Il 17 novembre a Malaga si è tenuto il quattordicesimo simposio di COTEC Europa, la Fondazione per l’innovazione presente in Italia, Spagna e Portogallo. Il convegno è stata l’occasione per presentare l’ultimo rapporto COTEC e UNIONCAMERE, pubblicato in collaborazione con il Centro Studi Guglielmo Tagliacarne, che conferma come la redditività aziendale sia legata all’investimento in intangibile. Il documento mette in luce che quasi l’80% del valore di un’azienda è legato in modo diretto o indiretto a fattori intangibili, quali la proprietà intellettuale, il capitale organizzativo, l’open innovation e il capitale umano. Nel periodo di osservazione pre-pandemia (2017-19), le imprese che investivano in questi asset avevano un margine operativo lordo nettamente superiore rispetto a quelle che non lo avevano fatto: del 67% per chi aveva investito in proprietà intellettuale, del 55% per chi aveva investito in capitale organizzativo; dell’11% per quanto riguarda gli investimenti in open innovation e del 35% per quelli legati al capitale umano. Ovviamente, questi dati meriterebbero di un approfondimento molto rigoroso per comprendere come e in quali condizioni le aziende riescano a far fruttare appieno l’investimento sull’intangibile, ma il rapporto è senz’altro un utile punto di partenza per confermare la forte correlazione tra tutti i valori di competitività, dinamismo e resilienza delle aziende di grandi e piccole dimensioni, e l’investimento su questi quattro asset.
Correlazione che è nota da tempo agli addetti ai lavori, ma che in Italia, Spagna e Portogallo, sottolinea Luigi Nicolais, presidente di COTEC Italia, non risulta valorizzata dal punto di vista delle politiche industriali. Dare risalto alla centralità degli asset intangibili per l’economia di questi tre paesi è stata la priorità del simposio COTEC, la cui finalità come fondazione è proprio quella di far sì che queste riflessioni escano dalla bolla degli addetti ai lavori e si facciano strada nel dibattito pubblico, anche grazie alla presenza a Malaga dei tre capi di stato: il Presidente Sergio Mattarella, il Re di Spagna Felipe VI e il Presidente del Portogallo Marcelo Rebelo de Sousa, tutti e tre presidenti onorari delle rispettive fondazioni a livello nazionale.
«Sono contento», ha detto Nicolais, «che COTEC abbia oggi il ruolo di indirizzare il dibattito verso i punti deboli del sistema innovazione: vegliare sull’attività delle istituzioni nazionali e, alla luce di soluzioni innovative, spronare imprese, enti pubblici e governi affinché il cambiamento si realizzi e vada nella direzione giusta». In altre parole, è utile avere un soggetto credibile in grado di mettere il dito nella piaga quando diventa necessario farlo.
Prendiamo il trasferimento tecnologico e la terza missione: ambiti che Nicolais conosce bene, vista la sua esperienza di ricercatore e innovatore, oltre che per i suoi ruoli passati di Ministro e Presidente del CNR. In questo contesto il capitale umano e le competenze di open innovation vanno rafforzate: «come può l’addetto all’ufficio di trasferimento tecnologico di un’università indirizzare un ricercatore nella fase di scrittura delle rivendicazioni di un brevetto, senza avere competenze di business modeling, senza conoscenze sul mercato di riferimento?» si chiede Nicolais. Conoscere affondo la realtà imprenditoriale non può essere un elemento accessorio nel lavoro di connessione con la ricerca, diversamente diventa quasi impossibile poter affiancare il passaggio al mercato.
Formare nuove figure professionali capaci di connettere ricerca ed effettivi impieghi industriali è un passaggio fondamentale, così come lo è guidare chi è ancora immerso nell’attività di ricerca ma incapace di percepire l’impatto della sua attività. Elevare le competenze, lavorare sul capitale umano delle strutture di trasferimento tecnologico, ed in generale di tutta la pubblica amministrazione è un concreto esempio di politiche che sviluppano il capitale intangibile ed essere dunque volano di nuova produttività e vantaggio competitivo. Ci sono due elementi da sottolineare su come queste politiche devono essere implementate. Innanzitutto fondamentale è agire in maniera chirurgica. La fretta di impiegare risorse all’improvviso divenute disponibili non deve portare a investimenti a pioggia, o alla realizzazione di interventi estemporanei. Meglio intervenire fornendo risorse a chi nel tempo ha dimostrato impegno e ha acquisito credibilità. Queste realtà esistono, basti pensare a Netval, l’associazione per la valorizzazione della ricerca pubblica a cui sono affiliate gran parte delle Università e degli EPR, che da vent’anni, con pazienza e impegno, irrora di competenze i centri di trasferimento tecnologico attraverso attività di formazione e networking.
Secondo: agire in maniera mirata non vuol dire puntellare la piccola cerchia di eccellenze scientifiche, al contrario è compatibile con un disegno di intervento diffuso che irrora di professionalità l’intero sistema italiano della ricerca. Non bisogna immaginare che la necessità di formare figure professionali di collegamento si esaurisca in un servizio a uso esclusivo degli star scientists. Al contrario, è molto probabile che questi ultimi non abbiano gran bisogno di un’azione di raccordo, e che riescano autonomamente ad identificare gli sbocchi al mercato per la loro ricerca. Investire su un capitale umano e organizzativo preparato ed efficiente, ma soprattutto diffuso e pronto a connettere ogni punto del nostro sistema della ricerca con l’impresa è fondamentale per valorizzare appieno la creatività e talento di tutti i nostri scienziati.
Tutto ciò porterà a sviluppare la carriera di scienziati anche al di fuori del mondo accademico, si tratta di una prospettiva da coltivare, da sviluppare nel tempo. Serve tempo, pazienza, cura di un contesto destinato a cambiare dal suo interno. Spinning off, step by step: questa l’efficace sintesi di Francesco Suman su Nature Italia. Concordo pienamente!
Di Alberto Di Minin