In occasione della seconda edizione del corso China Issues che si terrà presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa da gennaio a maggio, #Fuoriclasse pubblica #ChinaIssues ovvero una serie di interviste ai relatori del corso.
Nella scorsa settimana abbiamo ospitato l’intervento Francesco Silvestri sull’intelligenza artificiale e mercoledì 20 febbraio parliamo di internazionalizzazione dei brand cinesi con Lala Hu, docente e ricercatrice di Marketing presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore diMilano e autrice sui blog del Corriere della Sera, La città nuova e La Nuvola del lavoro.
Lala, come sono cambiati negli anni i brand cinesi?
Le aziende cinesi, in particolare del settore tecnologico, hanno fortemente investito nell’innovazione dei propri prodotti, migliorandone il design e la performance che hanno raggiunto, se non addirittura superato in certi casi, i livelli dei competitor occidentali. Pensiamo, per esempio, al settore degli smartphone con brand come Huawei, Xiaomi, Oppo, ma anche a quello dei droni che è dominato da aziende cinesi. Il principale leader di questo settore, DJI, è un’azienda di Shenzhen. Queste innovazioni stanno portando a mutare la percezione dei consumatori internazionali verso i brand cinesi, brand che solo fino a pochi anni fa erano prevalentemente associati a prodotti dal basso prezzo e dalla scarsa qualità. Un altro elemento chiave del successo dei brand cinesi è lo sviluppo di strategie incentrate sul coinvolgimento degli utenti, per esempio Xiaomi ha creato in tutto il mondo la propria community di “Mi Fans”.
Quali sono le loro principali strategie di internazionalizzazione?
Le aziende cinesi sono definite dragon multinationals, ovvero, aziende che si internazionalizzano in breve tempo sin dalla loro nascita fino a diventare leader di settore, grazie all’acquisizione di conoscenze e tecnologie nei mercati stranieri in cui operano. Questo processo d’internazionalizzazione contraddice i modelli tradizionali, basati sull’esperienza di multinazionali occidentali, che adottano prima modalità d’internazionalizzazione indirette, come l’export, passando via via ad approcci più diretti. Le aziende cinesi, invece, solitamente s’internazionalizzano sin da subito in modo diretto, costituendo una propria filiale all’estero oppure acquisendo aziende locali, come nel caso di Haier che l’anno scorso ha acquisito Candy.
Qual è il ruolo del digitale nel mercato cinese?
Il digitale è il principale canale di informazione e d’acquisto in Cina, primo mercato e-commerce al mondo davanti agli Stati Uniti. In particolare, e-commerce in Cina significa m-commerce, infatti gli acquisti vengono prevalentemente fatti da device mobili (cellulari o tablet). Durante l’ultimo Single’s Day, la festa dell’e-commerce cinese, gli acquisti da mobile hanno superato il 90% di tutte le transazioni avvenute nell’arco della giornata. In questo contesto fortemente digitalizzato, tuttavia, non bisogna dimenticare il punto vendita fisico. Il negozio offline mantiene ancora un ruolo rilevante per interagire col cliente, si parla infatti di strategie “omnichannel” o “O2O”, offline to online, dove canale fisico e digitale contribuiscono a creare un’esperienza integrata. Per esempio, l’acquisto può avvenire nel negozio, ma la transazione viene effettuata tramite sistema di pagamento elettronico WeChat Pay o Alipay.
Quali sono le principali caratteristiche dei consumatori cinesi?
Sono “nativi digitali”: costantemente connessi, veloci e più esigenti rispetto a dieci anni fa. Si informano, commentano, interagiscono coi brand e possono decretarne il successo o l’insuccesso. Un caso emblematico è quello di Dolce&Gabbana dello scorso novembre: la campagna diffusa sui social ha portato ad una vera e propria rivolta del popolo web cinese, e ancora oggi i prodotti D&G non sono in vendita sulle principali piattaforme e-commerce cinesi. Proprio in questi giorni, un altro brand straniero è al centro dell’attenzione in Cina: Zara è sotto accusa per aver utilizzato in una campagna una modella cinese con le lentiggini in evidenza, rappresentazione che non corrisponde al canone di bellezza corrente dominante.