Il 23 aprile i capi di governo degli stati membri della UE si riuniscono nel tentativo di mediare una soluzione congiunta alla crisi pandemica. In gioco c’è il futuro stesso del modello Europa.
Nel 2010 Nokia era azienda leader nella telefonia mobile. Eppure, nel giro di un anno, le quote di mercato crollarono in favore dei rivali Apple con la piattaforma iOS e altri basati su Android di Google (Samsung, LG…), decretando l’estinzione della piattaforma Symbian, e con essa, la fine della leadership di Nokia, suo principale promotore e cliente. A differenza delle piattaforme guidate da Apple e Google, non emerse mai un ecosistema integrato intorno alla piattaforma Symbian. Quando spieghiamo in classe il “caso Nokia” evidenziamo i limiti di un sistema di governance duale e conservativo basato su un conflitto di interesse tra i membri della comunità, in grado di gestire processi di cambiamento incrementale, ma non in grado di promuovere innovazione discontinua, ovvero cavalcare i segnali di disruption, a volte fondamentali per lo sviluppo della comunità stessa.
Ci sono diverse analogie tra la governance dell’Unione Europea di oggi e la Nokia di dieci anni fa. La mancata azione coordinata in risposta alla crisi legata alla pandemia del coronavirus è solo l’ultima di una serie di eventi in cui il modello di governance “comunitario” ha risposto difendendo i propri meccanismi di funzionamento, piuttosto che intercettando le possibilità di cambiamento offerto da queste discontinuità: si pensi alla crisi finanziaria o all’emergenza immigrazione. Con il risultato di una convergenza su posizioni conservative ma non incisive.
Davanti alle discontinuità rappresentate dall’attuale contingenza, è cruciale per l’Europa rivedere il suo modello di governance, passando dall’essere una comunità chiusa su sé stessa ad un ecosistema integrato.
Il processo decisionale basato sul consenso all’interno della comunità ha evidenziato tutti i suoi limiti; si continua a dimostrare complesso, farraginoso, non in grado di far emergere una chiara leadership che assorba le esternalità (positive e negative) dei vari stati membri della comunità e ne crei una sintesi. Coordinare, dal latino cum-ordinare, significa mettere in ordine, organizzare insieme ad altri queste esternalità e presuppone la conoscenza delle varie attività degli stati membri e loro interdipendenze; quindi, una condivisione di infrastrutture e un controllo sui dati.
La UE ha un modello di governance tipico delle comunità organizzative, un ibrido a cavallo dei due modelli canonici di coordinamento: quello decentralizzato del mercato, dove gli agenti coordinano in autonomia le proprie attività attraverso il meccanismo dei prezzi, ed il modello centralizzato delle organizzazioni aziendali, dove il coordinamento è esercitato tramite meccanismi di autorità decisionale su base verticistica. A Bruxelles si sono stratificati meccanismi di committologia, e trilogo (tra Commissione, Parlamento e Consiglio) che si pongono come obiettivo quello di preservare l’autonomia di azione dei propri componenti ma allo stesso tempo fanno leva su comitati composti da alcuni membri di riferimento per definire l’identità e direzione della comunità, quindi indurre un certo coordinamento. Ogni evento ed attività che non ricada nelle norme e regole di funzionamento della comunità non sono sotto il controllo di alcun ente e richiedono una convergenza da parte dei membri sulla definizione di termini comuni per la loro gestione. Ne risulta una risposta alle crisi con un’azione coordinata che è lenta e difficile. Inoltre, la UE non è in grado di dare credito o amplificare la forza di esperimenti messi in campo da singoli stati membri.
Un diverso modello di governance per superare questi blocchi esiste; è quello degli ecosistemi di innovazione, quali le piattaforme di servizi e apps di Apple o Android. I membri (fornitori di servizi e apps) preservano la propria autonomia decisionale ed operativa – ognuno decide cosa produrre, in quale modalità offrire il servizio e a che prezzo. Al contempo, si richiede l’adozione di pratiche standardizzate da parte dei membri dell’ecosistema, oltre che la condivisione di regole di membership e partecipazione gestite dalla piattaforma, che esercita la leadership dell’ecosistema. È questo controllo dei dati e dell’informazione che permette alla piattaforma di avere una visione d’insieme dell’ecosistema ed una conoscenza superiore ai singoli membri, e quindi di esercitare una funzione di coordinamento dell’intero ecosistema.
Applicata all’architettura del sistema politico-organizzativo della UE, un modello di “ecosystem governance” permetterebbe agli stati membri di non svuotarsi di poteri politici e decisionali. Richiederebbe l’istituzione di infrastrutture comuni, sotto la guida della Commissione UE, attraverso le quali i singoli stati membri conducono le proprie attività di governo (ad esempio, un data hub unico per il controllo e prevenzione delle malattie, ma lo stesso modello può essere applicato a energia, difesa, trasporti, istruzione..). Questo permetterebbe di sperimentare diverse politiche a livello locale, pur garantendo allo stesso tempo uno standard comune e un coordinamento a livello europeo.
Oggi l’Europa è chiamata a scelte coraggiose, innovative, non conservative. Da questa crisi potremmo uscire sentendoci più divisi nei nostri confini nazionali o maggiormente integrati tramite il progetto di infrastrutture comuni. La governance dell’ecosistema, meglio delle logiche comunitarie, può far convivere le autonomie nazionali nell’ambito di un destino comune europeo.
Di Carmelo Cennamo e Alberto Di Minin
pubblicato sul Sole 24 Ore di domenica 19 Aprile 2020