“Tom, speriamo che le cose in California sian meglio che qui”. Tom voltò solo la testa: “E perché non dovrebbero esser meglio?”. “Non saprei. Ma sembra troppo bello. C’è scritto che c’è lavoro per tutti, e paghe alte; e ho letto sul giornale che hanno bisogno di lavoratori, per cogliere arance e pesche, e per la vendemmia. Lavoro pulito, non ti pare? E anche se è proibito mangiar frutta, non diran niente se si dà un morso almeno a quella guasta. E poi è un lavoro che si fa all’ombra, al fresco. Alle volte mi viene il dubbio perché mi pare esagerato tutto il bene che se ne dice”.
J. STEINBECK, Furore, 1939
Già all’indomani della Grande depressione, la California, “paese ricco, dove la frutta cresce da sé”, aveva assunto le sembianze di una sorta di “terra promessa”. Il capolavoro di John Steinbeck The Grapes of Wrath (letteralmente “I grappoli d’ira”, sostituito in italiano con il ben più noto titolo Furore) narra l’odissea della famiglia Joad. Costretta ad abbandonare l’Oklahoma per sfuggire alla miseria, si mette in viaggio per raggiungere – percorrendo la celebre Route 66, un “infinito nastro d’asfalto gettato sul continente” – la lontanissima California alla ricerca di un lavoro e di un posto accogliente quale, però, non si rivelerà.
Da “isola felice”, risparmiata o quasi dal contagio da Covid-19 almeno durante la fase più acuta dell’emergenza, nelle ultime settimane la California ha assunto invece, suo malgrado, l’etichetta di zona nera del contagio da Coronavirus negli Stati Uniti. Proprio in California si è raggiunto il primato di contagi tra gli Stati Uniti (oltre mezzo milione: più di quelli registrati nello stato di New York). E sono in crescita vorticosa anche i decessi. Soltanto venerdì scorso sono stati 214. E pensare che nei primissimi mesi della pandemia lo stato della West Coast era riuscito a contenere molto meglio degli altri il numero dei contagi e quello dei morti.
Ted Egan, Chief Economist della città e della contea di San Francisco dal 2007 e docente nel dipartimento di Economia della UC Berkeley, è intervenuto durante le Innovation Restart Chats organizzate nell’ambito del Master Mind dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa quando ancora San Francisco pareva essere sfuggita alla prima ondata del contagio. Non è stato così, purtroppo, nella seconda, che ora attraversa in modo virulento anche la stessa California. Già allora, però, Egan prefigurava una possibile recrudescenza della situazione.
“Negli ultimi due mesi – notava preoccupato Egan ormai diverse settimane fa – gli Stati Uniti hanno perso 20 milioni di posti di lavoro, più di quelli creati negli ultimi 10 anni”. Il numero, spiega Ted Egan, deriva “dalle richieste di assicurazione contro la disoccupazione. Uno dei primi atti del Congresso è stato quello di estendere le regole di ammissibilità e aumentare il pagamento dell’assicurazione contro la disoccupazione: sono arrivati 20 milioni di nuove richieste. Un numero, comunque, che non è direttamente correlato alla rete di disoccupazione, quindi per i dati reali si dovranno attendere statistiche più precise”.
San Francisco ha affidato ad Egan il ruolo di Chief Economist. A lui spetta, in questa veste, il compito di effettuare analisi economiche e studiare l’impatto delle politiche intraprese dall’amministrazione.
“San Francisco – continua il professore – ha la fortuna di aver avuto molte persone con buone idee che sono andate lì. Le idee circolano attraverso le reti, la reputazione stessa viaggia attraverso le reti. C’è un costante movimento di persone: ogni anno grossomodo il 15% della popolazione lascia San Francisco. Si tratta, in genere, soprattutto di lavoratori con redditi più bassi. Ed un 15% arriva, soprattutto tra coloro che hanno un reddito elevato. Ciò è dovuto anche alla ristrutturazione dello spazio urbano che il settore tecnologico comporta”.
Come hanno risposto San Francisco e la California alle prime fasi di quest’emergenza?
“Guardando le prime stime – valutava Egan – sembra che San Francisco stia affrontando bene il problema Covid-19. Il turismo sicuramente soffrirà del virus e delle relative restrizioni. San Francisco ha avuto alcuni dei primi casi negli Stati Uniti a causa del volo diretto a Wuhan e di una nave da crociera che ha contribuito ad una diffusione nella comunità nella baia. Tuttavia, la città ha dichiarato l’emergenza virus molto presto e tutto lo stato della California si è dimostrato in grado di contenere l’emergenza”.
E gli Stati Uniti?
“Nel migliore dei casi – prevedeva allora Ted Egan – gli Stati Uniti riapriranno a giugno con un piccolo numero di imprese e con pochissime di queste a piena capacità. Ad esempio, un ristorante costretto ad aprire osservando il distanziamento sociale potrebbe non essere in grado di pareggiare i conti, dato il numero ridotto di clienti. In questo scenario vedremo inevitabilmente aumentare la disoccupazione”.
Quali previsioni per il futuro di San Francisco, della California e degli Stati Uniti?
“È estremamente difficile prevedere lo sviluppo futuro durante questa crisi, non sappiamo cosa stia per accadere ma nel peggiore dei casi arriveremo ad una recessione estrema con picchi multipli. San Francisco? Non la vedo molto nei guai grazie alle sue solide industrie e a persone ricche ed istruite. Più previsori si aspettano una recessione a forma di V, basata su un singolo picco del virus. Se ciò non si rivelerà vero, si genererà una maggiore incertezza. Quando il peggio sarà passato dovremo guardare ai cambiamenti nel comportamento dei consumatori e capire come avranno reagito a questo cambiamento”.
Per dirla con Bruce Springsteen nella sua The ghost of Tom Joad, la canzone dedicata proprio al protagonista di Furore, “welcome to the new world order”. Benvenuti nel nuovo ordine mondiale.
Di Alberto Di Minin e Nicola Pasuch