Il purpose aziendale non è una novità: le sue radici affondano nella storia, dall’antica Roma alla East India Company. Già nell’epoca romana, esistevano organizzazioni come le Societas Publicanorum, aziende private che ottenevano appalti pubblici per gestire attività cruciali come la creazione di infrastrutture, le miniere e la riscossione dei tributi. Queste società erano vere e proprie antenate delle moderne aziende a capitale condiviso, con investitori che acquistavano quote per finanziare le operazioni. Pur agendo come imprese commerciali, avevano un purpose chiaro e strettamente legato al bene pubblico, poiché operavano su mandato statale per rispondere a bisogni collettivi.
Secoli dopo, l’idea di un purpose aziendale esplicito emerge chiaramente negli statuti delle prime grandi aziende incorporate. Nel 1602, la Dutch East India Company (Compagnia Olandese delle Indie Orientali) dichiarava il proprio purpose in termini di commercio, come un contributo alla prosperità della Repubblica olandese. Allo stesso modo, le prime aziende americane menzionavano chiaramente nei loro atti costitutivi il loro impatto positivo sulla società, come la Phoenix Insurance Company nel 1807 o l’Albany Manufacturing Society nel 1809.
Insomma, il concetto di purpose, ovvero la contribuzione positiva e strategica dell’azienda al benessere del pianeta e della società, non è una moda recente, ma un filo rosso lungo la storia dell’impresa. Negli ultimi anni, però, è stato riscoperto, anche in Italia. Sebbene spesso non sia formalizzato (32% dei casi), la maggior parte dei manager italiani (51%) ne riconosce l’impatto positivo, come evidenziato da una recente ricerca dell’Osservatorio Purpose in Action della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con BVA Doxa e OpenKnowledge.
Tuttavia, questa nuova ondata di entusiasmo ha portato con sé anche il rischio del purpose-washing, ovvero l’uso strumentale di dichiarazioni di intenti prive di coerenza con le strategie aziendali. Specialmente con un purpose non formalizzato, il gap tra il dire e il fare è sempre in agguato! Ma gli stakeholders, sempre più attenti, se ne accorgono in fretta.
Anche per rispondere a questa sfida, nell’agosto 2024 è stata avviata una consultazione globale per creare uno standard internazionale dedicato alle organizzazioni purpose-driven. Con un ampio consenso, è nato il processo di sviluppo dell’ISO 37011, uno standard che fornirà linee guida su come definire e attuare il purpose in modo autentico e operativo tramite il sistema di governance. Il progetto coinvolgerà fino a 172 Paesi, con la partecipazione di enti nazionali di normazione e organizzazioni qualificate, segnando un passo cruciale verso una maggiore trasparenza e responsabilità aziendale.
«Questo è un momento cruciale per coloro che lavorano duramente per costruire un futuro sostenibile,» afferma la Dr.ssa Victoria Hurth, Project Leader dell’ISO 37011. «Serve consolidare un linguaggio condiviso, obiettivi concreti e un quadro d’azione per garantire una gestione focalizzata sui risultati desiderati, non per risultati insostenibili che minano l’obiettivo comune del benessere a lungo termine per tutti. Se non possiamo descrivere nel dettaglio come appare questa governance, le nostre decisioni saranno sempre fuori rotta. Ora è il momento di farlo».
In Italia, il processo ISO è coordinato dall’UNI – Ente Italiano di Normazione, un’associazione privata senza scopo di lucro che da oltre 100 anni studia, elabora, pubblica e diffonde gli standard. Il suo ruolo sarà determinante per adattare il nuovo standard al contesto italiano, offrendo alle imprese un quadro di riferimento chiaro e condiviso.
Il purpose non è solo un nuovo slogan o una dichiarazione di buone intenzioni. Il profitto è sempre stato un mezzo per un fine e le imprese hanno sempre operato con un purpose al di là del profitto, che fosse costruire infrastrutture nell’antica Roma o promuovere il benessere nazionale nelle prime società commerciali.
Oggi, con l’arrivo della ISO 37011, le imprese avranno l’opportunità di dare al loro purpose una direzione concreta e strutturata che si allinea con i nostri migliori interessi collettivi e rimuovere le incredibili tensioni che il disallineamento porta. Riusciranno a trasformare il loro purpose in un vero motore di innovazione e cambiamento, liberando così il loro potenziale come autentiche imprese?
Di Alberto Di Minin e Vittorio Cerulli