Lunedì 30 marzo alla Scuola Superiore Sant’Anna all’interno del corso China Issues interviene sulle comunità cinesi in Italia Daniele Brigadoi Cologna, Professore dell’Università degli Studi dell’Insubria.
Quando e come nasce la presenza cinese in Italia?
La presenza cinese in Italia si sviluppa come fenomeno migratorio da una zona specifica della regione cinese del Zhejiang, l’entroterra montuoso della città di Wenzhou, a partire dall’arrivo di alcune centinaia di venditori ambulanti di perle finte nel 1926. L’innesco di una filiera migratoria da questa particolare zona dipende dalla sua precoce esposizione al commercio internazionale in Occidente, grazie al fatto di essere il luogo di produzione di un tipo di pietra (pirofillite di Qingtian) che si prestava straordinariamente bene alla lavorazione di “cineserie”, che godettero di un notevole favore degli importatori occidentali nel corso delle prime Esposizioni Universali. Piccoli numeri di commercianti del Zhejiang erano dunque presenti in diverse capitali europee quando questa migrazione acquistò slancio, in seguito al rimpatrio dei migranti del Zhejiang dal Giappone dopo il devastante terremoto del Kanto del 1923. Nel 1924 una migrazione “di rimbalzo” portò questi migranti rimpatriati dal Giappone a Shanghai, e da Shanghai verso l’Europa: prima in Germania, Spagna e Francia, poi in Italia. Negli anni Trenta e Quaranta questa migrazione verso l’Italia si rafforzò ulteriormente, tanto che durante la Seconda Guerra Mondiale i cinesi del Zhejiang in Italia erano circa mezzo migliaio. Nel dopoguerra una cinquantina di famiglie – quasi tutte miste, marito cinese e moglie italiana – decisero di rimanere in Italia e i loro lignaggi furono alla base della riattivazione dei flussi migratori durante gli anni Ottanta, mentre in Cina si avviava l’era delle riforme. Un filo ininterrotto lega l’immigrazione cinese degli anni Venti a quella di oggi, una storia lunga un secolo.
Tuttavia, se il ruscello delle nuove migrazioni crebbe fino al suo picco verso la metà degli anni duemila, oggi si sono ridotte a un rigagnolo, in cui prevalgono ormai la componente di expat e studenti universitari da tutta la Cina e di ricongiungimenti famigliari dal Zhejiang.
Quali sono le comunità più importanti nel nostro Paese e quali caratteristiche – se ci sono – si possono individuare?
Vi sono essenzialmente tre logiche distributive della presenza cinese in Italia: una più corpuscolare e diffusiva, legata alla presenza in un’ampia gamma di imprese dei servizi, della ristorazione e del piccolo commercio, che porta migranti cinesi a insediarsi in ogni regione e città d’Italia, con alcune concentrazioni importanti nelle maggiori metropoli, a partire da Milano e Roma; una più concentrativa e centripeta, legata all’importanza della manifattura nei comparti tessile e pellettiero/calzaturiero per alcuni distretti industriali italiani: è il caso dei triangoli Carpi-Modena-Reggio Emilia, Schio-Treviso-Rovigo, Prato-Empoli-Firenze, Fermo-Sant’Elpidio-Macerata, Napoli-Terzigno-Secondigliano ecc.; una più aderente alle catene distributive della logistica internazionale che incanala le merci importate dalla Cina verso il Norditalia e il Nordeuropa, con i suoi piccoli poli di smistamento merci di Napoli, di Roma, delle varie piattaforme logistiche liguri, piemontesi, lombarde e venete. Le principali differenze sono legate al fatto che laddove vi è una concentrazione di operai manifatturieri si ha spesso a che fare con persone e famiglie di insediamento relativamente più recente, con barriere linguistiche e culturali più cogenti, con livelli economici e di istruzione più bassi (es. Prato), mentre laddove prevale l’inserimento nei servizi è più forte ed evidente la componente dell’immigrazione di seconda generazione, più ricca, più istruita e generalmente meglio integrata nel tessuto economico, sociale, politico e culturale.
Qual è il rapporto tra la comunità cinese in Italia e la Cina?
Si tratta di un rapporto complesso, perché è sempre più complessa la stratificazione interna alla popolazione cinese residente in Italia: stratificazione per differenze di classe e d’istruzione; per provenienza geografica e geo-dialettale; per la forte differenza intergenerazionale in termini di integrazione ed esperienza della società e della cultura italiana; per il diverso rapporto con la madrepatria che caratterizza chi è nato o cresciuto in Italia dai propri genitori immigrati da adulti, e questi ultimi dagli expat e dagli studenti universitari cinesi. Inoltre, vi è una piccola ma crescente realtà di cinesi naturalizzati italiani, che hanno rinunciato alla cittadinanza cinese. L’intera “comunità cinese” è soggetta a un’intensa propaganda e a politiche di cooptazione politica da parte del governo cinese, che negli ultimi decenni ha molto intensificato e rafforzato tanto i propri discorsi identitari quanto le proprie politiche rivolte ai cinesi d’oltremare. Tuttavia, vi reagisce con importanti differenze di conoscenza, competenza e grado di adesione a seconda delle generazioni e del diverso status dei propri membri. L’associazionismo comunitario dei cittadini cinesi residenti all’estero – in Italia come in altri paesi – generalmente si interfaccia regolarmente con le proprie rappresentanze diplomatiche, per esigenze di carattere burocratico, ma anche di ordine economico e politico.
Quale proposta pensi possa essere la più efficace per favore ulteriormente l’integrazione delle comunità cinesi in Italia?
Rafforzare l’insegnamento della lingua italiana per gli adulti in modo capillare, creativo e adattivo, avvalendosi dei social media e della facilità con cui cinesi d’ogni età e condizioni guardano al proprio cellulare come principale portale di accesso all’informazione e alla cultura. Coniugare tale impegno a un sistematico e trasversale ripristino dell’educazione civica nel senso dell’affermazione dei valori repubblicani dentro e fuori dalla scuola. Riservare più spazio e importanza alla voce dei cinesi d’Italia nella comunicazione e nel discorso pubblico, tanto a livello mediatico, sociale, culturale, quanto a livello più squisitamente politico. Incentivare attivamente la naturalizzazione, facilitare il conseguimento della cittadinanza italiana, soprattutto secondo i criteri dello ius soli e dello ius culturae, creare le premesse per la comune costruzione di un’identità sinoitaliana. Ricordiamoci che nel vuoto totale delle iniziative italiane in tal senso, fervono invece quelle dello stato cinese. Considerata l’importanza numerica e socio-economica della minoranza cinese d’Italia, porsi la questione anche in termini di costruzione attiva di un’identita condivisa è ormai ineludibile questione d’interesse nazionale.