Nell’anno della celebrazione del sessantesimo anniversario del Trattato di Roma, lo scenario in cui si trova ad operare la Commissione Europea è molto diverso da quello in cui la CEE cominciò a perseguire la sua missione di unificazione dei mercati e di integrazione internazionale.
Società e sistema economico sono stati oggetto di varie ondate di rinnovamento: l’entrata di nuovi players internazionali e l’introduzione sul mercato di soluzioni innovative hanno reso meno prevedibili le dinamiche future. Alcuni elementi di rottura, Brexit in primis, hanno inoltre coinvolto l’Unione in modo diretto, incentivando il dibattito sul “da farsi” nell’ambito della regolamentazione degli approcci nell’area comunitaria: lo scorso primo marzo a Bruxelles il presidente Junker ha presentato il “Libro Bianco sul futuro della costruzione comunitaria a 27” (di cui si è occupato l’editoriale del Sole nella medesima data), nel quale sono stati delineati cinque possibili percorsi di discussione e focalizzazione del dibattito intra-comunitario in vista del prossimo dicembre, quando il Consiglio europeo deciderà quale scenario perseguire in modo più specifico. Indipendentemente dal percorso che sarà intrapreso, tutti gli scenari presuppongono la necessità di re-interrogarsi su una serie di temi, tra i quali spiccano anche la gestione e lo sviluppo delle tecno-scienze, dell’industria e delle infrastrutture nei Paesi membri.
A questa discussione, più politica, su quale tipologia di integrazione europea sia più auspicabile orientarsi, si affianca la necessità sempre più pressante della digitalizzazione e dello sviluppo sostenibile, che a loro volta impongono agli organi europei di interrogarsi su quali siano i punti di debolezza e in che modo si possano individuare margini e azioni di miglioramento perseguibili.
Per rispondere a questa necessità di auto-analisi e di focalizzazione delle priorità, la Commissione Europea ha pubblicato nel gennaio 2017 il rapporto “Industry in Europe – Facts & figures on competitiveness & innovation”, documento interessante e importante per iniziare ad inquadrare quello che sarà il lavoro dell’European Innovation Council. Il report, al quale hanno collaborato tra gli altri Jyrki Katainen (vice-presidente della Commissione), Carlos Moedas (commissario per la Ricerca, Scienza e Innovazione) e Elżbieta Bieńkowska (Commissario per il Mercato Interno, l’industrial, l’imprenditorialità e le PMI) evidenzia il ruolo peculiare che il comparto manifatturiero ha per la competitività europea e per l’influenza dell’Unione nel dibattito internazionale.
In Europa la rilevanza del settore industriale (che produce il 24 % del PIL, raccoglie il 77% dell’investimento privato in R&D e occupa 1/5 dei lavoratori) e la costante evoluzione delle tecnologie rendono necessaria una strategia di sviluppo industriale che sappia adattarsi ai nuovi paradigmi e alle dinamiche proprie dell’economia e della società globalizzate.
Lo stile conciso e dettagliato del report offre una panoramica dei principali elementi di modernizzazione e innovazione degli attuali sistemi di produzione e consumo. Industry in Europe enumera le principali iniziative da attuare per cogliere le opportunità offerte dalla tendenza a digitalizzare, de-carbonizzare e a rendere circolari le principali attività produttive, così come le mansioni ad esse connesse. Nel complesso, il documento evidenzia una volontà di rinnovare i processi di policy–making nell’ambito manifatturiero (a livello pan-europeo o demandati alle autorità nazionali) in un’ottica pro-competitiva e sostenibile, incentrata su massimizzazione di resource-efficiency, promozione dell’accesso alle Global Value Chains (GVCs) e rimodulazione delle skills della forza-lavoro. Come ha sottolineato il Commissario Moedas nel corso del suo intervento di qualche giorno fa per il 10° anniversario dell’European Research Council, gli scenari di incertezza che oggi agitano i diversi ecosistemi innovazione, le restrizioni al libero scambio di persone, merci e (inevitabilmente) idee sono sì preoccupanti, ma offrono all’Europa, la possibilità di rilanciare il suo ruolo di leadership scientifica, tecnologica ed industriale.
Dal report emerge in particolare l’identificazione di automotive, aeronautica, ingegneria, chimica e farmaceutica come i settori col più alto potenziale di disruptive innovation e di creazione di valore: le aspettative di alti ritorni sull’investimento, prospettate per le applicazioni avanzate in biotech, micro-/macro-elettronica, fotonica e nano-tecnologie, presuppongono però la pianificazione di politiche lungimiranti e mirate per gli investimenti nelle Key Enabling Technologies (KETs), nonché di adeguati programmi per lo sviluppo delle risorse umane.
L’impegno risoluto dell’EU deriva dalla presa di coscienza delle sfide che la transizione all’industria 4.0 pone e porrà ai produttori di tutto il mondo. A proposito di ciò, il lavoro pubblicato nel 2016 da Roland Berger “Think, Act beyond mainstream – The industrie 4.0 transition quantified” (citato dal report della Commissione) prevede che l’applicazione sempre più capillare di tecnologie connesse e di algoritmi di machine-learning per il monitoraggio e il controllo dei processi produttivi produrrà effetti dirompenti sull’infrastruttura produttiva e conseguentemente in termini socio-economici. Le fabbriche virtuali, i “cyber production systems” e le smart machines integreranno sistemi sempre più avanzati di predizione delle quantità di domanda e renderanno possibile la predictive maintenance, spingendo verso la transizione a un sistema di produzione customizzata di massa.
Per non lasciarsi sfuggire le opportunità offerte e non correre il rischio di rimanere indietro in questa fase di transizione, Commissione e Stati Membri si sono impegnati, nell’ambito dell’Investment Plan for Europe, a stabilire un intenso dialogo sulle riforme e framework normativi idonei a rispondere alle sfide della digitalizzazione e dell’advanced manufacturing, nonché a ridurre quelle farraginosità amministrative che imbrigliano la mobilità del lavoro e le possibilità di avviare nuovi business. L’idea programmatica prevede che l’European Fund for Strategic Investments (EFSI) e l’ESI (European Structural and Investment funds) sosterranno lo sviluppo di un’infrastruttura produttiva moderna e di una workforce skillata su competenze relative a settori trasversali ma complementari, in coerenza con gli obiettivi per l’Industry 4.0 Europea.
È significativo notare che, parallelamente ai meccanismi con cui facilitare l’accesso ai capitali, sono stati implementati anche strumenti di assistenza tecnica ed organizzativa alle piccole-medie imprese “a 360 gradi” (E.g. l’European Investment Advisory Hub (EIAH) e l’European Investment Project Portal (EIPP) si veda qua) , affinché esse possano dar vita a progetti ad alto valore aggiunto e orientare le rispettive core competencies e risorse umane in una direzione strategicamente coerente con l’evoluzione di mercato. In particolare, la centralità del settore dell’Information & Communication Technology ha spinto a istituzionalizzare anche i Digital Innovation Hubs, programmi di finanziamento e di assistenza alle imprese nella costruzione di competenze e infrastrutture digitali per l’efficientamento e la creazione di catene del valore innovative. Nella medesima direzione si muovono anche i 50 miliardi di investimenti che saranno mobilizzati congiuntamente da Unione, Stati membri e imprese private a sostegno dei poli produttivi principali, dello sviluppo di tecnologie a supporto della “data economy” e di nuove metodologie di reskilling.
Proprio in merito al tema delle competenze, si incentiva la programmazione delle attività di training soprattutto nell’ambito delle digital skills. L’approccio è assolutamente significativo in un mondo in cui la capacità di raccolta e di lettura dei dati (sulle preferenze dei consumatori in primis, ma anche sulle dinamiche di interi mercati) è diventata strumento fondamentale di supporto alle decisioni in ambito manageriale. L’intento ultimo è alimentare un dialogo costante degli stakeholders sul tema della formazione dei lavoratori, promuovendo al contempo la condivisione delle best practices nazionali: è altamente probabile che un tale sforzo di coordinazione e pianificazione dell’educazione professionale possa contribuire a sanare situazioni di skills mismatch esistenti a livello nazionale o intra-comunitario.
Il report dedica ampio spazio anche ai temi della sostenibilità. Da una parte, l’Energy Union Framework Strategy muove verso la creazione di un mercato comunitario dell’energia per coordinare le politiche energetiche e promuovere investimenti in R&S e progetti dimostrativi verso una maggiore efficienza energetica e la de-carbonizzazione delle attività.
In parallelo si tende ad assecondare l’imperativo dell’Economia Circolare, che in anni recenti ha acquisito uno spazio sempre maggiore nell’opinione pubblica, sostenendo la causa del recupero e del riciclaggio delle risorse, della creazione di sistemi produttivi “chiusi” (in cui i rifiuti di un processo sono riutilizzati come input in un altro) o, ancora, di unioni sinergiche di catene produttive e business models eterogenei, secondo i canoni di quella che a livello accademico è conosciuta come Industrial Symbiosis. Il Circular Economy Action Plan ha appunto lo scopo di ri-orientare le logiche produttive per minimizzare gli impatti ambientali e massimizzare le potenzialità di utilizzo dei prodotti (o delle loro componenti) lungo l’intero ciclo di vita del prodotto. Quello dell’Economia Circolare è un obiettivo che, per quanto ambizioso, offre prospettive non di poco conto per creare posti di lavoro, ridurre le emissioni e creare proposizioni di business e sinergie di produzione innovative ma soprattutto più sostenibili.
Tante sono le dimensioni citate da questo report che costituiscono ambiti di riflessione e verifica:
– riguardo all’economia collaborativa viene dichiarata la volontà di elaborare framework normativi per contemperare gli interessi di acquirenti e produttori. L’intuizione è che vada ricercato un bilanciamento del diritto all’accesso a servizi di facile fruibilità a prezzi appetibili con la necessità di delineare dei limiti alla sfera di azione dei nuovi modelli di sharing businesses, per renderli compatibili con quelli più tradizionali.
– Rispetto alla tutela della proprietà intellettuale, Industry in Europe sottolinea la necessità di non abbassare la guardia e anzi di proseguire lo sforzo di coordinamento istituzional-normativo per la creazione di un unico strumento brevettuale europeo che, valido nei diversi Stati Membri, aumenterebbe le garanzie e gli incentivi all’innovazione.
– In un’ottica di promozione del commercio internazionale dei free trade agreements, risalta la Joint Initiative on Standardisation diretta a uniformare gli standard sui prodotti commerciabili nei traffici inter-frontalieri tramite un’intensificazione del dialogo tra imprese, associazioni di consumatori e autorità competenti a livello europeo e nazionale. Al contempo la strategia ‘Trade for All’ mirerà a rivedere le regole e incrementare l’enforcement in materia di pratiche commerciali illegali nell’ambito delle transazioni inter-frontialiere (con un riguardo particolare alle PMI e alla possibilità di facilitarle tramite degli sgravi fiscali).
– C’è la consapevolezza che la stessa regolamentazione e le modalità in cui essa viene implementata debbano essere soggette a continue revisioni: la Better Regulation Agenda assume quindi un ruolo centrale per individuare e sanare gli ambiti per i quali la regolamentazione pone un freno anziché una tutela rispetto a attività innovative ed iniziative imprenditoriali.
– Affiorano infine espliciti riferimenti al ruolo che potrebbe giocare il settore della difesa nel raggiungimento di molti di questi risultati. La spesa militare e le tecnologie dual-use hanno da sempre avuto la capacità di affiancare se non indirizzare lo sviluppo di nuovi mercati e di interi settori industriali. La realizzazione di un European Defence Fund potrebbe non essere un obiettivo così impossibile da raggiungere.
“The truth is that we are still scratching at the surface when it comes to making the most of our new opportunities” così evidenzia il rapporto e: ce n’è di strada da fare per questa Europa a una, nessuna, centomila velocità di strada. Per intraprendere questo cammino, i Paesi Membri dovranno, in modo congiunto, intercettare le nuove opportunità che le dinamiche internazionali stanno creando, trovare la forza di sviluppare persone e tecnologie abilitanti, ma soprattutto sconfiggere gli egoismi e gli ego-sistemi. L’Europa dovrà agire concretamente nei prossimi mesi per recuperare quel consenso che tanti, tanti anni fa era alla base della firma dei Trattati di Roma.
Alberto Di Minin e Luisa Caluri