Per innovare servono le persone giuste, non bastano le tecnologie

«Sono un essere umano, niente di ciò ch’è umano ritengo estraneo a me», scriveva Terenzio. Ed è con le sue parole che Ernesto Ciorra, Chief of Innovability Officer di Enel e Vice Presidente di Cotec Italia, ci ha presentato in anteprima alcuni elementi emersi dall’annuale rapporto realizzato dalla Fondazione per l’innovazione e la tecnologia. Per il rapporto 2023 (che verrà presentato oggi  alle ore 16.30, nel rinnovato contesto architettonico dell’ex Gazometro di Roma Ostiense, l’area che Eni ha riqualificato e trasformato in un distretto aperto di innovazione tecnologica)  Cotec ha voluto indagare il rapporto tra capitale umano e cultura dell’innovazione. In collaborazione con le aziende socie, la fondazione presieduta da Luigi Nicolais ha analizzato i principali effetti generati da una gestione innovativa di tale capitale, nella quale risulta fondamentale incoraggiare i lavoratori ad apprendere non solo le competenze specifiche ma anche le soft skills necessarie a stimolare la creatività e l’innovazione. Il focus dell’innovazione si sposta così dalle tecnologie alle persone. 

«Le tecnologie sono spesso una commodity» dice Ciorra. Quelle che già esistono possono essere adottate ovunque; quelle che non esistono, vanno scoperte facendo ricerca e andando a vedere cosa c’è là fuori». Ma cosa blocca la loro messa in pratica o la loro scoperta? Sempre e solo le persone; o meglio, la loro paura e la resistenza al cambiamento. «Ciò che può attivare il cambiamento non sono le tecnologie, ma le persone». Il blocco che individua Ciorra sta a un livello preciso nella gerarchia aziendale, ovvero al suo vertice. «Quando si parla di capitale umano si pensa sempre agli operai, che devono essere più qualificati, ai quadri, che devono essere più competenti, e ai manager, che devono aprirsi al cambiamento, ma non si parla mai dei CEO. Sono però loro l’elemento di stallo nelle aziende non innovative e non sostenibili». 

Un cambiamento di tipo culturale è quindi necessario al vertice delle aziende, e ciò deve avverarsi nelle direzioni di apertura e accettazione del dissenso. Questo secondo aspetto è stato molto enfatizzato da Ciorra, che in altri contesti ha coniato la frase “No CEO… No Party!”. Per innovare bisogna andare contro le regole: combattere l’inerzia innata che fa guardare con sospetto a ciò che differisce da una prassi. «L’innovazione è sempre un sovvertimento di regole, che siano tecnologiche o di processo». Ma è anche una necessità. La pandemia ha infatti innescato ovunque cambiamenti strutturali a lungo termine, che interessano oltre un miliardo di posti di lavoro a livello globale: entro il prossimo decennio l’adozione di nuove tecnologie metterà a rischio circa il 10% delle attuali occupazioni e circa il 30% dei posti di lavoro richiederà competenze completamente nuove.

In questo quadro, il ruolo di una realtà come quella di Cotec è strategico e importantissimo per Italia, Spagna e Portogallo, ovvero i paesi in cui ha sede. Può infatti svolgere due funzioni fondamentali: da un lato essere testimone di valori, buone pratiche e cultura, rinvigoriti via via dall’esperienza di tutte le aziende che vi aderiscono, e contribuire alla maturazione del capitale umano dei loro top manager. D’altra parte, Cotec può avere un fondamentale ruolo di spinta e coordinamento, andando a identificare insieme alle aziende partner, le sfide che riguardano il paese, su cui concentrarsi in un’ottica di open innovation. Questa azione andrebbe a identificare le priorità, (come la sostenibilità, la sicurezza digitale, ecc.) ed essere al fianco dei partner che decidono di intervenire in maniera innovativa ma coordinata. Nei prossimi mesi capiremo se Cotec saprà effettivamente andare nella direzione proposta dal suo Vice Presidente.  

Di Alberto Di Minin e Norma Rosso