Il metodo Machiavelli: consigli per i consiglieri

Abbiamo appena finito un bel libro di Antonio Funiciello, già giornalista, consulente aziendale e Capo di Gabinetto dell’ex Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Il 10 dicembre scorso, presso la LUISS avevamo partecipato alla presentazione del volume, intitolato: Il metodo Machiavelli. Il leader e i suoi consiglieri: come servire il potere e salvarsi l’anima (Rizzoli, 2019). L’autore mette sotto i riflettori le vite di tutte quelle figure di cui i grandi leader si circondano e che sono in grado di indicare la strada da percorrere a chi è chiamato a prendere decisioni importanti. L’opera, da intendersi anche come un vademecum che individua e analizza le caratteristiche del perfetto consigliere, aiuta i leader nella creazione e gestione del proprio inner circle di figure fidate.

Funiciello, grazie a quest’opera, ha forse fatto scoprire al pubblico italiano un genere assai apprezzato negli Stati Uniti, ovvero quello delle biografie dei consiglieri politici. Se in America questo genere si è focalizzato soprattutto sulle vite private di tutte quelle figure che animano i corridoi e i salotti dei palazzi del potere, Funiciello ci regala una guida morale che ogni aspirante consigliere e leader dovrebbe avere sul comodino.

La discussione di dicembre, moderata da Luigi Fiorentino (Capo di Gabinetto Ministero dell’Istruzione), si è aperta con il saluto di Alberto Gambescia (Editor Rivista Italiana di Public Management) ed è proseguita con gli interventi degli ospiti: Giuliano Amato (Professore emerito – Sapienza Università di Roma, già Presidente del Consiglio dei Ministri e Giudice della Corte Suprema), Stefano Battini (Professore ordinario – Università degli Studi della Tuscia), Gianni Letta (già Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri), Giovanni Orsina (Professore ordinario – Luiss) e Marcella Panucci (Direttore Generale Confindustria).

 

Ecco alcune idee che ci hanno colpito leggendo il libro e ascoltando il dibattito presso la LUISS.

La figura chiave del consigliere. L’autore parte dall’idea che tutti i grandi leader siano consapevoli dei loro limiti e che dunque si circondino di collaboratori e consiglieri poliedrici in grado di parlare in maniera franca e audace, doti rare tra i subordinati italiani. Partendo dai dodici apostoli, primo staff della storia riunito attorno ad un leader e guida spirituale, Gesù di Nazareth, e attraversando ricostruzioni di molte vicende italiane e internazionali, l’autore fa emergere un ricco ritratto di numerosi leader e di chi, operando nell’ombra, ne ha facilitato l’ascesa al potere. Il filo conduttore è sempre lui, Niccolò Machiavelli, il più noto consigliere politico di tutti i tempi. È proprio Machiavelli che ci insegna che il potere si esercita per delega e che i primi delegati di un leader sono i suoi consiglieri, dai quali dipende il “successo” del leader stesso.

Il filo tra responsabilità e gusto per l’anonimato. Chi lavora dietro le quinte ha enormi responsabilità sia nei confronti del leader che dello Stato. Come sottolineato da Giuliano Amato, la vita del consigliere si regge su un filo sottile legato da un lato alla passione per l’anonimato e dall’altro al “gusto di far passare le proprie idee attraverso gli altri”. Un buon consigliere deve evitare di ferire il leader rivelando di essere la mente dietro il potere e al contempo provare giovamento dalla propria capacità di produrre idee che servono. Le qualità dei consiglieri devono essere trasferite sul leader poiché, con le parole dello stesso Machiavelli, “la prima coniettura che si fa del cervello d’uno signore è vedere li uomini che lui ha d’intorno”. Con le parole di Giovanni Letta, “l’adulazione è la malattia mortale della leadership” e vero fardello della politica di oggi, poiché il bravo consigliere non deve assentire a tutto quello che passa per la mente del leader, non deve trasformarsi in uno dei tanti ‘Yes Man’, ma al contrario deve mantenere il controllo e la freddezza necessari a guidare il leader per mari tempestosi.

Insegnamento dall’oriente. Tra le varie figure analizzate all’interno dell’opera di Funiciello forse avrebbe potuto trovare spazio anche Wei Zheng (580-643 d.C), fidato consigliere dell’Imperatore Tai Zong (599-649 d.C) della dinastia Tang, uno dei sovrani cinesi più significativi. Infatti, secondo Stefano Battini, alcuni temi importanti ricorrono nella filosofia di Confucio e negli scritti di Machiavelli, ed in particolare quello della dipendenza reciproca tra consiglieri e leader, incapace di gestire il potere senza i primi. I consiglieri devono essere tanti e diversi tra di loro, devono rappresentare il tessuto sociale per rispondere all’esigenza di ascoltare molteplici opinioni eterogenee. Wei Zheng, primo critico di corte, ci insegna che un buon consigliere deve essere schietto ed onesto, concetto riassumibile nella facoltà – con le parole di Battini – “di mandare a quel paese il leader.”

Fedeltà o merito? Il problema si sposta dunque sul tema dei criteri di selezione: fedeltà o merito? Funiciello non ha dubbi: il merito e la scelta secondo un’intelligenza ‘contestuale’. Il consigliere deve essere intellettualmente leale al progetto politico che il leader incarna e deve in un certo senso seguire le sorti del leader politico. Funiciello è abile nel distinguere il ruolo del consigliere politico, leale verso un leader, da quello del funzionario statale, leale verso lo stato, ovvero l’intera comunità politica che incarna diversi progetti. Il consigliere politico deve ricoprire la funzione di ponte tra leader e burocrazia. In Italia, questa linea di confine è ben definita? Secondo Battini, nel nostro paese i due ruoli sono più fluidi, in entrambe le direzioni. Di diverso avviso sarebbe stato  Wei Zheng il quale, pur sostenendo l’importanza per un consigliere di aiutare il sovrano a regnare il più a lungo possibile, ci esorta a non essere totalmente leali nei confronti del leader, in quanto la lealtà ai massimi livelli ci porterebbe a seguire il sovrano anche quando quest’ultimo ha torto. Ciò entra in contraddizione con l’idea di Funiciello, secondo cui un buon consigliere è fedele solamente quando lega il proprio destino a quello del sovrano.

 

Leader di oggi come ‘follower’ di consensi. Secondo Lucio Biasiori (Università degli Studi di Padova), “uno [Machiavelli] che scriveva che non è necessario avere delle qualità, ‘ma è bene necessario parere di averle’ forse oggi avrebbe scritto l’Influencer, invece del Principe.” Oggi siamo davanti ad una schiera di consiglieri avidi di potere e fasulli che giostrano il potere attraverso ciò che è stato appreso dai social e che consigliano il leader in base a quanti ‘like’ possono essere racimolati. Un buon consigliere, pur mantenendo il delicato ruolo di portavoce dei sentimenti della nazione, dovrebbe evitare di suggerire linee guida per inseguire questo o quel consenso. Secondo Marcella Panucci, siamo in una fase storica in cui i leader sono più ‘follower’ di consenso e l’opera di Funiciello è più che mai essenziale in questi momenti bui.

Questa imperfezione chiamata politica. A partire dalla Rivoluzione Francese, la politica è diventata il luogo dove si scarica il desiderio umano di perfezione, causando risultati catastrofici. La politica al contrario è il luogo della limitazione del danno che, secondo Giovanni Orsina, si limita a fare il meglio che si possa nelle condizioni date. Il libro di Funiciello, grazie ad uno sguardo disincantato, ci dimostra quanto imperfetto e incompleto sia il risultato dell’azione politica. Ogni decisione politica porta con sé un prezzo di cui il consigliere è il primo a pagarne le conseguenze.

In conclusione. Quale deve essere dunque la fondamentale qualità di un grande consigliere? La sua libertà di critica nei confronti dell’operato del leader. Secondo Funiciello: “Il potere, molto più della politica, ha la tendenza a tracimare e pretendere di essere il motore di ogni cosa. La più grande forza della democrazia liberale è concedere a tutti, nel rispetto delle leggi, la possibilità di non lasciarsi trascinare da quello straripamento. Anche quando si tratta del potere democratico più diffuso e partecipato, quello con maggiore consenso e legittimato da libere elezioni.”

Il Metodo Machiavelli è un elogio alla politica e ad un potere scevro dalla corruzione e lontano dai pregiudizi poiché, citando il Machiavelli, “in questo mondo di una politica e di un potere pavidi e fasulli non si capisce proprio cosa dovremmo farci”. Un’ottima e godibilissima lettura per i tempi che corrono.

Di Alberto Di Minin e Alessandro Zadro