Tecnologie e leggi sono in continua evoluzione. Il loro progresso detta il ritmo dell’introduzione di nuovi ambiti di ricerca e applicazione, di nuovi prodotti e servizi. Tecnologie e leggi non si sviluppano però in maniera armonica. Sarebbe un controsenso se lo facessero. Alcune regole ci proteggono dall’ignoto e da fughe in avanti nell’interesse di singoli gruppi che potrebbero danneggiare la collettività. Altre leggi rappresentano un intrico di lacci e lacciuoli che rallenta inutilmente il lavoro di scienziati e innovatori.
Ci sono momenti della storia dell’umanità in cui la tecnologia accelera e crea nuove opportunità a ritmi particolarmente intensi, cambiando profondamente il nostro modo di vivere, produrre e consumare. Questi momenti si chiamano rivoluzioni industriali: il vapore e l’elettricità hanno abilitato lo sviluppo della prima e della seconda. Da qualche decennio siamo nel mezzo della terza rivoluzione industriale, spinta dallo sviluppo dell’informatica, dalla convergenza dell’informatica con le tecnologie di comunicazione, dalla socializzazione delle tecnologie digitali.
Nel mezzo di una rivoluzione industriale il confronto tra norma e tecnologia è particolarmente serrato. Nuove regole creano nuovi mercati, definiscono nuovi standard, rallentano alcune direzioni di sviluppo. Epico lo scontro di fine Ottocento che prese il nome di War of Currents e che vide Thomas Edison tentare di impedire, o quanto meno rallentare, l’introduzione del sistema di corrente alternata in mano all’imprenditore George Westinghouse. Scriveva Edison nel novembre del 1886 al suo mentore e poi stretto collaboratore Edward Johnson: “Sono sicuro che da qui a sei mesi Westinghouse ammazzerà uno dei suoi clienti!” Edison scatenerà contro Westinghouse una delle più impressionanti campagne di comunicazione e lobbying mai intentate fino allora, con l’obiettivo di convincere il legislatore americano a stare ben lontano dai sistemi di corrente alternata. Tragicamente, proprio lo stesso Edward Johnson morirà per una forte scossa elettrica (trent’anni dopo la lettera di Edison…). A quel punto però il sistema di corrente alternata sarà ormai diventato lo standard, che ancora oggi porta energia nelle nostre case.
Da un punto di vista della gestione dell’innovazione, l’ambito normativo non è altro che uno dei tanti campi di battaglia dove un’azienda può trovare nuove fonti di vantaggio competitivo. Primo esempio è il complesso mondo della proprietà intellettuale (Kodak Vs Polaroid, Samsung Vs Apple, Research in Motion Vs NTP etc etc). Insieme al collega di Groningen, Dries Faems, ho dedicato un intero fascicolo del California Management Review all’analisi dell’Appropriation Advantage, cioè alla capacità di alcune aziende di impostare meglio di altre la gestione della loro proprietà intellettuale e di ottenere grazie a ciò un posizionamento migliore rispetto alla concorrenza (l’angolo dell’autopromozione: ecco il video che abbiamo realizzato per spiegare questo concetto).
Dal punto di vista della politica sull’innovazione, l’ambito normativo è una leva particolarmente potente per rallentare o accelerare lo sviluppo di dinamiche industriali. Influenzare lo sviluppo delle norme e delle politiche in un senso o nell’altro si chiama lobbying. Particolarmente curioso come il concetto di lobbying nacque e si sviluppò. Si narra che il Presidente USA Ulysses Grant (1869-1877) fosse costretto ad una pesante coabitazione alla Casa Bianca, dove aveva deciso di trasferirsi tutta la famiglia della First Lady Julia Dent. Per sfuggire alle pressioni del suocero, il Presidente aveva preso l’abitudine di trascorrere le serate godendosi un buon sigaro nella lobby del Willard Hotel, a pochi metri dalla Casa Bianca. Gli avventori dell’hotel si abituarono alla presenza del Presidente e iniziarono ad avvicinarlo presentandogli problemi e idee. Da quelle origini è sorta una vera e propria industria dei lobbisti, che si è inventata forme di pressione ben più sofisticate e non sempre inclusive. Anzi.
L’iniziativa chiamata Innovation Deals, annunciata dal Commissario Carlos Moedas in un recente discorso a Bruxelles, è in qualche modo un tentativo di dare una forma più partecipativa alle dinamiche di lobbying su nuove regole per l’innovazione.
Innovation Deals ha come obiettivo quello di creare dei tavoli di negoziazione rappresentativi dei diversi interessi del mondo scientifico e industriale. Compito di questi tavoli sarà quello di evidenziare ambiti di intervento su regole che possono essere efficacemente cambiate per promuovere l’applicazione alla società di scienza e tecnologia.
Innovation Deals è un progetto pilota che potrà funzionare se (1) l’esperimento verrà preso sul serio dagli Stati Membri dell’Unione: lo stanno facendo i Paesi Bassi che hanno adottato questa come una delle iniziative bandiera della loro Presidenza. Inglesi, tedeschi e francesi sostengono da anni la rilevanza della questione.
Avrà successo se appunto (2) sarà inclusivo, innanzitutto perché escludere i riottosi non è una buona strategia per veder riuscire la fase implementativa.
Avrà successo se (3) la governance di questi tavoli sarà innovativa. Non è semplice avvicinare competenze e linguaggi della giurisprudenza e della tecnologia. Per farlo bisogna trovare dei contesti nuovi. Me ne sto accorgendo chiacchierando con i colleghi giuristi Erica Palmerini e Andrea Bertolini che lavorano insieme agli ingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna al progetto Robolaw, che ha come obiettivo quello di allineare lo sviluppo normativo con quello tecnologico nel campo della robotica.
Primo ambito di sperimentazione, suggerisce Moedas, sarà l’economia circolare. Si tratta di un contesto meno controverso rispetto al dibattito sulle staminali o alle lotte tra tassisti e Uber. E’ dunque un ambito in cui, se ben impostati, questi tavoli potrebbero in breve identificare risultati molto interessanti. E’ fondamentale che l’Italia si faccia coinvolgere e travolgere da questa iniziativa.