La formazione come leva strategica per il successo. Dialogo con Gianluca Consonni

Nell’epoca del cambiamento, la formazione rappresenta la principale leva strategica per il successo di un’organizzazione o di un individuo. Il termine “formazione” deriva dal latino formatio, prendere forma, e con esso si intende sia la crescita professionale di un individuo, sia il processo di apprendimento e crescita personale. Molte sono le iniziative di formazione executive che mirano ad aiutare le figure professionali a restare al passo con i ritmi del mondo del lavoro contemporaneo. Oggi ci concentriamo sull’offerta formativa per top manager di The European House – Ambrosetti e lo facciamo proponendovi la visione di Gianluca Consonni, responsabile dei servizi di aggiornamento.

 

Gianluca, tu ti rivolgi ai leader, un target con un attention span molto particolare, con una necessità di formazione che è unica. Quali sono le specifiche problematiche ed opportunità nell’interagire con la classe dirigente?

 

Tutto quello che facciamo nasce dal segmento che andiamo ad indirizzare, quello dei vertici aziendali e dei top e senior manager. Quali sono le esigenze di queste persone? La prima è legata alla propria agenda. Queste persone hanno esigenze di tempo e di mobilità, per qui l’80% degli incontri che facciamo hanno la durata di mezza giornata perché ti permette di conciliare l’attività lavorativa, ma al tempo stesso ti permette di andare molto in profondità.

Secondo aspetto, queste persone hanno fatto molta formazione nella loro vita, quindi l’asticella si alza. Noi dobbiamo portare qualcosa di nuovo, di diverso. Per cui quando organizziamo qualcosa ci chiediamo: stiamo organizzando qualcosa per cui un direttore si alzerebbe e uscirebbe mezza giornata dall’ufficio? La dimensione internazionale può essere una risposta, la seconda è il tema delle visite aziendali. Le visite aziendali sono una grande ricchezza perché permettono di toccare con mano realtà che non si potrebbe incontrare altrimenti e ti “obbligano” ad uscire dalla tua.

La terza sfida che noi abbiamo è la popolazione molto trasversale. In questo caso dobbiamo sviluppare una macchina tale per cui se il contenuto deve interessare al direttore delle risorse umane deve parlare del futuro della gestione delle risorse umane, se deve interessare il direttore marketing deve trattare del futuro del marketing ecc. È per questo motivo che alla fine dell’anno facciamo qualcosa come 110 incontri.

 

Le 3 parole chiave della mia attività didattica sono: empatia (costruire delle interfacce giuste con la tua aula), engage (sperimentare, simulare, giocare) e enable (fornire degli strumenti o dei contenuti). Quanto ti senti stretto in questi tre mantra o quanto ti senti di interfacciarti con un metodo di un docente universitario?

 

È molto più difficile parlare di empatia con 110 incontri e 110 speaker all’anno. E quindi cosa facciamo? Noi lavoriamo sul contesto, quando arrivi devi sentirti a casa. Quindi più che empatia cerchiamo di creare un clima, un contesto normale e aperto, perché non riusciremmo a farlo con i singoli docenti.

Engage è un tema molto critico. Abbiamo una regola aurea “almeno il 35% del tempo dedicato all’incontro deve essere dedicato al dibattito”. I manager vengono ad ascoltare, ma vogliono anche parlare ed interagire, e questo non è facile quando hai tante persone. Quindi stimoliamo l’interazione. L’interazione avviane in due momenti fondamentali: il primo è la sessione domande & risposte alla fine di ogni intervento; e la seconda è l’istant poll. La terza dimensione è il networking. Negli ultimi 2 anni abbiamo lavorato molto per creare degli incontri con una platea selezionata.

Enable, che strumenti diamo? Piuttosto che specifici strumenti, vorremmo far avere al partecipante tre messaggi chiave. Forniamo una serie di informazioni per capire cosa accade nel mondo fuori, insieme ad un kit abbastanza corposo di documenti e letture. Il punto è che spesso il top management finisce per staccarsi dalla realtà quotidiana. Quando si va ad un incontro sull’intelligenza artificiale non si uscirà con lo strumento da utilizzare da domani mattina, però si portano a casa i tre punti importanti che devi considerare, sta a te approfondirli.

 

Per quanto riguarda i contenuti, quali sono gli ambiti su cui vorresti riuscire a fare più formazione? Qualcosa su cui i nostri dirigenti sono ancora poco sensibili?

 

Gli ambiti sui cui stiamo lavorando sono tre. Il primo ambito è lo sguardo al futuro, quindi il tema dell’innovazione. C’è una grande fame di innovazione che vada oltre le tematiche scontate. Diversi sono gli ambiti su cui ci stiamo concentrando e sono quelli più ostici da comprendere: intelligenza artificiale, realtà virtuale, blockchain come tecnologia, big data, robotica. La nostra sfida è che i nostri partecipanti non devono diventare esperti di intelligenza artificiale ma hanno bisogno di capire cosa sta succedendo e cosa succederà in quegli ambiti.

Il secondo filone è “quali sono gli incontri più frequentati?” qui troviamo temi trasversali: leadership, storytelling gestione della rabbia, dei conflitti. Su questi temi soft, c’è una fame incredibile che va oltre le nostre aspettative. Essere un leader oggi è diverso che essere un leader 10 anni fa. Come motivare persone demotivate in momenti di difficoltà? Come convincere queste persone a farle vendere il doppio? Anche qui la sfida è offrire qualcosa di nuovo che non sia la classica lezione già sentita.

Il terzo filone è quello che io chiamo culturale e in questo metto dentro anche la geopolitica. Il filone culturale in senso allargato sta riscontrando molto successo e noi lo interpretiamo come esigenza di migliorare e crescere come persone perché purtroppo le aziende ti “risucchiamo” sempre di più, ti chiedono sempre di preformare di più. In questo contesto l’uomo si sta davvero inaridendo e noi percepiamo la grande risposta a questi incontri come il desiderio di “fammi respirare aria nuova, ricordami che sono una persona che deve crescere mentalmente e professionalmente e non sono solo un esecutore”.

 

Un’ultima domanda. C’è un consiglio che dal tuo osservatorio ti senti di voler fare ai brillanti studenti di management a livello di master o laurea magistrale?

 

La mia osservazione che sento di condividere con questi ragazzi è la seguente: sei bravo, e probabilmente sai di esserlo perché te l’hanno detto o perché sei intelligente e lo capisci. Ti consiglio due cose: umiltà e sguardo fuori.  Umiltà vuol dire prova a considerarti meno bravo di quello che sei perché questo ti aiuterà nel medio e lungo periodo.

Invece – è questo è lo sguardo fuori – molto spesso ti consideri bravo perché ti confronti con i tuoi pari, in altre parole sei il migliore del tuo corso, mentre in ogni facoltà ci sarà qualcuno più bravo. Allora qual è il punto? Devi cominciare a guardare fuori, arricchirti e contaminarti perché il sapere di essere bravo e il contesto in cui ti credi bravo può diventare la tua principale gabbia. Non è soltanto andare all’estero che oramai è un’esperienza data per scontata, partecipare ad incontri, attività, corsi di formazione ad un livello superiore al tuo. E questo chiude il cerchio perché si ricollega un po’ con l’umiltà: ti devi mettere in discussione. Tu sei il più bravo del tuo corso di 300 persone, ma saresti più bravo di 8000 persone?

Di Alberto Di Minin e Valentina Cucino