Droni per far rivivere foreste perdute

Nelle rubriche che i giornali dedicano al clima, si fa sempre più fatica a trovare notizie incoraggianti sul futuro. Quella che raccontiamo oggi fa invece parte della categoria buone notizie e speriamo che il suo effetto positivo di contrasto all’ecoansia – se sentite di averla, non siete gli unici – faccia effetto anche su voi lettori. Riguarda Morfo, la startup francese che ha sviluppato un metodo di riforestazione attraverso l’uso di droni, e che tra i suoi valori mette al primo posto la tutela della biodiversità.  

Parlare con Pascal Asselin, cofondatore di Morfo insieme al fratello Hugo e a Adrien Pagès, infonde un vero senso di speranza. Sarà per la giovane età del gruppo (i fondatori della startup hanno in media 26 anni), e per l’efficacia della loro proposta, tanto semplice quanto geniale nell’intuizione. La startup parigina – che a dicembre ha annunciato una raccolta fondi da 4 milioni di euro – è infatti una delle tre imprese al mondo capaci di restaurare gli ecosistemi forestali nativi e diversificati, distrutti dall’attività agricola, mineraria o dall’allevamento. Oltre all’età, anche il background dei tre fondatori è un aspetto senza dubbio interessante. Chi ingegneria, chi economia, i tre hanno avuto una formazione più rivolta all’industria e all’impresa  che alle scienze naturali. E dove non sono stati gli studi, è stata l’esperienza di vita a dare motivazione e guizzo all’impresa: per quanto riguarda i fratelli Asselin, la connessione e l’amore per le foreste sono cresciuti con loro durante l’infanzia in Guinea Francese; e poi la consapevolezza – molto diffusa in chi si occupa di innovazione – di dover guardare all’esterno per trovare le competenze che a loro mancavano. Oggi infatti la startup, oltre ad avere stretti rapporti con laboratori scientifici pubblici, ha al suo interno agronomi ed esperti scientifici con oltre vent’anni di esperienza. 

In Morfo, il processo che porta alla rigenerazione delle foreste è suddiviso in tre fasi. La prima consiste nello studio degli ecosistemi nei quali intervenire, stabilendo la qualità e la quantità dei semi, e i microrganismi da mischiare a essi per compensare l’impoverimento del suolo sfruttato. «La biodiversità è da sempre il nostro focus», spiega Asselin. «Quando ricreiamo una foresta lo facciamo a tutti i livelli, non solo quello arboreo. Non basta piantare due o tre specie di alberi per rigenerare una foresta». Per raggiungere i livelli di piantumazione tali da ricreare una foresta, è necessario un metodo rapido ed efficiente: per questo hanno scelto i droni, che intervengono in questa fase di studio offrendo la base di dati e di immagini necessaria per comprendere le caratteristiche del terreno, le sue necessità e la possibilità che le diverse tipologie di piante possano inserirsi nel contesto da trattare.

 La seconda fase è quindi quella della semina, durante la quale il terreno viene cosparso letteralmente di “bombe di semi”, agglomerati nei quali oltre ai semi sono presenti i nutrienti e i microrganismi che facilitano l’attecchimento delle piante. Con i droni, Morfo riesce a piantare due bombe di semi al secondo, arrivando a coprire tra i dodici e i quattordici ettari al giorno, dove una persona nello stesso tempo riesce a seminare solo mezzo ettaro. 

I droni sono poi coinvolti anche nella terza fase, quella del monitoraggio, che avviene una prima volta a sei mesi dalla semina, poi a dodici e così via. Attraverso i droni, Morfo continua a raccogliere immagini che forniscono informazioni esclusivamente visive, ma più precise di quelle fornite dai satelliti e tali da permettere la valutazione di molti parametri oltre a quello della crescita. All’interno dell’azienda si crea così un circolo virtuoso dal punto di vista della ricerca scientifica: se da una parte il ruolo degli agronomi è fondamentale sia per la progettazione dell’intervento che per la sua effettiva realizzazione, dall’altra l’enorme flusso di dati che vengono raccolti grazie alla tecnologia dei droni permette alla parte scientifica dell’azienda di fare ricerca, trasformando e rafforzando il processo di learn by doing in science by doing.

Le aree nelle quali sono intervenuti finora sono quelle tropicali e subtropicali: hanno iniziato in Guyana Francese, intervenendo in ex miniere, poi si sono impegnati in Gabon e in Brasile, dove parte della clientela di Morfo è rappresentata dai proprietari terrieri. «Ci siamo concentrati su questi ecosistemi perché sono particolarmente umidi e densi, con condizioni che permettono alle foreste di crescere rapidamente e di catturare così molta più anidride carbonica di altri tipi di foreste». 

E se da una parte la biodiversità è fondamentale per il ripristino di una foresta che si sostituisca in maniera armoniosa a  quella originaria ormai scomparsa, da un frane, incendi, scavi minerari o quant’altro, il coinvolgimento delle comunità locali nel progetto rappresenta la garanzia che quel progetto duri nel tempo. Oltre alla biodiversità, infatti, l’impatto sociale è il secondo pilastro nel sistema di valori di Morfo e viene messo in pratica approcciandosi al tema da un punto di vista educativo: per divulgare l’importanza del mantenimento della foresta in opposizione allo sfruttamento del territorio, mostrando quante risorse e benefici la sua crescita può generare. Le popolazioni locali vengono poi coinvolte negli aspetti pratici, dalla raccolta dei semi delle specie autoctone, alla piantumazione, che non avviene sempre attraverso droni: in alcuni casi risulta più efficace seminare manualmente, ed ecco che l’impatto sociale si trasforma in una possibilità di impiego per chi vive in quei territori. Altri impieghi riguardano il suolo, che deve essere preparato prima della piantumazione, o il monitoraggio della crescita della foresta, oppure ancora la raccolta dei semi che le prime piante sono in grado di produrre una volta cresciute. Questo passaggio rappresenta un aspetto fondamentale, perché permette a Morfo di riprodurre il processo di riforestazione in altre zone. 

Se come riportano i dati sul sito di Morfo, il 75% della superficie terrestre è stata alterata dalle attività umane, 80 milioni di ettari dovrebbero essere ripristinati ogni anno ma a oggi ciò avviene solamente per 8 milioni, e nel 2030 le foreste dovranno rappresentare il 35% dei sistemi di cattura dell’anidride carbonica, sapere che qualcosa si muove è rassicurante. «Il nostro obiettivo di comunicazione è produrre un impatto positivo attraverso la diffusione di buone notizie sull’ambiente e il cambiamento climatico. Noi portiamo soluzioni applicabili su grande scala, e promuoviamo l’idea che ci sono cose belle, e stanno accadendo».

Di Alberto Di Minin, Norma Rosso e Gianmaria Ontano