Innovazione in Toscana: il punto con Barni, Di Benedetto, Mazzeo

Fare della Toscana il più grande parco tecnologico d’Europa da qui a dieci anni. Promuovere un ecosistema di startup che diventi riferimento a livello mondiale entro cinque anni. Puntare sulle scienze della vita e sui big data. Istituzioni e imprese toscane possono mirare in alto per fare crescere il tessuto imprenditoriale.

Ne parlano in questo pezzo, che riporta quanto emerso durante alcune delle Innovation Restart Chats organizzate nell’ambito del Master Mind della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, la vicepresidente della Regione Monica Barni, il consigliere regionale Antonio Mazzeo e il presidente del Polo tecnologico di Navacchio Andrea Di Benedetto.

TEMPO DI BILANCI. “Negli ultimi cinque anni – racconta il consigliere regionale Antonio Mazzeo – abbiamo tentato di cambiare il modello di policy dell’innovazione che era presente in Regione Toscana. Stavamo uscendo da 10 anni di crisi economica profonda che aveva toccato non solo l’Italia e la Toscana, ma gli equilibri economici del mondo, e quindi dovevamo trovare modelli innovativi per ridare competitività ai fattori territoriali come elemento imprescindibile per il successo di qualunque strategia di sviluppo. Insomma, dovevamo ripensare la nostra storia”.

Già. Ma qual era il sistema tradizionale da “ripensare”? “Mi riferisco ai distretti industriali del Made in Italy che si sviluppavano lungo la valle dell’Arno – prosegue Mazzeo – dalla provincia di Arezzo a quella di Pisa. Ma anche al distretto conciario e a quello del tessile a Prato. Abbiamo messo sotto la lente d’ingrandimento due aree: quella fiorentina e quella pisana, perché lì ci sono grandi capacità di produrre ricerca e tecnologie innovative. Ci siamo chiesti: come possiamo cercare di mantenere il distretto classico e sviluppare le tante idee innovative che nascono negli ambienti universitari? La Regione non ha tantissime risorse proprie che può mettere a disposizione. Le risorse passano attraverso quelle che mette a disposizione l’Europa”.

TRE CANALI. Sono tre, infatti, le misure principali messe in campo in Toscana a supporto delle imprese.
La prima è costituita dai bandi per promuovere la ricerca, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. “Abbiamo messo in questa misura 253 milioni di euro, il 32% delle risorse complessive che avevamo a disposizione. Risultato? Più di 500 imprese hanno messo in campo iniziative di ricerca e sviluppo. Ognuna delle aziende che poteva prendere questi finanziamenti, però, doveva investire anche su nuovo personale, meglio se tra i 24 e i 35 anni”.
La seconda misura per aumentare la competitività passava per il miglioramento dell’accesso al credito. “Con Fondo garanzia Toscana abbiamo stanziato più di 60 milioni per le Pmi che volevano investire ed avevano bisogno di liquidità, garantendo col sistema bancario fino all’80% dell’investimento. Questo stimiamo abbia liberato più di un miliardo di euro di investimenti in innovazione nella nostra regione”.
La terza azione era volta a favorire l’internazionalizzazione per “accompagnare le imprese a cogliere le opportunità del mercato globale. Ci siamo resi conto della necessità di uscire dai nostri confini. Abbiamo messo più di 200 milioni di euro per sostenere le imprese facendo in modo che quelle che avevano meno competenze potessero prendere un temporary manager per aiutarle ad operare questo processo di scale-up”.

STARTUPPER, NON STARTUP. Per Andrea Di Benedetto, presidente del Polo tecnologico di Navacchio, “la Toscana è un posto molto speciale perché ha buone capacità sia tecnologico-innovative che artigianali-produttive. Il problema è che entrambi gli aspetti non sono realmente sfruttati per il loro enorme potenziale, soprattutto finché terremo separate queste due anime. Il vero punto di svolta avverrà quando sapremo ibridare digitale e Made in Italy”.

Quali sono, dunque, i freni che ancora rallentano la crescita?

“Intanto c’è una dimensione d’impresa molto piccola – sostiene Di Benedetto – con una bassa capitalizzazione e una scarsa cultura dei capitali che porta spesso a fare innovazione col debito e non con l’equity (uno dei problemi a dir la verità che affligge tutta l’Italia, non solo la Toscana). Il tutto poi, generalmente, abbinato ad una scarsa ambizione imprenditoriale. Mi spiego meglio: noi siamo molto orgogliosi di ciò che sappiamo fare, che siano prodotti tecnologici o meno, ma diamo all’imprenditoria più una dimensione etico-estetica che di affari, ci piace ‘far le cose fatte bene’. In sé è una cosa molto bella, e un ottimo prerequisito, ma dobbiamo trovare le energie per far diventare tutto questo un vettore di sviluppo economico. Non c’è niente di male a diventare ricchi!”.

In seconda battuta ci si sta scontrando con “un limite strutturale nostro – segnala Di Benedetto – che richiede un cambio di passo: la mancanza di competenze manageriali (mercati, finanza, organizzazione aziendale). C’è bisogno di formazione che produca startupper più che startup. E c’è bisogno di imprenditori artigiani, non artigiani imprenditori”.

COMPETENZE DIGITALI PER LA MANIFATTURA. Cosa fare, dunque, per innestare nel tessuto imprenditoriale attuale queste nuove formule?

“Dei passi sono stati fatti – riconosce Di Benedetto – ed abbiamo migliorato sicuramente la nostra capacità di crescita, ad esempio utilizzando uno strumento della Regione Toscana secondo me eccezionale come quello dei servizi qualificati o micro-innovazione. Poi serve un supporto fiscale forte per la crescita dell’equity per le nostre imprese. Contemporaneamente – continua Di Benedetto – serve finanziare il più possibile la domanda di innovazione e non l’offerta: mettere meno soldi in progetti di ricerca e sviluppo poco misurabili e metterne invece molti di più nelle tasche di chi compra servizi innovativi”.

Le caratteristiche del tessuto imprenditoriale toscane sono peculiari. “La Toscana – spiega ancora il presidente del Polo tecnologico di Navacchio – ha un tessuto imprenditoriale purtroppo ancora troppo impermeabile alla digitalizzazione dei processi, ma dobbiamo darci come obiettivo prioritario quello di avere nel giro di 5 anni un ecosistema toscano di startup che possa diventare un riferimento a livello mondiale, facendo leva sul Made in Italy. Se immaginiamo, infatti, di innestare queste competenze digitali nella nostra manifattura, nella nostra capacità di produrre cibo, nella nostra capacità di fare turismo, potremo creare delle startup non necessariamente scalabili come Facebook o Google, ma altrettanto innovative. In fondo non è che possiamo pensare che ogni territorio avrà 10 ‘unicorni’ che producono servizi digitali impalpabili e globali, ma a mio avviso non sarebbe neanche auspicabile: sarà molto meglio avere 1000, 10mila, 100mila imprese di qualità con un impatto forte e duraturo sull’occupazione, sulle competenze e sulla capacità di attrarre talenti. Insomma, sull’economia reale”.

FARE SISTEMA. La vicepresidente della Regione, Monica Barni, tesse le lodi dell’alta formazione e della ricerca toscane. “In nessun’altra regione – sostiene Barni – è presente una struttura così composita e così facilmente riconducibile a sistema come da noi. Oltre a questo, la regione è ricca di tanti enti di ricerca: 43 sedi primarie o secondarie di enti di ricerca”.

Quanto al mondo dell’industria, “il tessuto dell’imprenditoria toscana – precisa Barni – è molto diverso da quello dell’Emilia-Romagna ma presenta delle caratteristiche che, se portate avanti in maniera sistemica, mettono la Toscana in grande rilievo. Mi riferisco per esempio al tema delle scienze della vita. È un sistema molto maturo che è in grado di creare nuova imprenditoria. Un altro è quello dei beni culturali. Per le potenzialità che abbiamo si potrebbe anche fare di più, se riuscissimo maggiormente a fare sistema. Tutti quegli organismi che abbiamo rinsaldato e creato in questi anni, come la conferenza per la ricerca e l’innovazione, la conferenza dei rettori, l’ufficio delle università toscane a Bruxelles, costituiscono strumenti che ci aiutano ad incidere di più sia sulle politiche europee che sull’ottenimento di progetti e risorse”.

Su cosa scommettere, dunque? “Sul settore delle scienze della vita, perché sono sicura che su questo tema la Regione Toscana può dire e può dare moltissimo al nostro Paese e non solo, ma anche su quello dei big data, che soprattutto a Pisa ha la possibilità di dire molto”.

NON SOLO MANAGER. “La Toscana – conclude Mazzeo – mancava di un ecosistema dell’innovazione. Stiamo recuperando quel gap che avevamo rispetto ad altri territori. Con queste e con altre politiche ci poniamo l’obiettivo di far diventare la Toscana il più grande parco tecnologico d’Europa entro il 2030. Vogliamo diventi il luogo in cui innovazione e ricerca si trovino e guardino al futuro. Già formiamo ottimi manager. Abbiamo però la necessità di formare anche ottimi imprenditori. Abbiamo le seconde, le terze generazioni di imprenditori che oggi possono scommettere sul futuro, se avremo la capacità di essere a passo con i tempi. Questo territorio, che ha grande capacità di fare ricerca, non sempre è in grado di trasformare quella ricerca in valore. Ed è qui che dobbiamo lavorare”.

Di Alberto Di Minin e Nicola Pasuch