Il nostro viaggio nell’Italia dei fondi PoC, Proof-of-Concept (si veda Il Sole 24 Ore dell’8 maggio) passa per due eccellenze italiane, il Politecnico di Torino e l’Università di Bologna, che ci permettono di scoprire quale sia il mix di competenze necessario a garantire che un PoC diventi uno strumento di connessione tra ricerca e mercato. Nello scenario dei finanziamenti pre-seed, tanti enti pubblici di ricerca in Italia si stanno muovendo: ci focalizziamo su questi perché siamo davanti a due casi che hanno fatto da apripista, introducendo o validando l’efficacia di aspetti molto importanti delle modalità di intervento per traslare la ricerca al mercato.
A partire dal 2016, il Politecnico di Torino è stato tra i primi enti italiani, se non il primo, ad arrivare ad un’applicazione su così larga scala di questa tipologia di strumenti. Troviamo i PoC di “fase I”, pensati per accompagnare l’invenzione fino alla licenza del brevetto o alla costituzione di uno spinoff, per un totale di 87 progetti da 50 mila euro, e i PoC di “fase II”, dedicati esclusivamente a generare imprenditorialità accademiche, per un totale di 13 progetti. Tra questi, un caso di successo è T-REM3DIE, progetto orientato allo sviluppo di un sistema per la riparazione dei tendini e dei legamenti che ha visto il recente finanziamento di 250 mila euro. «Stiamo costruendo una filiera – spiega Shiva Loccisano, responsabile dell’Area Trasferimento tecnologico – negli anni abbiamo messo insieme risorse interne ed esterne, coinvolgendo diversi attori dell’innovazione e costruendo una value chain capace di accompagnare le nostre tecnologie lungo tutte le fasi di sviluppo».
Nella stessa prospettiva, anche l’Università di Bologna dal 2018 ha messo in campo tre edizioni di PoC per un valore di 860 mila euro e 30 progetti finanziati. Un aspetto chiave è stato quello di coinvolgere esperti nel mondo degli investimenti pre-seed sin dall’inizio, nella fase di sviluppo dello strumento e nella fase di selezione. La logica di questo coinvolgimento è chiara: i PoC devono essere un ponte per arrivare a Trl elevati e a investimenti sostanziosi. Obiettivo dei PoC è allineare i linguaggi tra ricerca e mercato, devono attirare l’attenzione di un mondo non accademico verso investimenti che partono dal mondo della ricerca. «Nella selezione dei progetti abbiamo composto una commissione di investitori del mondo Vc – sostiene Jacopo Fanti dell’Ufficio per il Trasferimento tecnologico -: questo coinvolgimento ha generato ricadute successive e oggi sono nate diverse start up». Ne è un esempio InSimili, spin off incentrato su un dispositivo che rende più veloce ed efficace il processo di selezione del farmaco e che nel 2019 ha vinto la competizione Start Cup dell’Emilia Romagna.
Quelli di Bologna e Torino sono solo due dei casi che vedono le università italiane protagoniste di questi progetti di valorizzazione. Ad accomunarle, il duplice obiettivo di elevare le competenze imprenditoriali di un team di ricerca e di innalzare la maturità tecnologica dei progetti. In entrambi i casi, inoltre abbiamo osservato la centralità dell’ottica di filiera, e la ferma volontà di integrare competenze e risorse diverse ed eterogenee per raggiungere il risultato finale.
Di Alberto Di Minin e Giovanni Tolin