Continua il viaggio tra i progetti finanziati da NBFC

Dalle coste di San Benedetto del Tronto a quelle triestine, prosegue il viaggio del National Biodiversity Future Center tra i parchi e le aree protette vincitrici del bando gestito dal CNR e finanziato con i fondi di Next Generation EU nell’ambito del Centro Nazionale NBFC. Dopo una prima tappa nella quale erano state toccate le regioni del nord ovest (e che avevamo raccontato qui), l’attività di incontro delle realtà beneficiarie del bando a cascata NBFC si è svolta per questa seconda occasione tra Marche, Toscana, Emilia Romagna, la punta nord della Lombardia, per concludersi poi con le visite in Veneto e Friuli Venezia Giulia. Diciassette parchi visitati, poco meno di duemila chilometri percorsi in auto, una settantina di mani strette e altrettanti nuovi contatti salvati in rubrica: un elenco che non restituisce quanto sia straordinaria questa esperienza dal punto di vista umano e lavorativo, ma che dà un’idea della sua portata.

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Come per la scorsa volta, gli incontri si sono divisi tra sessioni di intervista e momenti di visita sul campo. Nelle prime sono emersi sviluppi e criticità sull’andamento dei progetti innovativi finanziati: il bando costituisce infatti un’opportunità unica per gli enti gestori, ai quali è stata data la possibilità di dare vita a sogni che per lungo tempo sono rimasti nel cassetto, vuoi per carenza di fondi o per priorità diverse. Le visite sul campo, invece, hanno permesso di avere contatto diretto con le singole realtà territoriali e con le persone che le animano. Questo è un aspetto fondamentale per NBFC, il quale ha tra i suoi scopi la creazione di una grande comunità impegnata nella tutela di questa enorme ricchezza che l’Italia possiede.

L’idea del bando CNR-NBFC, a cui centinaia di aree marine protette e parchi italiani hanno partecipato, era proprio quello di finanziare innovazione sviluppata dai soggetti istituzionali più vicini al presidio della biodiversità . I soggetti che più di ogni altro sono attivi in prima linea per attuare il nuovo dettato costituzionale: “tutelare la biodiversità anche nell’interesse delle future generazioni”. Parole bellissime quelle dell’articolo 9, che danno la carica alle migliaia di  ricercatori e innovatori di NBFC, convinti che la biodiversità sia la soluzione, ma che per attuarla servono tante risorse. Risorse che sempre di più vedono una partecipazione privata, e un investimento imprenditoriale che si affianca a quello pubblico. Ma di questo aspetto parleremo meglio in altri articoli. Adesso immergiamoci nella descrizione di questo progetto che sta contribuendo a due obiettivi. Da una parte quello di far sperimentare strade nuove, ancora non intraprese nei contesti beneficiari, mettendo al timone di queste proposte proprio le amministrazioni dei parchi. Queste hanno avuto modo per la prima volta di identificare il percorso da seguire, per realizzare, appunto, quel sogno rimasto nel cassetto a volte anche per anni. Il secondo obiettivo, sfidante anche per la struttura del CNR e di NBFC che sta seguendo i gestori del progetto (e a cui bisogna essere parecchio grati!), è  quello di abituare il personale che lavora in parchi e aree protette a  scrivere e gestire in prima persona proposte come questa. Non è banale rispettare tutte le regole del PNRR e spendere a regola d’arte le risorse messe a disposizione da Next Generation EU. Spesso le competenze gestionali per seguire le procedure di spesa e rendicontazione non sono del tutto sviluppate tra i beneficiari di questi bandi a cascata. Probabilmente si arriverà a fine programma con una percentuale significativa di risorse non spese, ma attenzione: si arriverà anche ad una situazione in cui le persone coinvolte in questi programmi su tutto il territorio nazionale, in 79 parchi e aree protette italiane, avranno sviluppato competenze che prima non avevano. Sono competenze preziose per guardare oltre al PNRR e identificare nuove risorse per andare avanti, in bandi competitivi nazionali o europei. Si dice “capacity building” ed è un impatto del PNRR che non va trascurato. 

Una ricchezza alla portata di tutti, che provoca un’istintiva forma di benessere ma che, come ci è stato detto e mostrato in vari modi durante questi viaggi, non è facile cogliere se non si conosce. Non è semplice, per esempio, pensare che in una grotta di gesso, oltre ai pipistrelli appesi alle pareti, siano presenti altri esseri viventi. Non è banale comprendere che un albero morto, lasciato a deperire in un bosco, è in realtà pieno di vita e riveste un ruolo fondamentale per la grandissima varietà di insetti che lo abitano. E se è facile apprezzare la bellezza di una traversata in mare nel Golfo di Trieste, non è altrettanto facile immaginare quanto accada sotto la superficie dell’acqua. Accorgersi di tutto questo da soli è complesso, a meno che attenzione e sensibilità verso la natura non siano parte del proprio percorso di formazione personale. A tal proposito, non sono pochi i progetti finanziati nei quali l’educazione ambientale e il coinvolgimento della popolazione sono messe al centro.

Con le responsabili del progetto Censy4sea nell’area marina protetta di Miramare

Un esempio riguarda il progetto BluSentina del Comune di San Benedetto del Tronto, dove è prevista la redazione di un regolamento sulla pesca e la posa di boe che facilitino la segnalazione dell’area, il monitoraggio e la vigilanza, il tutto reso possibile grazie alla collaborazione con i pescatori locali; stesso discorso vale per Embrace del Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, che sta realizzando all’interno della sua vasta pineta un centro di educazione alla biodiversità. Di coinvolgimento attivo della cittadinanza nella raccolta, analisi e interpretazione dei dati (la pratica che prende il nome di citizen science) tratta poi il primo progetto dei Parchi del Ducato (Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità dell’Emilia Occidentale) CS4BIO, che ha coinvolto tre classi di scuole superiori locali nel monitoraggio degli insetti presenti nell’Oasi dei Ghirardi, mentre con il secondo progetto, dal titolo BIOGES, si concentra sulla valutazione della presenza e abbondanza nelle aree del parco delle popolazioni di insetti saproxilici (ossia tutti quegli organismi dipendenti dal legno morto di cui si diceva poco fa, e tra i quali rientra il cervo volante). E se l’idea di passare giornate di scuola all’aria aperta ha fatto venire un po’ di nostalgia e invidia in chi legge, c’è anche l’occasione per rifarsi: basterà aspettare settembre e partecipare al censimento del bramito del cervo, da anni organizzato dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi e per la prima volta digitalizzato attraverso l’uso di BramitApp, l’applicazione messa a punto grazie al finanziamento del centro nazionale.

Restando tra le foreste dell’Appennino tosco-emiliano, abbiamo visitato un altro progetto concentrato sugli invertebrati saproxilici e sulla creazione di isole di senescenza, ovvero zone in cui raccogliere legno morto capace di trasformarsi in un vero serbatoio di biodiversità: si tratta del progetto ValBio, gestito dall’Unione montana dei comuni del Mugello, il cui bosco abbiamo avuto la fortuna di visitare in una giornata di nebbia fitta e suggestiva; sempre la nebbia ci ha accompagnato nella valle della vena del Gesso, gestita dall’Ente di gestione per i Parchi e la Biodiversità – Romagna, valle che non possiamo dire di aver effettivamente visto nella sua parte esterna (tanto scarsa era la visibilità!), ma che abbiamo avuto la fortuna di ammirare dall’interno, visitando le grotte dove si svolge il progetto Mejogypsos, concentrato sul monitoraggio della meiofauna, ossia l’insieme di organismi che abita i sedimenti marini e d’acqua dolce.

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Dal fauna osservabile al microscopio, siamo passati in pochi chilometri e moltissimi tornanti a Wolf-it2000, il progetto del Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, al lavoro sul monitoraggio degli ibridi di lupo al fine di ripristinare l’integrità genetica e la funzione ecologica della popolazione di questi predatori. Sempre in Emilia Romagna, abbiamo poi incontrato i progetti BIOBeroots e F4B gestiti dai Parchi Emilia Centrale, e concentrati rispettivamente sull’ideazione di una piattaforma per la raccolta dei dati ambientali relativa ai suoli e ai servizi ecosistemici, e sullo studio della fauna ittica per la tutela della risorsa idrica. Un altro bosco, ma questa volta situato nell’angolo in alto a destra della carta geografica, ci ha permesso di scoprire il moscardino, un piccolo e graziosissimo mammifero, ghiotto di nocciole e per questo molto a suo agio nel Parco naturale delle Prealpi Giulie, dove il progetto MOM-PG sta sviluppando dei protocolli di monitoraggio ottimale dei mammiferi: strumenti che potrebbero risultare estremamente utili per i parchi a livello gestionale, poiché uniscono la probabilità di rilevamento ai costi di monitoraggio. Sempre parlando di monitoraggio e sempre in zone di confine, siamo arrivati fin sulla neve di Bormio, dove il progetto Criohab presentato dal Parco Nazionale dello Stelvio si occupa del monitoraggio degli habitat associati alla criosfera e minacciati dal cambiamento climatico, sperimentando anche azioni per il rallentamento della degradazione del permafrost.

Il panorama dalla sede del Parco naturale delle Prealpi Giulie

Chissà quanti, tra coloro che leggono, saprebbero dire cosa sono i “vegri”: noi ci abbiamo camminato su questi terreni aridi e sassosi (i vegri, come vengono appunto chiamati in Veneto), i quali sono oggetto di monitoraggio e conservazione nel progetto gestito dal Parco dei Colli Euganei. Dai colli ai corsi d’acqua, siamo stati accolti prima dal Parco naturale regionale del fiume Sile, dove, camminando lungo il suo corso, abbiamo potuto notare le bolle che lo contraddistinguono per la sua particolare natura risorgiva, e approfondito il progetto PESBioSile, che tra le sue attività si propone di sviluppare sistemi di Pagamenti per Servizi Ecosistemici (PES) come strumento di sostenibilità economica degli interventi gestionali del parco; successivamente abbiamo fatto visita al Parco Fiume Brenta, dove il progetto MAP-Brenta presenta un interessante meccanismo finanziario che integra i costi ambientali e delle risorse nella tariffa idrica, seguendo il principio del “chi inquina, paga”, puntando a compensare gli impatti ambientali negativi e finanziare interventi di conservazione.

Il panorama dai “vegri” dei Colli Euganei

«Il mare è di nessuno» abbiamo sentito dire con amarezza durante i nostri incontri, poiché proteggerlo dall’eccessivo intervento umano è tutto tranne che semplice. Ci prova però con impegno il Parco Regionale del Conero con il progetto Remedy, che punta a ottenere una visione dettagliata della biodiversità dell’area marina adriatica attraverso la raccolta e l’analisi dei dati ecologici delle comunità che vivono a stretto contatto con il mollusco volgarmente conosciuto come dattero di mare. Sempre in ambiente marino, ci ha molto colpito il progetto Isole rare del Parco Nazionale Arcipelago Toscano, alle prese, tra le altre cose, con interventi di reinserimento dei barbagianni sulla splendida isola di Pianosa; del falco pescatore si occupa invece il progetto Marnat del Parco Regionale della Maremma, dove per un’ulteriore attività di monitoraggio delle specie acquatiche è stata impiegata una vecchia bilancia da pesca riconvertita a strumento per la tutela della biodiversità. Concludiamo il resoconto di questo viaggio restando sulle coste, ma spostandoci su quelle triestine: qui il progetto Censy4sea di WWF Italia ETS (soggetto gestore dell’Area marina protetta di Miramare) promuove l’innovazione nel monitoraggio della biodiversità marina introducendo sistemi di monitoraggio avanzati come il DOV (Diver Operated Video) e coinvolge attivamente la comunità nella conservazione del Golfo di Trieste, anche grazie a uno splendido centro visite dove, tra le altre cose, è possibile comprendere come l’attività umana e tutela della biodiversità possano convivere.

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Il ruolo di NBFC è anche questo: trovare strade per valorizzare il rapporto tra uomo e natura in una dimensione che non veda il primo contrapposto alla seconda, ma come elementi in relazione ecosistemica di un tutt’uno. Per avviare questo processo si sono scelte molte strade, e una di queste è fornire risorse economiche agli enti per permettere loro di realizzare progetti innovativi che altrimenti sarebbero rimasti a lungo dei sogni. E come la varietà dei progetti mostra (e mostrerà nelle prossime tappe che racconteremo presto qui), quando i sogni si trasformano in innovazione, possono prendere le forme più svariate.

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Di Alberto Di Minin, Norma Rosso e Giorgio Scarnecchia