L’innovazione è la lente attraverso la quale Dan Breznitz, professore di Innovation Studies alla Munk School of Global Affairs & Public Policy dell’Università di Toronto, guarda il mondo e i cambiamenti sociali che lo riguardano. Ma a cosa si riferisce quando parla di innovazione? Ritorniamo al suo ultimo libro “Innovation in real places“, uscito già qualche tempo fa, per la Oxford University Press, l’autore arriva dritto al punto, tanto che se volessimo immaginare un titolo per la sua traduzione in italiano (al momento inesistente), proporremmo “Innovazione per le comunità e per chi le guida”.
Come Breznitz spiega nel suo libro, innovazione non equivale a invenzione, e nemmeno va intesa come una questione esclusivamente riferita al settore high-tech o alla creazione di nuove tecnologie e gadget. Questo equivoco è dovuto, spiega Breznitz, dall’incredibile successo della Silicon Valley, che ha lasciato intendere che l’Innovazione con la “I” maiuscola fosse solo legata al digitale, al silicio e al mondo dei chip. Dan però questa piccola fetta di mondo la conosce bene.. insieme abbiamo passato degli anni speciali alla Berkeley Roundtable on the International Economy, e insieme abbiamo capito quanto particolari fossero le dinamiche di innovazione, trasferimento tecnologico e imprenditorialità che caratterizzano quel particolarissimo ecosistema.
Più in generale, insiste Dan, l’innovazione è un processo, quello nel quale si studiano nuove idee per inventare o migliorare prodotti o servizi. Di più: questo processo può riguardare tutti i livelli della produzione di beni e servizi, dall’idea alla progettazione, dallo sviluppo alla produzione, dalla vendita all’utilizzo.
Contrariamente a quello che si pensa – e a ciò che si vede accadere nella Silicon Valley o che mostrano alcuni modelli di venture capital – il vero impatto dell’innovazione non si ha solo perfezionando nuove tecnologie. I risultati più interessanti e proficui vengono dati dalla continua implementazione di grandi e piccole innovazioni, e dal flusso costante di modifiche, cosa che rende queste invenzioni sempre più utili in diversi settori: più affidabili, economiche e innovative da ogni punto di vista, compresi la vendita, il marketing e i servizi successivi alla vendita. Una volta compreso questo, chi guida e amministra una comunità piccola o grande diventa conscio della varietà di prospettive che si aprono volendo investire in innovazione. E farlo è importante: non perché, come ha detto Breznitz durante un’intervista, l’innovazione è cool, ma perché permette di avere buone occupazioni lavorative per i propri cittadini e una prosperità diffusa per tutta la comunità.
Come fare a ottenere questi risultati? Il libro di Breznitz, come sottolinea lui stesso nelle prime pagine, non è un manuale nel quale scoprire come trasformare una comunità qualunque in un centro high-tech seguendo semplici passaggi. Breznitz porta invece molti esempi, case studies analizzati in anni di ricerca e raccontati nel libro in modo discorsivo e piacevole: un esempio tra gli altri, il racconto delle aziende Shimano e Giant, e di come abbiano reso le loro città – rispettivamente Sakai in Giappone e Taichung a Taiwan – due centri leader nella produzione globale per il mercato delle biciclette.
Alla fine del libro, però, qualche dritta viene data.
Per prima cosa, Breznitz evidenzia quali sono gli obiettivi delle politiche rivolte all’innovazione. Queste devono innanzitutto dotare gli agenti dell’innovazione (cioè società e individui) degli strumenti di cui hanno bisogno per eccellere; sviluppare, supportare e sostenere l’ecosistema economico di cui gli innovatori necessitano per prosperare e, infine, trovare i modi più efficaci per stimolare quegli agenti a innovare e far crescere le loro attività, pur rimanendo radicati a livello locale.
E mentre si agisce per pianificare, rivedere e modificare le proprie politiche, ci sono, secondo Breznitz, quattro principi fondamentali da tenere a mente. Il primo riguarda il flussi di conoscenza, domanda e input tra il locale e il globale. Vivendo in un mondo di cui la produzione è frammentata, il successo costante di una regione dipende anche dal garantire flussi bidirezionali di queste tre componenti critiche. Ciò significa istituzionalizzare le modalità in cui il locale interagisce con il globale e il globale interagisce con il locale.
Il secondo principio riguarda l’offerta e la creazione di beni pubblici e semi-pubblici. Questo perché l’innovazione è uno sforzo collettivo, che richiede una serie di beni come la fornitura di competenze specializzate, siano queste di artigiani o di ingegneri, impegnate nella ricerca e sviluppo. Da questi due fondamenti discende il terzo: la costruzione di un ecosistema locale che consenta l’accesso a risorse come i servizi finanziari o legali, che siano adattabili ai modelli di business e alla fase locale di specializzazione nell’innovazione. L’ultimo principio, ma non meno importante, è rappresentato dall’evoluzione simultanea dei tre precedenti aspetti e del ruolo delle politiche pubbliche, man mano che l’innovazione locale cresce ed eccelle. Pensare che se una cosa funziona oggi lo farà domani e per sempre è un errore comune e al tempo stesso molto grave e, nelle politiche innovative più che in altri settori amministrativi, decidere di non cambiare significa decidere di estinguersi.
Infine, restano alcuni aspetti cruciali riguardo ai quali gli amministratori di aree piccole e grandi hanno solitamente poche conoscenze o poco potere: sono la finanza, la proprietà intellettuale e la gestione dei dati. Quello che suggerisce Breznitz è di ribaltare la premessa: gli amministratori locali dovrebbero diventare degli esperti in questi ambiti e sviluppare strategie per mitigare, o addirittura sfruttare, le disfunzioni sistemiche per massimizzare il successo e le possibilità di crescita dei loro innovatori locali.
La nostra è una delle tante recensioni di questo bel libro, che sta avendo un ottimo riscontro in giro per il mondo ma ancora non ha fatto breccia in Italia. Non esiste recensione, riassunto generato da AI, racconto o riflessione che possa sostituire un augurio di… Buona lettura.
di Alberto Di Minin e Norma Rosso