In queste settimane, 27 ministri europei riceveranno dal Direttore del Joint Research Centre (JRC) una lettera che accompagnerà il “Knowledge Transfer Metrics”, un rapporto uscito a giugno che ha cercato di fare il punto sui diversi approcci per misurare le attività di trasferimento di conoscenze e tecnologie dalle università e centri di ricerca al mercato.
Ne abbiamo parlato con Alison Campbell, Direttrice di Knowledge Transfer Ireland, che ha coordinato il gruppo di autori del rapporto, e con Giancarlo Caratti, Responsabile dell’unità di proprietà intellettuale e trasferimento tecnologico del Joint Research Centre (JRC), che ha commissionato questa analisi. “Una delle nostre preoccupazioni era arrivare ad uno strumento per valutare le performance in termini di trasferimento tecnologico. Siamo consapevoli del fatto che in Europa abbiamo ottimi scienziati ma abbiamo bisogno di più innovatori, dobbiamo portare i risultati della scienza sul mercato”, esordisce Gianluca Caratti.
Questo rapporto, scritto da Alison Campbell insieme a Cecile Cavalade, Christophe Haunold, Petra Karanikic, e Andrea Piccaluga, non rappresenta l’ennesimo tentativo di creare dei ranking, ma di formulare una scoreboard di indicatori per affiancare gli uffici di trasferimento tecnologico (TT) e i policy maker fornendo un certo grado di consapevolezza sul loro posizionamento relativamente a una pluralità di dimensioni.
Il contesto conta. “Non ci sono buoni o cattivi”, spiega Giancarlo Caratti. Anche noi siamo molto d’accordo con questo approccio e siamo convinti che, sebbene non ci sia un modo giusto o sbagliato di fare trasferimento tecnologico, le strategie di TT debbano essere “sartoriali” rispetto al contesto in cui esse intervengono. “Fino ad oggi si sono imposte alcune metriche per valutare l’efficacia del trasferimento tecnologico” – sottolinea Alison – “tuttavia, abbiamo parlato con colleghi di Stanford e dell’MIT, e ci hanno pregato di non paragonare l’Europa al loro contesto, poiché i loro ecosistemi sono unici e completamente differenti da quanto presente anche in altre regioni degli Stati Uniti”. La sfida di questo report è proprio quella di fornire una pluralità di indicatori che consenta a chi si occupa di trasferimento tecnologico di disporre di un cruscotto che possa essere utilizzato, tenuto conto del contesto, per misurare i risultati del trasferimento e la loro coerenza con le strategie dei singoli enti di ricerca.
Parola d’ordine: inclusività. Questo rapporto ha coinvolto una pluralità di persone provenienti da background e realtà differenti. Il progetto aiuta a superare la mancanza di armonia nelle definizioni e abbraccia dimensioni molteplici, rivelandosi uno strumento prezioso e pronto per essere utilizzato. Inoltre, il cruscotto di indicatori rappresenta un tool di sviluppo per affiancare i professionisti del trasferimento tecnologico nei processi decisionali.
You can’t get blood out of a stone. Il successo del trasferimento tecnologico /terza missione è dell’Università nella sua interezza, non solamente del suo ufficio di TT. “Non puoi spremere sangue dai sassi” – sottolinea Alison – e i risultati del trasferimento non dipendono solo dal lavoro fatto da questi uffici, ma dal valore del contesto di ricerca in cui l’università opera. Di conseguenza, la reputazione, l’empatia e il livello di collegamento dell’ufficio alla ricerca, la condivisione della vision dell’ufficio con quella dei vertici dell’università e la qualità dell’attività scientifica sono elementi fondamentali e complementari.
Una nuova prospettiva. È molto importante non sottovalutare alcuni aspetti che sfuggono agli indicatori troppo hard di trasferimento tecnologico (come il numero di brevetti o di spin-off). Ci riferiamo ad esempio a due dimensioni come l’Empowerment e l’Engagement dei professionisti che lavorano nel trasferimento tecnologico all’interno dei centri di ricerca. Si tratta di due concetti particolarmente noti nella letteratura di Organizational Behaviour, ma fino ad oggi poco applicati agli studi sul trasferimento tecnologico. Il Perceived Empowerment viene definito (e misurato) da Gretchen M. Spreitzer, dell’Università del Michigan, come la consapevolezza dei manager di avere a disposizione gli strumenti necessari per portar a termine i task che sono stati loro assegnati. Il Perceived Engagement viene definito da Emma Soane, della London School of Economics, come il senso di missione, di appartenenza, il coinvolgimento dei dipendenti di un dato ufficio nel portare a compimento i propri compiti. Nostre analisi svolte in collaborazione con Valentina Cucino, in corso di pubblicazione, su dati italiani, dimostrerebbero che solo la copresenza di Empowerment ed Engagement porti ad un aumento delle performance degli uffici di trasferimento tecnologico.
Il rapporto Knowledge Transfer Metrics identifica una folta batteria di questi indicatori, che non hanno però l’ambizione di “insegnare agli uffici di trasferimento come fare il loro lavoro, ma semplicemente come misurarlo”, afferma Giancarlo Caratti, aggiungendo che “la scoreboard di indicatori aiuta le organizzazioni a capire quali sono i propri punti di forza e di debolezza”, quale la coerenza tra le proprie intenzioni, il contesto di innovazione regionale e i risultati raggiunti passo dopo passo.
JRC si è ora impegnato a lanciare un esercizio di benchmark su scala europea, condividendo questa metodologia con i network degli uffici di trasferimento tecnologico – come ad esempio ASTP (network europeo di uffici di trasferimento tecnologico) e NetVal in Italia – per arrivare ad una prima applicazione di queste metriche in diverse realtà del nostro continente.
Di Alberto Di Minin e Deepa Scarrà