Come insegnare management dell’innovazione? Come illustrare percorsi di crescita aziendale a studenti e professionisti? Se c’è una parola chiave che ha guidato lo sviluppo degli approcci didattici e di ingaggio in questi anni è lo storytelling. Partire dall’esempio di persone che ce l’hanno fatta è stata un po’ l’ossessione dei progetti di riforma di master, percorsi di formazione continua, webinar e corsi brevi. Lezioni troppo teoriche, casi di studio troppo lontani sono stati sostituiti dal racconto di esperienze molto concrete offerte dalla viva voce del protagonista: un imprenditore, un manager, un consulente. Parallelamente, si è anche sviluppato il livello qualitativo di un’abbondante offerta di testimonianze e documentari incentrati sull’esperienza di professionisti: basti pensare agli innumerevoli TEDx e all’espansione della piattaforma Masterclass, incentrata proprio su lezioni di vita vissuta da parte di personalità di successo, prodotte con attenzione ed estremamente ritmate. La pandemia in questo senso ha aiutato, ci ha resi tutti più disposti (o rassegnati) a seguire lezioni online, e a concederci per un intervento ad un webinar. Nonostante si avverta ora una certa stanchezza nell’audience, tutta questa domanda ha reso possibile una maggiore professionalizzazione delle testimonianze aziendali che devono oggi essere sempre più coinvolgenti, più curate: anche perché la didattica online, quando smette di essere interessante, cade vittima della sindrome da multitasking con telecamera spenta.
Lo storytelling però non è solamente riconducibile alla bella esposizione di un esempio e non deve essere vissuto come una fiera delle vanità. È evidente che il punto di partenza debba essere una storia importante, accattivante, ma l’elemento autobiografico non è sufficiente. In un contesto d’aula, in presenza o online, il caso deve prendere vita non solo grazie alle parole del protagonista: una testimonianza va intesa come un’interfaccia.
Due sono gli elementi di interfaccia che devono essere presidiati affinché un esercizio di storytelling abbia veramente impatto in un contesto di apprendimento. La prima è il dialogo con l’audience, tutt’altro banale da innescare. Se è vero che le piattaforme di videoconferenza sono d’aiuto per vincere una certa timidezza, l’ingaggio in presenza è tutta un’altra cosa (e ci manca parecchio). C’è inoltre il rischio di dispersione o un confronto che diventa sterile o nel peggiore dei casi conflittuale. Qui è fondamentale il ruolo del moderatore a cui spetta il delicato ruolo di tenere il filo, di incastonare ogni domanda, ogni intervento, in un discorso che poi dovrà saper riassumere.
Il secondo punto di interfaccia è tra teoria e pratica. Questo è un elemento chiave per portare valore in un contesto di aula, in quanto lo storytelling deve essere funzionale ad un percorso di apprendimento e non fine a sé stesso. È forse questa anche la sfida più ardua, anche quando l’esempio è calzante, perché la start-up è innamorata della sua storia, il manager si prepara con il deck di slide viste e riviste dalle relazioni esterne. Il lavoro dietro le quinte è fondamentale, per arrivare ad un esercizio induttivo, che fa emergere dal singolo caso gli elementi di una teoria resa concreta dall’esempio. I relatori migliori sono quelli che pensano di voler sfruttare l’incontro con un’aula per avere una restituzione da parte della platea e che per farlo sono disposti a studiare il contesto in cui vengono inseriti. Nell’attività di progettazione tra docente e relatore bisogna concordare una struttura che forza quest’ultimo ad uscire da una prassi standard, e che riesca a fargli abbandonare le certezze di presentazioni più e più volte masticate.
Ecco che allora l’aula si trasforma in un laboratorio e lo storytelling di un caso aziendale diventa un pretesto, ricco di suggestioni, per partire in un percorso di scrittura creativa di un’esperienza educativa unica e irripetibile. Ecco come master e iniziative di formazione continua possono diventare interfacce tra impresa e università… questa l’ambizione del nuovo Master Executive in Scalability, che la Scuola Sant’Anna sta organizzando insieme alle Università di Pisa, Firenze e Siena.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore di Domenica 11 Luglio 2021
di Alberto Di Minin