La generazione di valore come spinta all’Open Innovation

Può esistere l’innovazione senza un purpose aziendale condiviso? Ci siamo recentemente confrontati sul tema delle barriere all’innovazione, con le aziende analizzate nell’Open Innovation Italian Outlook 2024 (realizzato dal Politecnico di Milano in collaborazione con la società Lab11), per scoprire che spesso gli ostacoli da rimuovere siano di natura culturale. Questo è particolarmente vero per quel tipo di innovazione aperta che innesca dinamiche collaborative che generano valore condiviso tra più soggetti. Dall’assenza di una visione chiara alla mancanza di un approccio diffuso tra il management e il personale, l’implementazione di modelli innovativi collaborativi rischia di incepparsi. E se le aziende prima di tutto dovessero interrogarsi sul senso ultimo del loro agire? È difficile che un’azienda trovi le motivazioni per innovare se è focalizzata solamente sul raggiungimento di un profitto nel breve termine.
Secondo Colyn Mayer, professore di Oxford, è fondamentale «ridefinire il concetto di profitto in base a quello che può e deve essere il purpose di un’azienda». In quest’ottica, le imprese dovrebbero aiutare a risolvere i problemi «degli individui, delle comunità, della società e della natura». Generare dunque valore, ma mantenendo come bussola una finalità aziendale che incorpora il motivo fondante per cui un’organizzazione si sente di poter contribuire al contesto che essa abita.
Ne abbiamo già scritto con Valentina Cucino e Andrea Piccaluga nel libro “La Buona Impresa” edito da Il Sole 24 Ore nel 2021, identificando start up innovative guidate dal desiderio di lasciare il mondo un po’ meglio di come l’hanno trovato. La sfida su cui queste aziende come Quid, IntendiMe, Orange Fiber, TomaPaint si sono lanciate? Integrare la dimensione di un profitto sostenibile nel tempo con l’imperativo categorico dell’impatto. Non è possibile farlo da soli. Il purpose può rappresentare il collante di processi di innovazione aperta che mettano a sistema grandi aziende, Pmi, start up, realtà di ricerca e istituzioni per la generazione di un valore condiviso. Ecco che l’innovazione delle tecnologie, dei modelli di business e dei modelli gestionali può usare quel purpose come stella polare per aggregare attori attorno a sfide sempre più̀ cruciali, portando tante imprese a diventare “buone” imprese.
Ce lo racconta il caso del progetto Compass, finanziato per sei milioni di euro dalla Commissione Europea per riciclare quei 15 mila velivoli che il rinnovamento del settore aeronautico porterà alla dismissione nei prossimi 15 anni. Nello stesso arco di tempo il settore automotive dovrà realizzare mezzi “riciclabili” per l’85% del loro peso. Parliamo di milioni di tonnellate di materiale. Usare l’innovazione come leva per la competitività delle imprese e l’accelerazione della transizione circolare in Europa diventa dunque l’obiettivo. Tra i partner del progetto c’è anche l’italiana NsbProject realtà di scouting tecnologico che avrà il ruolo di promuovere il trasferimento tecnologico nell’industria europea e l’adozione delle nuove tecnologie sperimentate nel corso del programma. L’obiettivo è quello di aumentare l’efficienza dei processi di riciclaggio e rigenerazione dei particolari in lamiera e, dall’altro, di trovare una soluzione per grandi quantità di materiali di componenti a fine vita. L’approccio proposto è quello di una second-life in itinere, rifabbricando sul posto lamiere e pannelli compositi invece di convertirli in materia prima secondaria.
L’allineamento rispetto al purpose è dunque un fattore chiave. Bisogna infatti che una grande motivazione sia affidata a persone di qualità, a processi che funzionano e a risorse finanziarie pubbliche e private indirizzate verso il raggiungimento di questo obiettivo. Quando c’è allineamento su un obiettivo condiviso si genera quella spinta gentile capace di smuovere attori con background differenti e asset complementari, fondamentali per la creazione di valore.

Di Alberto Di Minin e Giovanni Tolin