I Lucchesi dicono di avere “garbo”. Essere persone garbate è un complimento molto particolare, e se per le strade del centro vi fanno questa osservazione, sappiate che il peso specifico di queste parole è molto maggiore che in altre parti d’Italia.
Proprio a Lucca, presso la Scuola IMT Alti Studi, si è svolta la due giorni di incontro tra ricerca e mercato organizzata da Jotto, l’alleanza tra i centri di trasferimento tecnologico delle Scuole Superiori (Sant’Anna, Normale, IMT, IUSS). L’idea di questo momento di confronto è nata qualche anno fa, anche su suggerimento della Regione Toscana, che oggi patrocina l’evento, e quella della settimana scorsa è stata la seconda edizione del Jotto Fair.
Tecnicamente, la fiera ha avuto come elemento cardine l’incontro tra ricercatori afferenti ad uno di questi Istituti di Ricerca, oltre che SISSA e GSSI, e le imprese iscritte. Il ritmo è stato scandito dai pitch dei team di ricerca, e l’ampio spazio lasciato ai momenti one to one di cui lo staff teneva con attenzione l’agenda.
Per i corridoi dell’IMT si respirava un’aria molto particolare: era come se il garbo lucchese avesse contagiato i partecipanti alla fiera. Ho notato infatti grande umiltà nel presentarsi ed estrema apertura al confronto. È stato un ricercatore della SISSA a spiegarmi che “qui non bisogna solo dimostrare di essere tecnicamente/scientificamente bravi, è necessario capire il linguaggio e le esigenze di chi ho davanti, entrare in un rapporto empatico con l’azienda che mi chiede di risolvere un problema tecnico.” Non male! Un Normalista con h-index ben superiori ai miei mi ha fatto notare: “ma secondo te, ha senso presentarsi ad un imprenditore e parlare di indici bibliometrici e impact factor? Cosa vuol dire? Cosa gli rimane di una frase tipo: il mio paper ha avuto 50 citazioni…?”
Un imprenditore ha tenuto a sottolinearmi che lui era lì perché convinto che dalla ricerca potevano emergere nuove idee e leve per il vantaggio competitivo di domani: “nell’instaurare un rapporto di collaborazione con ricercatori universitari, io non devo pormi nell’ottica del problem-solving di breve termine: ho notato che tante aziende, nell’interagire con le università, vanno in caccia di consulenze a basso costo. Non è questo il punto!”. Parole sagge, e molto complesse da calare nella realtà dei fatti, dove un ricercatore e un manager hanno inevitabilmente obiettivi molto diversi, orizzonti temporali che non coincidono.
Il successo di iniziative come quelle promosse da Jotto si basa sul fatto che anche il responsabile di un laboratorio deve far tornare i conti alla fine del mese, rinnovare assegni di ricerca, borse e cococo e trovare i fondi per nuove posizioni e strumentazioni di ricerca. Al contempo, manager ed imprenditori non sono costantemente all’inseguimento degli obiettivi trimestrali. Essi sanno alzare la testa dal computo dei pezzi che verranno fatturati per guardare oltre. Tanti sono sempre più consapevoli che investire in attività di ricerca e innovazione vuol dire attivare un flusso di cassa in uscita con dei ritorni aleatori nel breve e nel lungo periodo.
Aggiungo un’altra considerazione su questa giornata. È interessante e singolare che gli uffici della terza missione si propongano di organizzare dei momenti di incontro tra staff di ricerca e impresa per lo sviluppo di nuovi progetti scientifici: non dovrebbe essere loro compito quello di valorizzare il patrimonio di brevetti e spin-off delle università? Non dovrebbero essere valutati sul numero di contratti di licenza e per lo sviluppo di start-up innovative fondate da docenti e ricercatori?
L’esperienza di Jotto, dimostra che il supporto al trasferimento tecnologico non sia il solo ruolo della funzione terza missione. Il rapporto di fiducia che un ufficio di interfaccia crea con ricercatori e imprese può essere strumentale all’attivazione di nuovi progetti di ricerca, promossi dalle aziende o suggeriti da ingegneri e scienziati. I risultati della prima edizione di Jotto, a quasi due anni di distanza, sono soddisfacenti: diversi i contratti di ricerca attivati, tanti i contatti creati tra soggetti che prima non si conoscevano. Ad osservare queste dinamiche, la nuova leadership di Scuola Sant’Anna e IUSS di Pavia, che insieme a Scuola Normale e IMT di Lucca avrà il compito di rinnovare il mandato di Jotto, facendo tesoro di una modalità diversa di fare terza missione.
È difficile accettare posizioni dogmatiche su quello che un ufficio di trasferimento tecnologico deve e non deve fare. Buona ricerca, risorse e professionalità sono ingredienti essenziali, ma proprio nel giorno in cui scadevano le domande per le candidature all’Advisory Board dell’European Innovation Council, l’esperimento Jotto ci ricordava che chi lavora in una posizione di interfaccia tra ricerca e mercato, può imparare a muoversi in maniera attenta, costruendo un rapporto di fiducia con i propri stakeholders.
La terza missione si compie anche con garbo… senza ricorrere all’arroganza di ricette pre-confezionate & disruptive.
Di Alberto Di Minin