Arrivano i rinforzi: innovazione e capitalismo di stato

La settimana scorsa, nell’ambito della conferenza annuale APRE 2020 “Verso un nuovo futuro. La ricerca e l’innovazione europea in rete”, abbiamo assistito ad un importante confronto tra due realtà che rappresentano forse i due strumenti più ambiziosi e potenzialmente incisivi per l’ecosistema italiano dell’innovazione: l’European Innovation Council (EIC) e il Fondo Nazionale Innovazione (FNI). A rappresentarli sono intervenuti Jean David Malo, Direttore della Task Force EIC, e Francesca Bria, Presidente del FNI. A nostro giudizio, questo dialogo ha saputo andare oltre le tassonomie, per concentrarsi su un piano strategico e implementativo molto concreto, dando al pubblico collegato l’impressione che Europa ed Italia si stiano muovendo con decisione e con strumenti di azione veramente incisivi.

La scommessa della Commissione. Da Bruxelles, il Direttore Malo ha chiaramente messo al centro dei suoi discorsi quelle che sono state identificate come le tre principali debolezze del sistema europeo d’innovazione. Innanzitutto il ritardo con cui l’Europa si sta muovendo nell’affermare una posizione di leadership nell’ambito di tecnologie fondamentali come l’intelligenza artificiale; in secondo luogo è stato sottolineato come, a fronte di una buona vitalità imprenditoriale, l’Europa stenti ancora a saper creare quelle condizioni di scale up per far diventare grandi, globali e competitivi, campioni continentali dell’innovazione (come dimostra anche il recente rapporto pubblicato dall’azienda di consulenza McKinsey). Infine, Malo ha confermato che, nonostante gli intensi e decennali sforzi, siamo ancora davanti a ecosistemi (e a volte ego-sistemi) di innovazione locali molto frammentati, poco dialoganti e raramente concludenti.

L’EIC mette al centro della sua azione la volontà di risolvere un fallimento del mercato, una incapacità del nostro sistema capitalistico di investire un giusto livello di risorse per fare crescere in Europa e per far sfondare globalmente tecnologie e innovazione made by Europe. Ecco che, per la prima volta nella sua storia, gli Stati Membri dotano la Commissione di fondi importanti, pari a 10 miliardi di Euro per Horizon Europe, tali da fare diventare l’EIC il più grande Venture Capital del Vecchio Continente, mettendo EIC a presidio dello sviluppo di quelle tecnologie e quelle idee imprenditoriali che hanno la possibilità di diventare game changer e che hanno l’ambizione di ridisegnare mercati, di inseguire opportunità in quei Blue Oceans descritti da W. Chan Kim e Renée Mauborgne. In una parola disruptive. (Tutti i numeri sulla performance di EIC sono disponibili sull’Impact Report pubblicato da EASME)

La scommessa italiana. Questo fallimento del mercato della finanza del rischio è stato indirettamente richiamato anche dalla Presidente Bria, che ha sottolineato come tramite il miliardo di euro a disposizione del FNI ci siano le premesse per smuovere il posizionamento dell’Italia, decima in Europa per il volume di investimenti in Venture Capital. Quello che sorprende dell’azione del FNI è la sua velocità di selezione e intervento. Il Fondo, diventato operativo nei mesi del lock-down sta già sostenendo le attività di crescita di 240 start-up e di diversi incubatori d’impresa. Sono numeri senza precedenti in Italia, ma fanno impressione anche se confrontati con le performance di EIC che in un anno, analizzando circa 10.000 domande di finanziamento arriva a investire in circa 300 aziende europee, e che dal 2014 ad oggi ha supportato lo sviluppo di 700 PMI italiane.

La novità dell’intervento diretto. Intervenire con una forte iniezione di capitale pubblico e paziente orientato a sostenere imprese che, senza troppe garanzie reali ma con asset intangibili e il riconoscimento della comunità scientifica e tecnologica, provano a trasferire sul mercato il risultato del lavoro di laboratori e centri di ricerca è una svolta importante e senza precedenti. In passato, tale intervento è stato mediato, cioè è avvenuto tramite il supporto di iniziative di venture capital nazionali o paneuropei forti dei contributi ricevuti da parte di Roma e Bruxelles (tramite il BEI/FEI) per la costituzione di fondi che poi sono stati gestiti secondo le logiche dei singoli operatori.

Le attese dei VC. Questi stessi investitori privati ora guardano con attenzione, ma anche con una certa dose di preoccupazione, la nuova strategia, chiedendosi quanto alto sia il rischio di un crowding out ad opera dallo stato imprenditore a discapito dell’imprenditore privato. Questa preoccupazione è ben presente all’EIC che ha instaurato un intenso dialogo con investitori e VC europei. Alcuni primi studi dimostrerebbero che esiste già oggi, nei fatti, un certo livello di sinergia ed effetto leva tra l’azione dell’European Innovation Council e gli operatori privati di venture capital (sul punto si veda, ad esempio, una nostra analisi insieme ad Andrea Mina e colleghi).

Quello che ci ha colpito dell’intervento di Malo è stata la sua forte volontà nel rivendicare un ruolo della Commissione nell’affiancare gli operatori privati, nel suggerire loro una direzione di sviluppo per le tecnologie e l’innovazione fondamentali per lo sviluppo del futuro competitivo e sostenibile dell’Europa. Ed inoltre, i valori, il DNA, ed i modelli di crescita delle piccole medie imprese e delle startup italiane, come ha sottolineato la Presidente Bria, dovranno essere faro e guida ispiratrice anche per il Fondo Italiano Innovazione.

Prendiamo dunque atto della grande convergenza di vedute da parte della leadership di due fondamentali attori per il sistema EU: serve un modello e una visione europea che sia partecipativa, sostenibile e che affianchi lo sviluppo di un paradigma di innovazione dalle caratteristiche europee. L’obiettivo è quello di disegnare i contorni di una leadership tecnologica continentale.

Il successo? Convergenza ed effetto sorpresa. Quali dunque, dal nostro punto di vista, i parametri con cui si andrà nel tempo a valutare se effettivamente questi ambiziosi programmi avranno l’effetto sperato? Due i concetti chiave: innanzitutto convergenza e poi effetto sorpresa.

1. Coinvestimento. Innanzitutto, sarà fondamentale osservare se le azioni, nazionali e continentali, andranno ad insistere su una pipeline di progetti condivisi ed in secondo luogo, se effettivamente i nostri operatori privati troveranno opportunità di leverage sui modelli di business sostenuti in parallelo con risorse pubbliche da Bruxelles e da Roma.

2. Rimanere aperti a tante forme di innovazione aperta. Attenzione però, se effettivamente sia la Commissione Europea che il FNI vogliono andare ad investire su progetti Blue Ocean, su idee di innovazione che hanno l’ambizione di essere game changer, deve rimanere ben presente nella mente dei valutatori nazionali ed europei che in questo caso l’innovazione abilita l’implementazione dell’inatteso, abilita cioè la nascita e lo sviluppo di forme di trasferimento tecnologico e di imprese di cui nessuna business school o nessun consulente, scienziato o ingegnere possano ex ante intuire la forma. Per meglio dire, questi progetti d’impresa partono con una blueprint chiara e resiliente ma pronta ad essere costantemente rivista nel momento in cui i risultati e i cambiamenti del contesto in cui questi modelli di business si implementano forniscono nuove e inattese informazioni necessarie per completare questo disegno strategico.

Next Generation EU e Fondo Nazionale Innovazione avranno dunque successo se agiranno in forma complementare allo sforzo privato di venture capital e corporate venturing, e se sapranno scommettere su modelli di impresa originali e dinamici nelle loro capacità di adattamento.

Due note a margine.
1. Il dibattito tra Francesca Bria e Jean David Malo è stato moderato da Antonio Carbone, Capo Dipartimento APRE per la piccola media impresa. Negli anni abbiamo tutti apprezzato la sua competenza nel descrivere i programmi EU e nel seguirne le logiche di cambiamento. La settimana scorsa abbiamo scoperto che Antonio è anche un anchorman preciso e garbato.
2. Dopo la settimana dedicata da APRE alla riflessione sulle politiche europee, la community dell’innovazione italiana si ritroverà dall’11 al 13 di novembre al Tech Share Day 2020, organizzato da Netval insieme al Politecnico di Torino con il supporto dell’UIBM. Si tratta della prima iniziativa in cui la rete italiana degli uffici di trasferimento tecnologico valorizza la più grande piattaforma di condivisione di tecnologie trasferibili del nostro paese, video interviste con più di 60 inventori nell’ambito delle life sciences, tanto networking e la possibilità di organizzare in diretta dei momenti di b2b tra inventori, investitori… e curiosi come noi. Fuoriclasse ci sarà!

Di Alberto Di Minin e Antonio Crupi