Tutti possiamo puntare in alto e fare grandi cose.
Ne siamo sicuri? Secondo Adam Grant sì, e lo scrive chiaramente nel suo ultimo libro “Il potenziale nascosto”, edito in Italia da Egea. Per molti lettori, Grant non ha bisogno di introduzioni; per chi ancora non lo conoscesse, possiamo ricordare la sua professione di psicologo delle organizzazioni presso la Wharton School, dove è stato nominato miglior professore per sette anni consecutivi, e l’attività di autore di libri, TED-Talk e podcast di successo, come Re:Thinking. Grant è stato inoltre inserito nella classifica dei dieci pensatori più influenti al mondo nel campo del management e nell’elenco 40 under 40 di Fortune.
Abbiamo letto il suo ultimo libro, affrontandolo da punti di vista diversi: Alberto come docente di management dell’innovazione e Norma come autrice appassionata di narrazione e attualità. Sebbene i due approcci abbiano stimolato riflessioni differenti sul libro, in linea generale possiamo dire che “Il potenziale nascosto” è senza dubbio un testo stimolante, strutturato secondo il felice bilanciamento tra casi di vita reale e ricerca scientifica, tra le quali si incontrano quelle dei Raging Rooks, squadra di giovani scacchisti statunitensi emarginati e di colore che diventarono campioni nazionali negli anni ‘90, quella di Evelyn Glennie, prima persona a costruire una carriera come percussionista solista, e Steph Curry, ampiamente considerato il miglior tiratore della storia dell’NBA. Uscire dalla propria comfort zone, identificare delle efficaci strategie di apprendimento, sperimentare: questi in estrema sintesi i consigli di Grant per crescere come individui sfruttando competenze che non pensavamo neanche di avere.
Nelle tre parti che compongono il libro, Grant prende in esame gli approcci e gli strumenti che permettono a chiunque di esprimere il proprio potenziale, in particolare quello nascosto. Lo fa a partire dal carattere, che viene definito come “la capacità appresa di vivere secondo i propri principi”. Una capacità che, secondo uno studio esposto nelle prime pagine del libro, si inizia ad apprendere nella scuola dell’infanzia: secondo lo studio, una volta raggiunti i 25 anni, gli studenti che hanno avuto maestri d’asilo più esperti guadagnano molto di più dei loro coetanei. La prima riflessione nasce proprio da questo, ossia dalle difficoltà che esistono in Italia rispetto all’accesso agli asili nido e alla sottovalutazione del lavoro svolto dagli insegnanti in generale, e nello specifico nelle classi primarie.
Affrontato poi dal punto di vista degli studi di management, leggere “Il potenziale nascosto” ci permette di affrontare tre capitoli fondamentali della gestione dell’innovazione. Il primo è l’ambidexterity, cioè la capacità dei leader di azienda di creare le condizioni necessarie affinché le anime opposte della loro realtà possano dialogare in modo creativo. Usato per la prima volta nel 1976 da Robert Duncan, questo concetto è stato reso celebre dai lavori degli anni Novanta di Michael Tushman e Charles O’Reilly. Vecchio e nuovo, esplorazione ed efficienza, disciplina e innovazione: queste componenti devono essere presenti all’interno della realtà aziendale, ma non possono vivere vite parallele. Affinché si realizzi uno scambio sano e creativo, queste anime devono stare una a supporto dell’altra. Una predisposizione che presuppone la capacità di mettersi costantemente in gioco, di accogliere e gestire una condizione di disagio, descritta molto bene da Grant nel momento in cui racconta il processo di apprendimento di due poliglotti, che hanno iniziato a esserlo dopo anni di faticoso e improduttivo apprendimento delle lingue. Queste persone, infatti, hanno imparato nuove lingue gettandosi in situazioni in cui non erano in grado di comunicare, ma non avevano alternativa se non quella di provarci. E nel buttarsi, non hanno solo accettato il disagio, ma hanno addirittura deciso di amplificarlo attraverso il coraggio di commettere ancora più errori, cosa che ha permesso loro di comunicare in una lingua nuova fin dai primi giorni di apprendimento e di accelerare di molto il processo, rendendolo per di più efficace.
Il secondo insegnamento di management celato tra le pagine di “Il potenziale nascosto” si aggancia al concetto di absorptive capacity, applicato al management da Wesley Cohen e Daniel Levinthal nel 1990 per discutere della capacità di un’organizzazione di identificare, assimilare, trasformare e usare le conoscenze, le ricerche e le pratiche a essa esterne. Possiamo rintracciare questo aspetto nella parte in cui Grant espone il concetto di impalcature e il loro utilizzo. «Il modo migliore per sbloccare potenzialità nascoste» scrive, «non è stringere forte i denti e finire il duro lavoro che ci aspetta. È trasformare la fatica quotidiana in una fonte di gioia quotidiana». L’impalcatura consiste quindi in una forma di appoggio mirata e transitoria che permette a ciascuno, giovani come imprese, di indirizzare apprendimento e crescita, di finalizzare gli sforzi e rafforzare le nostre competenze nell’ottica di assorbimento di competenze nuove e di miglioramento continuo. Un’organizzazione, così come un individuo, deve identificare impalcature/modalità appaganti e sostenibili di assorbire nuova conoscenza. Un esempio è quello di Maurice Ashley, l’allenatore dei Raging Rooks, che iniziava a spiegare gli scacchi partendo dai modi per dare scacco matto all’avversario, facendo dunque leva sugli aspetti più esaltanti del gioco, piuttosto che dare informazioni tecniche sui movimenti previsti per ciascun pezzo, come facevano invece i suoi colleghi. Così facendo, Ashley forniva ai suoi studenti un’impalcatura temporanea utile a far trovare loro le giuste motivazioni per imparare e praticare.
L’ultimo strumento di management, a cui Grant sembra strizzare l’occhio nella terza parte del libro, è il design thinking, ossia l’attitudine a progettare soluzioni innovative partendo dall’osservazione empatica dei soggetti ai quali tali soluzioni sono rivolte e mettendole in pratica fin dal primo momento sotto forma di prototipi, per valutare quali siano i loro punti di forza e quali le debolezze. Si tratta di una metodologia pensata e sviluppata a Stanford, già negli anni 60 presso il dipartimento di ingegneria meccanica da John Arnold, e poi applicata/popolarizzata con successo da David Kelley e Tim Brown in IDEO. Grant invece discute del valore dell’osservazione empatica analizzando il metodo delle scuole finlandesi, le quali dal 2012 in poi hanno ottenuto i migliori risultati nei test OCSE sulle competenze dei loro studenti in matematica, lettura e scienze. Attraverso una serie di riforme, che ha visto per prima cosa una revisione delle modalità di formazione e reclutamento dei docenti, la scuola finlandese è da tempo fondata sulla cultura delle opportunità, nella quale la didattica va adattata alle singole persone. Ciò non significa necessariamente lavorare con piccoli gruppi ma significa invece sperimentare un sistema di prassi che permette agli insegnanti di conoscere bene le persone che hanno davanti (grazie alla continuità di almeno due anni di insegnamento, la presenza di team dedicati al benessere degli studenti e un sistema che spinge i giovani all’agentività) ottenendo il risultato di motivare gli studenti a cogliere le opportunità fornite. In tutto ciò, è fondamentale il ruolo degli insegnanti, che proprio per questo hanno stipendi molto alti e un grande riconoscimento sociale del loro ruolo.
Abbiamo chiesto a Nicola Bellé, docente di Management alla Scuola Sant’Anna, che da tempo segue i lavori di Adam Grant di commentare questo ultimo libro. “Il potenziale nascosto segna una nuova tappa nel viaggio che Adam Grant ha iniziato circa vent’anni fa, esplorando cosa motiva le persone e come possiamo arricchire la nostra vita, sia professionale che personale. Grant affronta interrogativi che toccano profondamente molti di noi, utilizzando il meglio della psicologia organizzativa. Coniugare rigore metodologico e concretezza è una qualità di Adam che mi ha sempre impressionato, sin dalle nostre prime interazioni durante la stesura del suo precedente libro Give & Take. Come pochi altri, riesce a essere al contempo un punto di riferimento per la comunità accademica e una fonte di ispirazione per milioni di lettori.” Nicola ha portato diversi contenuti sviluppati da Grant in classe e gli chiediamo se anche questo testo può essere rilevante per manager e imprenditori. “Tra i numerosi spunti offerti da Il potenziale nascosto, due in particolare hanno catturato la mia attenzione, poiché credo arricchiscano in modo significativo i lavori precedenti di Grant. Il primo riguarda le strategie per coltivare la perseveranza e la tenacia, facendo leva sulla nostra motivazione intrinseca. Realizzare il proprio potenziale richiede una disciplina straordinaria, necessaria per resistere alla tentazione di gratificazioni immediate in favore di una crescita a lungo termine. Attraverso una serie di esempi di personaggi di successo, Grant illustra come il cosiddetto gioco deliberato consenta di mantenere alta la disciplina e scongiurare il boreout, una condizione di demotivazione che si verifica quando un’attività diventa noiosa, monotona o priva di stimoli, portando a una perdita di interesse e, spesso, al desiderio di abbandonarla. Il secondo spunto ha implicazioni per l’esercizio della leadership. Secondo Grant, l’imperfezionista proattivo incarna le competenze caratteriali necessarie per realizzare appieno il proprio potenziale. A differenza del perfezionista, che spesso fallisce a causa della sua avversione agli errori e alle critiche, confinandosi in una zona di comfort sempre più ridotta, l’imperfezionista proattivo accetta e pianifica una quota di errori come parte necessaria del percorso di crescita. Questa visione stimola una riflessione sugli stili di leadership che possono supportare e coltivare le competenze caratteriali identificate da Grant. Tra le pagine del libro si delinea la figura del leader-coach, che non solo accetta ma incoraggia una quota di errori, utilizzandoli per fornire ai collaboratori feedback su come migliorare in futuro.”
Il libro si conclude con 40 suggerimenti pratici per sbloccare il proprio potenziale nascosto e un rimando al sito di Grant per testarlo. Consigli e test utili, ma che ci fanno tornare alla domanda con la quale abbiamo aperto l’articolo. Siamo sicuri che proprio tutti vogliano e possano liberare il loro potenziale nascosto? Al di là delle personali condizioni di partenza, sulle quali il libro non si sofferma più di tanto (il solo fatto di avere il tempo e le risorse per poter leggere un libro del genere sono fattori da tenere in considerazione prima di arrivare alla facile conclusione “se vuoi, puoi”), esistono anche resistenze intrinseche a ciascuno, come l’opposizione a uscire dalla propria comfort zone e decidere di sperimentare piuttosto che andare sul sicuro: tutti elementi che ci fanno concludere che se il potenziale è presente in ognuno di noi, c’è chi vedrà questo libro come un ottimo strumento per esprimerlo e chi preferirà tenerlo nascosto.
Di Alberto Di Minin e Norma Rosso