Continua il viaggio di Fuoriclasse tra i casi di innovazione nell’ambito della biodiversità, dopo aver discusso dei droni di Morfo, ci spostiamo in Danimarca, per parlare di specie aliene. Dei pesci scorpione avvistati nei mari della Calabria e del granchio blu nel delta del Po abbiamo letto sui giornali nel corso dell’estate. Oggi vorremmo parlare di ciò che accomuna la presenza di questi animali nel Mediterraneo e l’azienda danese Bawat, impegnata nel trattamento delle acque di zavorra. Per giustificare brevemente questa associazione potremmo dire che i primi minacciano la biodiversità marina, dove la seconda lavora per tutelarla. E lo fa attraverso una tecnologia unica e innovativa che ci siamo fatti raccontare da Marcus P. Hummer, CEO di Bawat.
Per entrare nel dettaglio è meglio chiarire alcuni aspetti. A partire dal pesce scorpione, un bellissimo e velenoso pesce originario del Sud Est asiatico, arrivato nel Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez. Insieme ad altre 280 specie, tra le quali il granchio blu, il pesce scorpione è una delle specie aliene presenti nei mari italiani. In questa categoria rientrano tutti gli organismi viventi introdotti dall’uomo al di fuori del proprio areale. Le conseguenze negative di questa introduzione sono in parte note: alcune specie possono essere invasive, interferire con l’integrità degli ecosistemi, le attività umane (il granchio blu, per esempio, è in grado di tagliare le reti dei pescatori) e minacciare la biodiversità.
Le cause che determinano l’introduzione di queste specie sono varie, e vanno dalle attività di acquacoltura e acquariofilia, al passaggio attraverso canali artificiali, e i traffici marittimi. Di questi ultimi si occupa Bawat. L’azienda ha sviluppato una tecnologia per trattare le acque di zavorra, ossia quelle acque contenute all’interno delle navi per fornire loro stabilità. Queste acque vengono scaricate nei porti di arrivo, con il conseguente riversamento in mare di tutti i microrganismi contenuti: in pratica, un sistema di trasporto di specie invasive che risulta incredibilmente dannoso per il mantenimento della biodiversità.
Dal 2000 il problema è percepito a livello globale e le imbarcazioni devono attenersi alla Convenzione internazionale per il controllo e la gestione delle acque di zavorra e dei sedimenti delle navi, un accordo adottato dall’Organizzazione marittima internazionale. Quando navigano in acque americane, poi, le imbarcazioni devono rispettare anche le norme della guardia costiera degli Stati Uniti, la United States Coast Guard.
Il sistema BWMS elaborato da Bawat prevede l’utilizzo del calore residuo proveniente dal motore principale o da altre fonti di calore delle navi. In questo modo qualsiasi organismo presente nell’acqua di zavorra viene neutralizzato attraverso il processo di pastorizzazione. «Questo sistema è il più sostenibile sul mercato», spiega Hummer. «Non richiede l’uso di agenti chimici o filtri, e comporta una manutenzione semplice». Come ci ha spiegato Hummer, esistono molti metodi, tra i quali l’utilizzo di idrogeno o di luce ultravioletta, cosa che però richiede il trasporto di materiali chimici sulle navi, un fattore di rischio che le compagnie preferiscono evitare.
L’azienda ha anche sviluppato un sistema mobile, il BWMS mobile, che consente il trattamento delle acque di zavorra a terra o su chiatte in porti, terminal e cantieri navali, anche quando un sistema di bordo non è installato o non funziona correttamente. In questo modo è possibile eseguire la manutenzione di un gran numero di navi per unità, evitando installazioni su ciascuna nave, con conseguenti minori costi di trattamento per l’armatore.
Il sistema completamente sostenibile ideato da Bawat sta a poco a poco rivoluzionando un settore come quello del trasporto marittimo, non sempre veloce a reagire ai cambiamenti. Ma questo non è l’unico ambito nel quale la loro tecnologia può essere applicata: l’azienda guarda anche all’agricoltura e in particolare al settore vitivinicolo, dove esistono problemi simili per la gestione delle acque.
Di Alberto Di Minin, Norma Rosso e Gianmaria Ontano