È Lorenzo Lamperti, Direttore Editoriale di China Files l’ospite di venerdì 25 febbraio della V edizione del corso China Issues della Scuola Superiore Sant’Anna. Lorenzo Lamperti interviene sul tema “il fattore Taiwan”
Qual è la situazione politica a Taiwan oggi?
Il leader politico di Taiwan è la presidente Tsai Ing-wen del Partito democratico progressista (PDP). Tsai è nel cuore del suo secondo mandato, dopo essere stata rieletta a gennaio 2020. Un anno prima era in grande difficoltà a causa di qualche problema economico e alcune decisioni controverse su pensioni e diritti civili. Ma con la crescente assertività della Cina di Xi Jinping e la repressione delle proteste di Hong Kong il focus del voto si è spostato sul tema identitario dove lei ha avuto vita facile. Il PDD è il partito di maggioranza, che controlla sia la presidenza sia lo Yuan legislativo, vale a dire il parlamento taiwanese. Tradizionalmente è considerato un partito filo indipendentista ma nel panorama attuale occupa quasi una posizione di centro, soprattutto grazie alla leadership pragmatica di Tsai. Il principale partito di opposizione è il Guomindang, il partito nazionalista cinese fondato da Sun Yat-sen. Per circa quattro decenni è stato il partito unico della politica taiwanese e ha governato con una legge marziale decaduta solo nel 1987. Oggi, dopo il doppio mandato dell’ex presidente Ma Ying-jeou è in crisi d’identità, diviso tra la volontà di riannodare il filo del dialogo con Pechino e operare un complicato rinnovamento. Tra questi due partiti stanno emergendo nuove realtà che potrebbero giocare un ruolo interessante in vista delle presidenziali del 2024.
Qual è lo stato delle relazioni nello stretto?
Tra Repubblica di Cina (ancora il nome ufficiale di Taiwan) e Repubblica Popolare Cinese non esistono relazioni politiche da quando Tsai è presidente, vale a dire dal 2016. Il suo rigetto del “consenso del 1992”, che riconosceva l’esistenza di un’unica Cina senza però stabilire quale, non viene accettato da Pechino. Tsai si dice disponibile al dialogo ma a condizione che il Partito comunista accetti una discussione senza precondizioni, e dunque tra due entità separate come sono de facto Taipei e Pechino. Dall’altra il Pcc dialoga solo col riconoscimento del consenso del 1992. In assenza di relazioni politiche, però, l’interscambio commerciale viaggia a livelli record soprattutto grazie all’export di semiconduttori taiwanesi. Le recenti pressioni militari dell’Esercito popolare di liberazione non sembrano per ora spaventare l’opinione pubblica, che teme maggiormente l’ampliamento dell’arsenale normativo operato da Pechino per colpire imprese e singoli individui
Che posizione hanno Ue e Stati Uniti su Taiwan?
I rapporti tra Stati Uniti e Taiwan sono regolati dal 1979, cioè da quando Washington ha riconosciuto Pechino come il governo legittimo della Cina, dal Taipei Relations Act che istituisce la celeberrima “ambiguità strategica”. Gli Usa di fatto si impegnano a sostenere le capacità di difesa della Repubblica di Cina/Taiwan ma non hanno l’obbligo di intervenire a sua difesa in caso di attacco esterno. Nonostante questo, negli ultimi anni prima Donald Trump e poi Joe Biden hanno lasciato intendere più volte (quest’ultimo lo ha anche proprio dichiarato due volte con parole poi parzialmente corrette dalla Casa Bianca stessa) che gli Usa sarebbero pronti a intervenire. Su spinta dei media americani Tsai ha dovuto anche ammettere la presenza di un piccolo contingente militare statunitense a Taiwan, un finto scoop del quale Pechino stessa era a conoscenza. Di certo più Washington si avvicina a Taipei (e ne chiede di controllare alcune componenti, come per esempio l’export di semiconduttori), più Taipei ha bisogno di un’ambiguità strategica meno ambigua. L’Unione europea è sempre stata più timida nei confronti di Taipei, nel timore che un avvicinamento a Taiwan potesse compromettere i rapporti con Pechino. Di recente, però, ci sono stati segnali inediti. La stabilità dello stretto di Taiwan viene citata nella strategia Ue dell’Indo-Pacifico e il caso della Lituania (che si sta avvicinando molto a Taipei) lascia presagire qualche correzione, seppur per ora non sconvolgente, nella traiettoria europea.
Di Alberto Di Minin e Filippo Fasulo