Si sta chiudendo il primo biennio di Horizon 2020 e uno dei risultati più significativi per l’ottavo programma quadro è che le piccole e medie imprese sono state tra i principali protagonisti. Dei 5 miliardi di euro allocati fino ad ora, il 24% circa è stato assegnato a PMI europee. Parte del merito di questo successo è stato senz’altro il nuovo programma SME Innovation Instrument, che ha riscosso un apprezzamento significativo, visto che fino ad ora una proposta su cinque di Horizon 2020 è stata indirizzata a questo strumento, che tra il 2014 e il 2015 avrà assegnato finanziamenti per oltre mezzo miliardo di euro.
Sono dimensioni rilevanti se ricordiamo che nei rapporti di valutazione del 5° e 6° programma quadro si citava il disinteresse delle aziende ed in particolare l’assenza delle PMI come elementi principali di una debolezza da correggere.
Se questo è il quadro europeo, Quale la situazione italiana?
Le aziende italiane hanno risposto con grande generosità progettuale. Delle 16.000 proposte di finanziamento pervenute a EASME, il 18% circa è di matrice italiana. Questa però non è una novità, e tutto sommato è stato un risultato atteso.
All’Italia il 10% del budget. Se consideriamo le ultime elaborazioni preparate insieme ad APRE, scopriamo che sul budget già stanziato fino a settembre di 444 milioni (45 in Fase 1 e 399 in Fase 2), 231 proponenti italiani (196 in Fase 1 e 35 in Fase 2) ottengono in tutto 46 milioni (7,84 in Fase 1 e 38,3 in Fase 2). La percentuale di budget dello strumento che finisce in Italia è dunque pari al 10,3%.
Nell’analizzare questi dati bisogna considerare alcuni elementi. Il primo è che le aziende italiane sono arrivate poco preparate e in ritardo all’appuntamento con Horizon 2020. Molto è stato fatto per spiegare e comunicare il programma, ma sono mancati programmi di supporto e co-finanziamento a livello regionale e nazionale che aiutassero le PMI a presentare domanda. Programmi questi messi in cantiere ed implementati in giro per l’Europa già prima della partenza di Horizon. Il risultato è stato che altri paesi europei hanno presentato fin da subito proposte meglio strutturate. Il 2014 si era chiuso dimostrandoci che tante (troppe?) erano le domande italiane, ma poche erano quelle competitive, con tassi di successo molto bassi. Ricordo che a valle della prima call del Fase 2, nel 2014, solo tre aziende italiane erano risultate vincitrici. Le altre 33 sono state annunciate tutte nel 2015.
Come si spiega l’accelerazione nel 2015? Innanzitutto c’è da segnalare che MISE, MIUR e alcune Regioni si sono messe in moto, creando programmi di supporto significativi. Quello che però ha pagato di più è stata la massiccia partecipazione italiana alla Fase 1 del programma. A quasi 200 aziende italiane è infatti stato assegnato il contributo di 50mila euro a fondo perduto che la Commissione ha voluto investire per dar modo ad ogni azienda, con sei mesi di tempo, di puntellare il business model, commissionare una solida ricerca di mercato, arrivare più focalizzata nella definizione di una strategia di mercato. Per l’Italia, il Fase 1 del programma ha avuto l’effetto desiderato di palestra, che le nostre PMI faticavano a trovare in altri programmi nazionali e regionali.
Tutto ciò ci fa ben sperare per il prossimo biennio, in cui ci possiamo attendere una performance ancora più aggressiva, ed è giusto che sia così visto che il contributo Italiano al budget H2020 è del 14%, e che il 20% delle PMI in Europa sono italiane.
Tenere alta l’attenzione su questo strumento ha senso per tanti fattori, non da ultimo per il fatto che il budget dell’SME instrument aumenterà del 44% nel corso del prossimo biennio. In altri termini, tramite questo programma la Commissione assegnerà fino a 380 milioni di euro all’anno per i prossimi due anni. Per offrire un termine di paragone, stando ai dati 2014 della European Venture Capital Association, questo corrisponde a circa il 12% di quanto tutti i fondi di Venture Capital investono ogni anno complessivamente in Europa. Si tratta di una cifra che è quasi il doppio di quanto i paesi del sud Europa (Italia, Portogallo, Grecia e Spagna) annualmente investono.
Oltre i dati qualche altra riflessione e idea per il 2016.
1. L’Europa deve investire e non stanziare fondi. Il confronto tra l’SME Instrument e i numeri del settore del venture capital non è casuale e credo che non sia forzato. La Commissione, con questo programma investe cifre che sono in linea con quanto normalmente fa un business angel ed un VC. Non è però solo nell’erogazione del finanziamento che l’analogia deve fermarsi. Vorrei che già nel metodo di valutazione delle proposte la Commissione si comportasse come un investitore. Qui c’è ancora strada da fare per migliorare un processo al momento molto efficiente nello stilare le graduatorie senza grossi ritardi, ma non altrettanto ambizioso nel superare certi suoi limiti. Innanzitutto io non credo che oggi un valutatore, con in mano una proposta di Fase 1 o Fase 2, abbia gli elementi informativi necessari per valutare appieno la fattibilità (feasibility) della proposta. A mio giudizio mancano degli elementi quantitativi fondamentali, senza i quali un business plan non può finire su un tavolo di un VC. Secondo punto, e collegato al primo: sto proponendo con forza di inserire un ulteriore momento di valutazione della domanda di finanziamento in Fase 2, a valle di una pre-selezione. Non per tutte le proposte che arrivano ad EASME, solo per quelle che superano le soglie di valutazione ed entrano nelle graduatorie (quelle proposte che arriveranno comunque ad ottenere il Seal of Excellence). Ritengo che introdurre un momento di incontro tra valutatori e valutati sia necessario per completare la fase di analisi delle proposte, ed assegnare quei pochi punti decimali che separano le proposte finanziate da quelle non finanziate. Al momento l’analisi avviene sulla base di un calcolo aritmetico, un metro che ha la principale finalità di essere veloce, trasparente ed uguale per tutti. Mi è difficile immaginare però un investitore privato pronto a staccare assegni tra il milione e i due milioni di euro, scommettendo su imprenditori che non ha mai visto in faccia. Il momento di incontro tra proponenti e un panel di valutatori potrebbe essere un momento per acquisire informazioni utili a capire il disegno imprenditoriale, per fornire qualche consiglio per l’implementazione del progetto e anche per fare incontrare alle aziende pre-selezionate alcuni potenziali investitori. Arrivare a questo risultato vuol dire inevitabile cambiare regole e procedure, vuol dire allungare i tempi e i costi della selezione, in uno dei programmi più efficienti di Horizon. Secondo me però questo passaggio è necessario per arrivare ad una più alta efficacia dello strumento.
2. Non dimentichiamoci di chi rimane fuori. Se da un lato l’Italia incassa circa 46 milioni di euro in proposte finanziate, è anche vero che altri 300 proponenti italiani sono finiti in graduatoria ma per mancanza di fondi sono stati esclusi dal contributo di Fase 2. Non si tratta di proposte mal scritte o progetti considerati scadenti. Anzi, si tratta di idee imprenditoriali che riceveranno un Seal of Excellence a firma della Commissione, che certifica il fatto che tra le 16mila proposte pervenute queste sono di altissima qualità e si raccomanda dunque a terze parti di provvedere al finanziamento. Per l’Italia si tratta di progetti che chiedono complessivamente contributi per poco meno di 200 milioni di euro (2014 e 2015). Cento milioni di euro all’anno. Si tratta di una cifra così alta per poter dire a queste aziende: ecco qua quello che serve? L’esito di questo processo è ora certificato dalla Commissione con un documento molto chiaro. Stato, Regioni, Fondazioni, investitori privati: queste sono proposte valutate come eccellenti e hanno superato una feroce concorrenza. Fatevi avanti!
3. Da scienza&tecnologia al mercato: questo è il focus del programma. In quasi due anni, siamo riusciti a negoziare con la Commissione un’applicazione dello strumento più a tema libero, di modo da andare ad intercettare il più possibile la capacità innovativa delle nostre imprese. Non va dimenticato però che ci muoviamo nell’ambito di Horizon, il programma quadro dedicato al sostegno della ricerca. I progetti innovativi che vanno pertanto finanziati dall’SME instrument devono avere la caratteristica chiave di collegare scienza, tecnologia e mercato. Esistono tante forme di innovazione: l’SME Instrument finanzia quel tipo di innovazione, che crea nuova competitività partendo dal lavoro di scienziati e tecnologi. Nei miei periodici incontri come Rappresentante italiano con i vincitori dello strumento PMI, organizzati con APRE e EEN in giro per l’Italia, continuo a registrare l’alto tasso di successo tra imprese spin-off accademiche e PMI che cercano nuovo slancio intercettando un progetto di collaborazione con il mondo della ricerca. Ancora di più secondo me si può fare nel comunicare con precisione qual è il target del programma, stimolando in maniera più puntuale certe esperienze imprenditoriali a fare domanda.
4. Il mio fioretto per il 2016. Dopo tante richieste, un impegno. Affrontiamo il secondo biennio di Horizon con fiducia ma anche con curiosità. Siamo già in grado di osservare i primi risultati dello strumento. Sul sito di EASME troviamo già alcune testimonianze importanti: acquisizioni, partnership e Immunovia, la prima beneficiaria del programma SME Innovation Instrument quotata sul NASDAQ. Per quanto mi riguarda continuerò ad incontrare i vincitori di Horizon 2020, per conoscere le motivazioni che le hanno portate ad inviare all’Europa il loro business plan, per ascoltare le loro istanze e problematiche. Inoltre, con l’aiuto di Antonio Carbone, insostituibile National Contact Point di APRE, inizierò da gennaio a raccontare su questo blog le storie di alcuni di questi #Fuoriclasse italiani che hanno saputo collegare ricerca e mercato.