Da qualche mese il sociologo Martin Kenney è venuto a trovarci al Sant’Anna come Visiting Professor, dandoci lezioni sulla platform economy, fenomeno che, oltre a caratterizzarsi come una delle più potenti dinamiche industriali del momento, è diventato oggetto principale della ricerca del Professore di UC Davis e di tanti colleghi aziendalisti, come ad esempio Carmelo Cennamo in Bocconi.
Sarà che Martin è un ottimo docente, sarà che l’argomento è effettivamente affascinante, ma tant’è che ormai vediamo piattaforme un po’ ovunque. Non solamente nel mondo del digitale, che tanto intriga ricercatori e analisti, ma anche (e soprattutto) nelle nicchie di mercato del Made in Italy. Avete presente il video Italy: The Extraordinary Commonplace? La narrazione lanciata dal Ministero dello Sviluppo Economico in occasione di Expo 2015 descriveva (con efficacia) ambiti di attività dove il modello di business della piattaforma ha indubbiamente spazio di sviluppo.
Le piattaforme non sono caratterizzate solamente da grandi burattinai che tirano le fila di giganteschi sistemi produttivi, sono in realtà ecosistemi competitivi e collaborativi, dove tante aziende si inventano nicchie e moduli in architetture complesse in cui posizionarsi. In soldoni, la platform economy rappresenta un’opportunità gigantesca per le piccole e medie aziende. Entrando in una logica di piattaforma è infatti possibile trovare occasioni di collaborazione, nuove modalità di ricombinare i saperi e soprattutto di scalare il proprio business al di là di dimensioni locali.
Gli ambiti del lusso e del design, in particolare, si sviluppano anche grazie a queste dinamiche.
Me ne ha dato un esempio molto singolare Alessandro Pulina, che nel 2014 ha fondato uno studio di architettura specializzato nel pensare gli interni di yacht da sogno. Lo abbiamo incontrato mentre preparava le valigie per il Monaco Yacht Show di Montecarlo, dove il suo studio ha in esposizione alcuni dei progetti realizzati.
Conseguita una laurea in architettura, Alessandro si è fatto le ossa come style manager presso la Azimut-Benetti, per poi mettersi in proprio.
Oggi ci ha raccontato ciò che contraddistingue il suo lavoro da quello svolto da circa una cinquantina di altri studi sparsi in tutta Italia. Alessandro si rivolge a una nicchia di clienti ben precisa offrendo un progetto personalizzato per ciascuno di essi attraverso materiali pregiati, prodotti artigianali e di altissima qualità. “Fondamentale è per noi trovare l’abbinamento estetico che riesca a rappresentare nel migliore dei modi il gusto e la personalità dell’armatore. La ricerca è il fattore chiave e il punto di partenza di ogni progetto per poter realizzare i desideri mutevoli di ogni cliente.”
Premessa per i non addetti ai lavori: è necessaria una certa “sospensione di giudizio” quando si affronta la descrizione di che cosa significhi assecondare le richieste di una clientela come quella di Alessandro. Si tratta di persone pronte a spendere cifre da capogiro per un’imbarcazione dedicata al loro tempo libero. È doveroso però ricordare che non siamo di fronte a capricci di ricconi molto esigenti: dietro le quinte c’è un settore industriale importante in cui la concorrenza è feroce e che crea lavoro per migliaia di artigiani.
La piattaforma yacht è complessa e articolata, il risultato è un oggetto in acqua dal valore di almeno 30 milioni di euro e le quote di mercato dei cantieri italiani sono imbarazzanti per il resto del mondo. Siamo i leader indiscussi in un settore in cui conta la precisione, il design ma soprattutto dove “l’artigianalità è il 1000%”.
Un cantiere specializzato nella produzione di yacht è connotato da dinamiche tipiche della platform economy. I principali attori sono l’armatore, i broker internazionali che procurano le commesse, le maestranze del cantiere, i fornitori specializzati e infine i designer e gli architetti che si occupano di interni ed esterni dei singoli yatch.
Abbiamo cercato di capire quali fossero i fattori chiave e le logiche competitive di questa realtà. Innanzitutto, questo è un ambito in cui il livello di precisione con cui i designer lavorano è più vicino a quello della meccanica fine rispetto al mondo dell’edilizia. “Stiamo lavorando con una tolleranza all’errore che deve essere tarata sul millimetro, mentre in un cantiere si può tranquillamente lavorare sui centimetri” mi spiega Alessandro, ridendo al ricordo di quando ha fatto impazzire gli artigiani che gli stavano ristrutturando la cucina di casa: “Non ci stavamo capendo, parlavamo due lingue diverse: per loro era in bolla un muro che per me era semplicemente storto…”.
Inoltre, la pratica in questo settore si connota per una fortissima componente emozionale dei contenuti e il modo in cui vengono presentati ad una clientela internazionale particolarmente abituata a sentirsi coccolata. Qui la carta dell’italianità paga e convince: il gusto e la nostra heritage sono presenti un po’ ovunque, anche in dettagli che probabilmente neanche noi sappiamo ben identificare e che vanno ben oltre la semplice questione di facciata. Anche per questo, Alessandro non assume solamente architetti, ma anche ragazzi provenienti da istituti d’arte come il Marangoni e il Polimoda di Firenze, che nel tempo sono diventati partner importanti per il suo studio (oggi composto da otto persone).
L’ultimo aspetto che rende unico il lavoro artigianale di questi architetti è stato descritto nel 2003 da Rogelio Oliva (Harvard Business School) e Robert Kallenberg (VP di Porsche) nel loro articolo sul passaggio da un’economia di prodotti ad un’economia di servizi, ovvero lo sviluppo da un’ottica transazionale ad un’ottica relazionale dell’offerta.
Spieghiamoci meglio: un Archistar potrebbe anche permettersi di mostrare il suo biglietto da visita e semplicemente dire allo sceicco di turno: “Se vuole lavorare con me, nessun problema, mi chiami..”, ma nel caso di una boutique di architettura l’approccio deve essere diverso. Quando si accetta una commessa, ci si deve assicurare di seguire il cliente nell’intero corso di sviluppo della sua idea, fornendogli garanzie riguardo alla possibilità di riuscire a portare fino in fondo la realizzazione del progetto. Inserendosi come modulo nella piattaforma yacht, piccole realtà professionali artigianali, possono specializzarsi nell’elaborare approcci freschi e originali, sfruttando infrastrutture e strumentazioni terze per rispondere ad una domanda globale.
È fondamentale che l’industria manifatturiera ed artigianale italiana sappia far proprio e rendere operativo l’approccio della piattaforma. Ciò significa, ad esempio, presidiare i saloni, le fiere e investire nelle infrastrutture necessarie che costituiscono gli asset complementari allo sviluppo della specifica attività.
La sfida è difendere l’immagine di un Paese dove lo straordinario è effettivamente parte del quotidiano: il modello industriale di riferimento per proiettare su scala globale questa visione è spesso quello della piattaforma.
di Alberto Di Minin e Luisa Caluri