politica.

A bocce ferme, e a pochi giorni dall’edizione 2017 del China-Italy Science, Technology & Innovation Week,  riflettiamo su quanto centrale sia il ruolo dell’innovazione nei piani di sviluppo della società cinese. Per capirlo dobbiamo analizzare l’agenda di politica economica di Xi Jinping.

Xi Jinping, nel suo discorso di apertura di circa tre ore, formula idee che gettano le basi di una politica dell’innovazione seppur con formulazioni tipiche di un partito comunista. Tra i punti fondamentali, infatti, c’è la revisione di quella che è la contraddizione principale che il partito deve affrontare: la necessità di  trovare un nuovo modello che vada oltre “uno sviluppo sbilanciato e inadeguato ai bisogni sempre crescenti del popolo di una vita migliore”.  Questo riequilibrio è considerato il motore dello sviluppo cinese per i prossimi anni, il vero obiettivo.  Questa frase riconosce gli sforzi fatti dalla Cina nel migliorare le condizioni economiche e apre la strada ad un salto successivo in cui il paese si candida a diventare un leader globale entro la metà del secolo. Il richiamo in questo caso è agli obiettivi presenti nel Sogno Cinese – ovvero la celebrazione dei due centenari della nascita del Pcc (1921-2021) e della Rpc (1949-2049) – entro i quali la Cina dovrà prima raggiungere una condizione di medio benessere e infine di piena modernità, un concetto ribadito durante il congresso seppure con una ulteriore fase intermedia nel 2035.

Per arrivare a questi risultati si parte da alcuni elementi inseriti nello statuto del partito, che dunque hanno un carattere ufficiale e che richiedono una stretta osservanza da parte di tutte le istituzioni a ogni livello. Insieme al riferimento alla Belt and Road Initiative – il piano di rilancio della globalizzazione da parte cinese che fa leva sul ricordo della Via della Seta – nello statuto del partito c’è un riferimento alla supply side structural reform. Questa politica, solo nominalmente simile alla reaganomics, prevede una grossa spinta al miglioramento del tessuto industriale cinese, accrescendo la produttività e riducendo gli investimenti a debito. Il contesto è quello del New Normal, ovvero il riconoscimento che il modello economico cinese degli ultimi trent’anni non sarà più adatto per i prossimi trenta. La Cina non può e non vuole più basare la propria crescita economica su prodotti a basso costo che beneficiano di un costo del lavoro basso, ma vuole diventare una potenza tecnologica in modo graduale, seppur relativamente rapido. Ecco dunque che entra in gioco il progresso delle tecnologie ed il loro trasferimento alla società.

I vertici del Pcc propongono una Cina concentrata soprattutto sulla qualità e sul valore tecnologico dei propri prodotti. In questo, la politica più significativa è Made in China 2025, un piano che prevede la trasformazione del tessuto industriale cinese aumentando la componente nazionale (fino al 70%) di produzione di manufatti altamente tecnologici, con un ampio ricorso a quella che viene chiamata “innovazione indigena”.

Vi saranno dunque significative conseguenze per i partner stranieri. In una prima fase dovrebbe essere confermata l’espansione di investimenti nei settori più avanzati, ad accompagnare la fame cinese di know-how occidentale per colmare il suo gap scientifico e tecnologico. In una seconda fase, la concorrenza cinese nei settori tecnologici potrà aumentare sensibilmente.

Tornando al tema degli equilibri, rimane da capire se riusciremo ad attuare a livello globale un corretto bilanciamento fra cooperazione con partner cinesi desiderosi di integrare componenti di eccellenza nel proprio tessuto industriale, e la capacità delle economie occidentali di continuare ad innovare per mantenere leadership in nuove aree di ricerca.

Rimarcava a Marzo Xi Jinping, proprio aprendo il Belt and Road Forum: “Trasformeremo la Belt and Road in una Road of Innovation. L’innovazione è un motore fondamentale del nostro sviluppo (..) Promuoveremo uno sviluppo economico che si fonda sull’innovazione e intensificheremo attività di cooperazione in aree di frontiera come l’economia digitale, l’intelligenza artificiale, le nanotecnologie e il quantum computing. Il nostro impegno è quello di svilupparci negli ambiti dei big data, del cloud computing e delle smart cities, per trasformarli in componenti di una Via della Seta Digitale per il ventunesimo secolo.” In questa lista della spesa, abbiamo forse una (parziale) indicazione di quali saranno i terreni di confronto/scontro tra paesi e aziende che vorranno trovare  centralità su nuove piattaforme tecnologiche e soprattutto definire e controllare  nuovi standard industriali.

Al progresso scientifico e tecnologico il duplice compito di riequilibrare le sorti di uno sviluppo interno sbilanciato, troppo basato sulla spesa a debito, e ridisegnare le caratteristiche del vantaggio competitivo cinese. Il Congresso del Pcc assegna a Xi Jinping un mandato molto ampio per implementare questa idea, facendo diventare la Cina più “vicina al centro del mondo”.

“Mai come ora” sottolineava l’ex Presidente USA Obama nel 2009 “la scienza è essenziale per la nostra prosperità, la nostra sicurezza, la nostra salute, il nostro ambiente e la nostra qualità della vita”.  Parole pesanti ma lontane nel tempo, forse da rispolverare in vista dell’imminente vertice a Pechino tra Stati Uniti e Cina.

 

Di Alberto Di Minin e Filippo Fasulo