L’Enhanced Pilot dell’European Innovation Council (EIC) è un primo assaggio da un miliardo di euro all’anno di quello che sarà Horizon Europe, il principale piano di investimenti su ricerca e dell’innovazione continentale: 100 miliardi a supporto di ricercatori e scienziati, ma anche di imprenditori e aziende. Sono tante le novità previste che la Commissione ha fretta di implementare, entro la fine della legislatura, tramite una serie di progetti pilota.
La creazione dell’EIC a presidio della trasformazione di scienza e tecnologia in nuovi business innovativi è la parte più ambiziosa del nuovo programma quadro. L’impianto progettuale parla poco italiano, ma nonostante gli chef non siano di casa nostra, l’Italia non si è mai opposta al progetto EIC, anzi.
Non mancano però le perplessità. La prima è il sospetto che sia troppo accentuato il supporto ad una tipologia di innovazione disruptive, pensata per affiancare piani di crescita aziendale molto spinti. Inoltre, è parso singolare che per dar spazio al Pilot si sia deciso di abbandonare lo strumento PMI Fase 1, che dovrebbe venire sospeso nel corso del 2019. È probabile che le PMI italiane abbiano avuto relativamente più bisogno, rispetto al resto d’Europa, di questi 50 mila euro a fondo perduto, assegnati rapidamente e a valle di una feroce selezione, per completare analisi di mercato, acquisire consulenze, completare progetti di ricerca applicata, prepararsi ai Fase 2 e all’ingresso di altri investitori. Bruxelles considera di retroguardia una difesa ad oltranza del Fase 1, i cui costi di selezione e gestione sono elevati rispetto al finanziamento erogato. Colpisce però il fatto che la Commissione abbia deciso di sospendere uno strumento che stava movimentando grandi numeri e grande popolarità.
Fa discutere anche l’impostazione del nuovo strumento Accelerator, che prenderà il posto dello strumento PMI Fase 2 e che prevede, oltre al fondo perduto, anche l’intervento diretto in equity. Per la prima volta cioè, tramite uno Special Purpose Vehicle (SPV) di diritto lussemburghese, la Commissione entrerà nel capitale delle aziende finanziate e potrà intervenire in round successivi di investimento. Non è chiaro se questa strategia di derisking risolva fallimenti di mercato relativi alla percezione di progetti più ambiziosi, o se questa mossa possa avere effetti distorsivi sulla valutazione delle aziende e possa dunque generare un crowding out di VC e Business Angels privati. Ci sono ancora tanti punti da chiarire nella strategia di investimento della Commissione, che chiede flessibilità fino a giugno, quando verranno rese pubbliche le linee guida di investimento dello SPV.
Diversi operatori evidenziano inoltre come il focus di strategie di derisking non debba essere sulla fase di start-up o scale-up, ma piuttosto sulla fase di exit delle imprese investite. Su questo fronte l’Europa è indubbiamente in profondo ritardo: le nostre attività di corporate venturing sono poco sviluppate. Forse un intervento diretto nell’affiancamento di exit e acquisizioni sarebbe desiderabile, se non preferibile, ad operazioni che portano la Commissione a diventare socio investitore in imprese innovative.
Rimane infine il dubbio che Bruxelles sia consapevole di dover rispondere, con un programma centralizzato, ad esigenze di sistemi di innovazione profondamente diversi tra loro. L’Italia non è la Francia e la Svezia non è Israele. È inevitabile che diversi paesi europei esprimano progetti innovativi caratterizzati da impostazioni e ambizioni diverse, anche perché partono da diverse competenze, culture imprenditoriali e diversi contesti di ricerca, di filiera e di mercato. La governance del futuro EIC dovrà rappresentare e riflettere la varietà dei tanti sistemi di innovazione che caratterizzano gli stati membri.
Articolo pubblicato su Nòva il 21 febbraio 2019