Qualche tempo fa, sotto a un post pubblicato su Linkedin in cui si commentava un interessante articolo del Sole 24ore intitolato “L’8% dei laureati in fuga all’estero”, trovavamo il commento di Marco Zorzi, fondatore insieme a Giacomo Dario di Kaigos. Se per le riflessioni sulla cosiddetta “fuga dei cervelli” rimandiamo a quel post, vogliamo dare spazio qui al racconto di questi altri due cervelli, che dopo un periodo di formazione all’estero hanno deciso di tornare in Italia e costruire nel territorio di provenienza, Treviso, il loro progetto d’impresa.
Kaigos è la loro azienda, nata nel 2022 con l’obiettivo di portare in Italia ciò che avevano studiato, ovvero un tipo di robotica che fino a quel momento non era presente, capace di sviluppare soluzioni avanzate per i sistemi industriali.
«Volevo tornare a casa, ma dovevo crearmi questa possibilità», dice Zorzi, che fin da bambino ha la passione per la robotica e per “vedere muovere le cose”. Così all’università ha deciso di studiare ingegneria meccatronica. Dopo la laurea triennale, ha proseguito gli studi magistrali al Politecnico di Zurigo (ETH), un’eccellenza nel suo campo di interesse. La storia formativa di Dario, laureato sei mesi fa, è solo in parte diversa: meno sicuro su cosa studiare, in un primo momento ha deciso di intraprendere la strada delle professioni sanitarie. Poi si è reso conto che non faceva per lui, e ha ricominciato con ingegneria, appassionandosi all’informatica e all’elettronica. Dopo la triennale a Trento, ha proseguito gli studi all’estero attraverso il progetto EIT digital, l’iniziativa dell’Unione Europea che organizza doppie lauree di tipo tecnico accompagnate da approfondimenti su innovazione e imprenditorialità. Questo gli ha permesso di uscire dall’Italia per due anni, nei quali ha studiato sia in Francia che in Finlandia.
Due giovani esempi di quella virtuosa circolazione di cervelli, che hanno deciso di tornare a fare la differenza a casa. La loro idea di impresa è stata quella di mettersi in contatto con varie aziende, chiedere di cosa avessero bisogno e proporre degli applicativi intelligenti che risolvessero quei problemi: non creare impianti tailor made per il cliente, ma impianti standard con software che abilitassero modifiche alle singole configurazioni. «Il problema c’è: l’Italia e l’Europa si sono evolute dalla meccanica, e ci sono tantissimi imprenditori che capiscono le potenzialità del software, tuttavia non parlano il linguaggio della robotica avanzata. L’università forma, ma poi non si trova lavoro: questo posso dirlo per esperienza dopo averlo cercato per anni», dice Zorzi. Andando a proporre ciò che entrambi avevano studiato, i due soci si sono resi conto che esiste un grosso divario tra il mondo universitario e quello dell’automazione industriale. «La robotica che si vede uscire dai centri di ricerca spesso non raggiunge le aziende e questo è dannoso per tutti: da un lato ci sono aziende che hanno un disperato bisogno di innovazione, principalmente per pressioni di mercato, dal momento che la competizione è globale. Per di più, fenomeni come la pandemia hanno cambiato il modo di lavorare, e anche la filiera produttiva sta cambiando: c’è la tendenza delle aziende a riportare la produzione nei paesi di origine. Questo però è accompagnato dalla mancanza di personale, frutto di anni di delocalizzazione». Dalla loro analisi, la spinta all’automazione è forte ma non incontra il tipo di formazione con la quale gli studenti escono dalle università. A loro avviso c’è quindi bisogno di un approccio diverso dal punto di vista della formazione, che renda possibile questo dialogo.
Zorzi e Dario sembrano aver trovato il modo giusto per comunicare e per farlo a modo loro. In questo momento sono alle prese con il lancio di un Club di Robotica in collaborazione con l’H-Farm, per provare a svolgere quel ruolo di ponte tra università e imprese. Un progetto che dialoga bene con le priorità dell’azienda: tra queste c’è l’obiettivo offrire la possibilità di tornare in Italia a molti colleghi emigrati all’estero per studiare o lavorare. Questo è uno degli obiettivi nei quali Kaigos vuole investire, collegandolo anche alle possibilità di riuscire a gestire in modo efficace il lavoro da remoto, un aspetto che per loro è naturale, e sul quale vogliono far leva per avvicinare persone che avrebbero intenzione di tornare a vivere in Italia ma non vedono le condizioni per farlo. “Sono molto felice della collaborazione con Marco e Giacomo, il loro entusiasmo verso questi temi è uno straordinario veicolo per far avvicinare al tema della robotica i nostri studenti ma anche tante persone che si avvicinano per curiosità a queste cose” ci ha detto Riccardo Donadon fondatore e chairman di H-Farm: “H-FARM sta diventando sempre di più un luogo che ospita il dialogo e la riflessione sui temi più disparati dell’innovazione e adoro vedere gli spazi del Campus popolarsi di persone competenti come Marco e Dario che portano la loro competenza e contaminano ed ispirano con il loro entusiasmo altre menti sui temi dell’innovazione.”
Dopo nemmeno sei mesi dalla registrazione dell’azienda, stanno già pensando ai passi successivi. «Abbiamo visto che riusciamo a crescere in modo organico, ma ci piacerebbe provare una crescita accelerata». Anche qui, alle loro condizioni. Perché se da una parte vedono quando sia importante che la cultura del software arrivi in Europa, sono convinti che parte della loro forza sta nell’essere teste giovani, con una visone e un progetto chiari: non è il momento per cedere quote a grossi fondi di investimento, finendo per essere gestiti da altri. La loro missione ne risulterebbe depotenziata, mentre quello a cui tengono è mantenere viva la grinta del fondatore, che insieme alle competenze, è di certo una delle caratteristiche più evidenti di questi due giovani imprenditori.
Di Alberto Di Minin e Norma Rosso