Nel mese di dicembre, il National Biodiversity Future Center (NBFC) ha fatto visita a quindici degli 80 parchi e aree protette beneficiarie del finanziamento promosso dal CNR insieme ad NBFC. Ad avere la fortuna di conoscere e vedere di persona le realtà coinvolte sono stati due degli autori di questo pezzo: Giorgio Scarnecchia e Norma Rosso, rispettivamente biologo e project manager membro della segreteria tecnica dell’HUB di NBFC, e autrice esperta di comunicazione che collabora da tempo con l’Istituto di Management della Scuola Sant’Anna di Pisa.
Il filo rosso che lega le prime quindici realtà incontrate è l’aver vinto il bando parchi e aree protette CNR/NBFC, il quale, grazie a un finanziamento di circa 200mila euro per ciascun vincitore, ha l’obiettivo di promuovere progetti che riescano a innovare la gestione della biodiversità: monitorandola, preservandola, ripristinandola e dandole valore non solo sociale e ambientale, ma anche economico. La modalità con cui NBFC vuole realizzare questa finalità passa attraverso la creazione di una rete che unisca ricercatori, istituzioni, enti pubblici e privati: andare a conoscere di persona le realtà coinvolte fa parte del lavoro necessario per intessere questa rete di relazioni.
Muovendosi tra Lombardia, Valle d’Aosta, Piemonte e Liguria, Norma e Giorgio hanno potuto incontrare le persone che animano i diversi progetti, entrando in contatto con gli enti gestori e i professionisti che operativamente sono stati coinvolti nella realizzazione delle attività. Questo ha significato sedersi di persona intorno a un tavolo e prendere parte a ricche sessioni di ascolto e confronto, durante le quali è stato raccontato lo stato di avanzamento dei progetti e ci si è confrontati su ruoli, criticità e possibili sviluppi nel rapporto tra i parchi e NBFC.
Ma ha significato soprattutto andare sul campo: camminare per boschi e rive di laghi (a volte entrarci dentro, con una piccola imbarcazione), arrivare con fuoristrada su cantieri paludosi e stare in silenzio per cogliere il passaggio di un martin pescatore o di un porciglione; assaggiare miele cercando di riconoscere nei suoi aromi le piante circostanti, guardare da vicino i residui di pelo lasciati da un micromammifero su un hair tubes, o fingersi un uccello e osservare tutto dall’alto con l’aiuto di un drone. Due settimane ricche di bellezza e scambi umani, con gli scarponi ai piedi, il cellulare sempre pronto a fare video e foto, e la testa in continuo fermento di idee e proposte stimolate dagli incontri.
Tutti i progetti finanziati sono diversi, poiché perfettamente calati sul territorio, ma al tempo stesso presentano dei caratteri simili. Un aspetto che hanno in comune quasi tutti, per esempio, è l’attività di monitoraggio delle specie presenti nelle varie aree protette. Attività che è stata vista declinata in varie forme: dagli hair tubes, citati poco fa, e distribuiti a Milano al Parco Nord per poter trattenere (sulle loro pareti collose) parti di peli di micromammiferi presenti nel parco – tubi che in alcuni casi vengono vandalizzati dai morsi degli scoiattoli grigi presenti nel parco; ai rilevatori di pipistrelli, utilizzati nel Parco di Montemarcello, che permettono di registrare, riconoscere e trasformare gli ultrasuoni emessi dai chirotteri in suoni udibili dall’orecchio umano; passando per i sensori IoT Spectrum utilizzati al Parco Groane, che si concentrano sul monitoraggio e l’analisi degli insetti; fino ad arrivare all’utilizzo del DNA ambientale, tecnica innovativa presente in molti progetti, tra cui quelli seguiti da Regione Liguria, che attraverso il prelevamento di piccoli campioni di materiale (per esempio, pochi millilitri di acqua di una pozza) permette di rilevare le specie presenti in un’area. Strumenti di monitoraggio, questi brevemente illustrati, che costituiscono solo una piccola parte di quelli utilizzati e declinati in vario modo dai singoli progetti, le cui attività vanno oltre il già enorme sforzo di documentazione delle specie presenti nell’area da preservare e custodire.
Buona parte di questa attività, infatti, non può essere fatta senza sensibilizzare la popolazione rispetto alla ricchezza e al valore che si rischia di perdere se non ci si pone in un’ottica di conservazione degli habitat e delle specie in essi presenti. Per questo sono molte le attività che riguardano la comunicazione, come la creazione di una piattaforma che misuri l’impatto di un’azione umana sulla biodiversità, in via di sviluppo presso il Parco nazionale del Gran Paradiso; o il progetto di educazione alla convivenza tra uomo e lupo avviato nel Parco Mont Avic insieme a quattro allevatori locali, coinvolti nel monitoraggio dei predatori alpini; oppure ancora, il corso di riconoscimento di muschi promosso dalla Comunità Valli del Verbano con il coinvolgimento di uno dei pochissimi esperti su questo tema estremamente affascinante. Dall’habitat così piccolo da essere osservato con il microscopio portatile, agli ettari di suolo da monitorati dal Parco Lambro con il volo di droni di ultima generazione, progettati per creare immagini complesse in grado di fornire un report dettagliato e valutare così lo stato della biodiversità.
Dal piccolo al grande, dalla conservazione all’educazione, la varietà dei progetti abbraccia ogni campo, compreso il restauro ecologico, espressione con la quale si intende il processo di assistenza al ristabilimento di un ecosistema che è stato degradato, danneggiato o distrutto.
In questo ambito si colloca il progetto del Parco nazionale delle Cinque Terre, che ha avviato la creazione di un centro di ricerca: la prima azione del centro sarà la coltura, riproduzione e propagazione dell’alga bruna Cystoseira, capace di creare un ecosistema complesso in grado di dare ospitalità e rifugio a numerosi altri organismi oltre a produrre ossigeno e sequestrare CO2 dall’ambiente. Sempre nel campo del restauro ecologico sono state visitate la Riserva naturale Torbiere del Sebino e la Riserva Naturale Pian di Spagna. La Riserva naturale Torbiere del Sebino – un insieme di specchi d’acqua, piccoli boschi, canneti e prati che costituisce una delle zone umide più estese della Pianura Padana centrale – sta lavorando all’implementazione delle isole galleggianti formate da canneti per la fitodepurazione e il riparo degli animali; mentre la Riserva Naturale Pian di Spagna ha avviato il ripristino di argini tradizionali – ricostruiti da persone che quegli stessi argini hanno visto far funzionare dai propri nonni – per il recupero e le gestione delle aree umide artificiali.
Gli ambiti in cui i parchi e le aree protette si sono cimentati nel trovare soluzioni innovative per i loro progetti riguardano anche il mantenimento e la gestione. Un esempio per il primo caso riguarda il progetto promosso dal Parco del Beigua – riconosciuto dal 2015 come sito Unesco – ha tra i suoi obiettivi il ripristino dell’attività agro-pastorale per preservare le praterie di montagna; per la gestione citiamo invece il caso del Parco della Pineta di Appiano Gentile e Tradate, che sta sviluppando un modello di gestione integrata che coinvolga i Parchi Locali di Interesse Sovracomunale (PLIS) per uscire dai confini delle aree protette e guardare a un territorio ampio, così da ottenere un impatto concreto e duraturo, che passa anche attraverso il coinvolgimento dei cittadini. Proprio per questo, molti progetti presentano attività di citizen science, ossia la scienza che si realizza con il contributo del cittadino. Tra questi, il progetto del Parco Lombardo della Valle del Ticino, che promuoverà una campagna di questo tipo per la mappatura dei batraci (rane e salamandre per chi non è del mestiere, ma risveglia così ricordi scolastici di eco leopardiana) e il progetto della zona di protezione speciale del Lago Maggiore, dove l’obiettivo di aggiornamento della carta degli habitat verrà realizzato anche grazie al coinvolgimento della cittadinanza nella raccolta dati e nel monitoraggio della fauna locale.
Termina qui questo breve racconto – il primo di una serie – in cui si è tentato di condensare due settimane ricche di bellezza naturale ed entusiasmo di tanti operatori che dedicano la loro vita al presidio della biodiversità. Uno degli aspetti più significativi è stato infatti conoscere le persone coinvolte, che da tempo si impegnano per preservare la ricchezza del pianeta “nell’interesse delle future generazioni”. Hanno iniziato a farlo tra mille difficoltà e in condizioni spesso non favorevoli, attivandosi ben prima che l’Articolo 9 della nostra Costituzione fosse modificato, includendo un esplicito riferimento agli ecosistemi e alla biodiversità. Questa volta, nel contesto di un programma finanziato proprio da Next Generation EU – esplicitamente rivolto all’interesse delle future generazioni – queste persone hanno ricevuto un supporto per tirare fuori dal cassetto un progetto che rimaneva lì da un po’, per carenza di competenze, o di risorse, o perché non c’era il contesto giusto per farlo partire. Si tratta di progetti innovativi e come tali vanno considerati: l’esito dell’innovazione è per definizione incerto, aleatorio, quindi non è scontato che tutti i beneficiari arrivino ai risultati dichiarati, nei tempi e nei modi previsti. Questo fa parte del gioco, e noi sappiamo per chi fare il tifo!
Di Alberto Di Minin, Norma Rosso, Giorgio Scarnecchia