Che esista una certa confusione nel modo di concepire ed inquadrare le varie tipologie e manifestazioni dell’innovazione è un dato di fatto. Col nostro post “Quando l’innovazione non è incrementale” dello scorso 1 settembre ambivamo a riportare un po’ di ordine per evitare l’uso improprio (o l’abuso) dei vari termini riguardanti il fenomeno innovativo. I commenti che ci sono arrivati (numerosi ed apprezzatissimi) ci hanno svelato che il suddetto articolo è stato interpretato dai più come una difesa della rilevanza e dell’impatto dell’incremental innovation.
Proprio uno di questi commenti ci ha permesso di venire a conoscenza del caso di SafiloX, in cui l’incremental innovation e la qualità del design di matrice italiana si coniugano in modo magistrale in un esempio di diversificazione produttiva davvero innovativo. Ce ne ha parlato Nicola Belli, project manager e direttore dell’area di Front-End Innovation all’interno di Safilo. Safilo è una società leader in Italia per la produzione di occhiali e montature (oltre che di maschere da sci e caschi da sci o bici): fondata nel 1934 da Guglielmo Tabacchi, oggi è diretta da Luisa Delgado e fattura più di un miliardo di euro l’anno (nel 2016 il fatturato è stato di 1,25Mld€ e l’utile netto di 15,4M€).
Chiacchierando con Belli (che ha un background ingegneristico ed un’esperienza pluriennale nella gestione dell’innovazione orientata allo sviluppo sociale e del territorio) abbiamo appreso che l’azienda ha avviato da alcuni anni un progetto di sviluppo nel quale tecnologie indossabili, ottica di design e raccolta dati si integrano per fornire una soluzione user-centered. SafiloX è stato presentato in anteprima lo scorso gennaio a Las Vegas durante il Consumer Electronics Show 2017 da Safilo e dall’azienda partner InteraXon, che si occupa di tecnologie di monitoraggio dell’attività celebrale: il progetto ambisce ad elevare il concetto di occhiale oltre le sue classiche funzioni (estetica, di protezione dai raggi solari e di correzione della vista) tramite l’integrazione di tecnologie avanzate che possano contribuire al benessere della persona in maniera non intrusiva.
Questa linea di “occhiali intelligenti” ha tutte le carte in regola per riuscire dove altri (grandi!) player si sono arresi. Non per nulla, se di occhiali elettronici si parla, è impossibile non pensare all’esempio dei Google Glass, iniziato nel 2013 e terminato nel 2016: a Mountain View si intendeva differenziare il nuovo super-occhiale offrendo esperienze di realtà aumentata e beneficiando della mole di dati raccolti dalla telecamera integrata nel prodotto. In realtà la ragion d’essere del progetto alla base dei Google Glass si fondava sulla volontà, da parte di Google, di espandere il raggio di raccolta e le potenzialità offerte dai Big Data: un progetto volto (come tanti altri in Google) a spingere diversi attori dell’ecosistema verso l’iper-connessione dell’utente. L’azienda di Mountain View non ha saputo (voluto?) affiancare a tale volontà una capacità adeguata di lettura del mercato e la conoscenza delle esigenze degli utenti finali: la telecamera rendeva i Google Glass troppo pesanti e scomodi da indossare, il prodotto era asimmetrico, ed è stato rifiutato semplicemente perché inadeguato.
Funzionalità e leggerezza, invece, sono i fattori-chiave che hanno guidato lo sviluppo della linea brain-sensing di Safilo.
La genesi di questo ambizioso progetto di diversificazione ed R&D risale a gennaio 2014. Fin da allora, logica di Safilo si è imperniata su una concezione “inside-out” della raccolta dei dati: l’obiettivo era creare un occhiale che potesse raccogliere informazioni sulla condizione dell’utente real-time e che sulla base di queste potesse fornire suggerimenti su come comportarsi per migliorare il proprio benessere, rapidamente e facilmente. Una value proposition che si basasse, insomma, sulla “disconnessione” dell’utente e non tanto su uno stressante data-overload a suo danno.
Il Consumer Electronics Show 2015 è stato l’evento che permette al team di Safilo di entrare in contatto con l’azienda con la tecnologia giusta per concretizzare la suddetta idea: InteraXon è l’ideatrice di Muse, un dispositivo indossabile che permette di monitorare l’attività celebrale e di inviarne relativa documentazione all’utente tramite un’app mobile, che provvede a suggerire una serie di attività di mindfulness e di meditazione tailorizzate sulla condizione contingente della persona.
Trovato il partner inizia la sperimentazione: Safilo e InteraXon danno inizio ad una fase di prototipizzazione e di sperimentazione di 7 mesi che si conclude nel maggio 2016 con la stipula di un rapporto di partnership esclusiva per la produzione della linea SafiloX, alla quale sono stati connessi ben sei brevetti e che tra pochissimo (il 3 ottobre) sarà lanciata sul mercato.
La realizzazione di SafiloX è avvenuta combinando la tecnologia di InteraXon con
– una base di ricerca scientifica afferente al campo delle neuroscienze sulla neuroplasticità e l’analisi delle informazioni sulla attività cerebrale allo scopo di definire programmi riabilitativi o esercizi per il miglioramento del benessere personale;
-un approccio di design e gestione dell’innovazione ispirato al modello del Jugaad, secondo il quale ci si deve focalizzare sullo sviluppo delle funzionalità essenziali dell’offerta (solo quelle davvero utili all’utilizzatore finale), escludendo il non-necessario;
– una chiara focalizzazione sul mercato core per l’azienda che ha permesso a Safilo di direzionale le proprie attività di design verso elementi percepiti come fondamentali per l’utente, e scongiurare i pericoli di estetici, ergonomici e funzionali alla base del fallimento dei Google Glass.
Abbiamo chiesto a Nicola Belli di evidenziare le tre lezioni tratte dal caso SafiloX.
Ci ha detto che sono stati fino ad ora fondamentali:
1) l’elaborazione di una visione chiara e pragmatica di cosa si vuole offrire e dell’obiettivo che si vuole perseguire;
2) delle regole di condotta e criteri di operatività (riguardanti tecnologia, prodotto o modalità di interazione con gli eventuali partner e/o clienti), unitamente alla onestà intellettuale e alla costanza nel saperle rispettare;
3) la disponibilità alla collaborazione in un’ottica (“win-win”) di accrescimento e condivisione del valore: ciò implica saper rinunciare al “dominio esclusivo” sul prodotto e sui suoi caratteri distintivi, per volgersi a paradigmi sfidanti (come l’innovazione frugale) o nuovi modelli di prodotto (la piattaforma) che trascendono le mura della propria azienda e richiedono una capacità di lettura del mondo e dei mercati.
“Non abbiamo inventato niente nel senso stretto della ricerca di base”, asserisce Nicola Belli, “ma abbiamo saputo unire elementi diversi in modo innovativo e originale, meglio di chi aveva sviluppato quei singoli elementi e li aveva in mano”.
Ed è qua che sta il cuore dell’innovazione incrementale! Essere originali non significa necessariamente introdurre elementi di genialità, ma magari ricombinare elementi esistenti in modalità nuova, creativa, unica. L’originalità deriva dal saper coniugare la funzionalità con la versatilità, la semplicità d’uso con la facilità di accesso. L’innovazione incrementale sottintende una capacità avanzata di capire il funzionamento di prodotti e/o modelli di business esistenti e di saperli leggere e reinterpretare alla luce delle reali esigenze del mercato e delle persone. L’innovazione incrementale avviene in tanti casi come evoluzione, e non come rivoluzione.
Questo è un elemento che dovrebbe essere tenuto presente soprattutto in quei tanti contesti manifatturieri “tradizionali”, che potrebbero intraprendere un percorso di cambiamento in maniera non ovvia, sparigliando le carte con la sostenibile leggerezza dell’innovazione incrementale.
Alberto Di Minin e Luisa Caluri