Le piccole città italiane giocano un ruolo centrale nel produrre ricchezza e disegnare traiettorie di sviluppo. Da ragazzo della provincia friulana trapiantato in una piccola città toscana credo molto nella forza propulsiva della media dimensione urbana. Qua a Pisa, non possiamo dire di avere facile accesso a tutto e lamentarsi dei limiti di questa città è un hobby abbastanza diffuso sotto la torre. Eppure, anche se non proprio tutti i giorni, pure i Pisani hanno l’occasione di partecipare alla presentazione di un buon libro. A me è successo venerdì, quando ho assistito presso il Dipartimento civiltà e forme del sapere dell’Università di Pisa al dibattito sul libro dell’amica Michela Lazzeroni, talentuosa geografa pisana, che ci ha presentato il suo ultimo testo, pubblicato dalla Pisa University Press e disponibile in open access.
“La Resilienza delle piccole città” mette a confronto la recente storia di tre realtà come Ivrea, Pontedera e Sochaux, le cui vicende industriali (Olivetti, Piaggio, Peugeot..) hanno profondamente segnato lo sviluppo delle comunità locali. Un libro è fortunato quando suscita dibattito; vi propongo dunque alcune riflessioni emerse nel corso della discussione tra i commentatori e il pubblico in sala. Commentatori che si sono presentati all’incontro molto preparati, avendo effettivamente letto il libro (..e per questa circostanza non banale, fortunata è stata l’autrice)!
Le tre piccole città al centro della narrazione sono simbolo, protagoniste ma anche vittime delle rivoluzioni industri del passato, ha sottolineato la Professoressa Maria Chiara Carrozza in veste di deputato della provincia di Pisa, ma che potrebbero essere anche pivot di nuovi scatti in avanti nell’ambito delle vicende di industria 4.0. Il radicamento territoriale è un fenomeno tutt’altro che banale, si tratta spesso della scelta più difficile. La provincia italiana non è semplice, ha i suoi vantaggi ma richiede anche scelte imprenditoriali coraggiose: una strategia industriale che inevitabilmente ha come protagonisti attori pubblici oltre che privati. Pontedera e Ivrea lo dimostrano con la loro storia. Potranno l’automazione e la robotica riprendere il sogno interrotto di Olivetti? Un interrogativo affascinante, che verrà risolto nel dibattito e perché no nello scontro tra visioni e ideologie.
Padroni di casa, i Professori Pierluigi Barrotta e Riccardo Mazzanti hanno evidenziato l’eleganza dell’applicazione del concetto di resilienza al contesto di geografia economica. La resilienza dei luoghi ne plasma l’identità, tanto quanto il patrimonio materiale, le infrastrutture e le persone che li abitano. Resilienza, ha spiegato inoltre Lazzeroni, non è da confondersi con resistenza al cambiamento. Anzi, questo concetto, mutuato dalla meccanica, va efficacemente a definirsi come la capacità di un territorio di evolversi, cogliendo gli elementi salienti di un periodo anche drammatico, di un declino, di una crisi improvvisa. Da questi passaggi, un territorio resiliente può uscirne perfino rafforzato.
Egidio Dansero, geografo dell’Università di Torino ha portato il pubblico a riflettere su un altro aspetto della resilienza cittadina, legato alle caratteristiche della sua economia alimentare, della filiera, della distribuzione e dell’accesso a certe pregiate materie prime. Anche questo potrebbe essere un tema su cui le piccole città potranno raccontare una storia diversa dalle grandi metropoli.
Grandi metropoli che sono al centro dei testi oggi più citati sull’economia della conoscenza. Le nuove geografie del lavoro ci raccontano di economie di scala attorno ai principali centri urbani e per certi versi non è possibile dare torto a queste teorie. Eppure anche le piccole città hanno un ruolo in questo contesto, se pensiamo ad esempio che proprio Pisa ospita ben due atenei inseriti nella lista delle 10 migliori piccole università al mondo.
Il testo di Lazzeroni mi ha richiamato i lavori di Ann Markusen, che negli anni 90 aveva messo in luce il ruolo delle midsized cities americane nello sviluppo high-tech post-industriale. C’è da dire che l’idea stessa della piccola città appare ancora oggi essa stessa assai resiliente, forse perché la dimensione di questi centri urbani può saper essere più a misura d’uomo e perché molti piccoli centri urbani continuano ad essere fucine di talento e basi di specializzazioni che sanno poi trovare il loro spazio a livello globale.
PS: occhio alla copertina del libro.. alcuni dipendenti dell’Olivetti escono dal lavoro con la loro Vespa… una foto perfetta!