Venerdì 14 maggio nel corso China Issues della Scuola Superiore Sant’Anna si parlerà di innovazione in ASEAN (Associazione dei paesi del Sudest asiatico) con il Professor Pietro Borsano, Faculty member in Entrepreneurship and Core Business presso la Chulalongkorn School of Integrated Innovation.
Che caratteristiche hanno gli investimenti delle aziende cinesi in ASEAN?
Gli investimenti cinesi in ASEAN sono cresciuti nel corso dell’ultimo decennio e si sono diversificati. Si possono osservare diverse dinamiche. Ad esempio, le nazioni emergenti di Myanmar, Cambogia, e Laos hanno storicamente basato molte, se non quasi tutte, le loro forniture sull’industria cinese. Visitando una qualunque media impresa manifatturiera birmana si vedrà che i macchinari e gli impianti sono di origine cinese. Lo stesso vale per il settore dell’edilizia e delle costruzioni, che hanno visto molti investimenti cinesi negli ultimi anni, soprattutto in Cambogia.
Vi è poi il capitolo infrastrutture, soprattutto nell’ambito della strategia di investimento conosciuta come Belt & Road Initiative; anche in questo campo, gli investimenti cinesi hanno interessato dighe nel Laos e ferrovie per treni ad alta velocità in Thailandia e nei paesi confinanti.
Anche le imprese private cinesi sono molto dinamiche nel Sud-est asiatico; vi sono investimenti nel settore automotive, nelle telecomunicazioni (Huawei sta costruendo l’infrastruttura 5G della Thailandia e delle Filippine ed è molto attiva in entrambi i paesi), nell’e-commerce. Per fare un esempio relativo a quest’ultimo settore, Lazada è stata acquisita dal Gruppo Alibaba nel 2016, mentre il principale competitor, Shopee, è controllato da SEA, tra i cui investitori annovera Tencent, la proprietaria della piattaforma WeChat; e, da ultimo, anche J.D. ha fatto la sua mossa nel mercato, siglando un accordo commerciale con il colosso retail thailandese Central Group (noto in Italia per aver acquisito la Rinascente). In un certo senso, in ASEAN vediamo ripetersi la competizione tra i “gorilla” (per usare la definizione di Geoffrey Moore) Alibaba e Tencent che ha caratterizzato la Cina negli ultimi quindici anni. Consiglio a tutti di leggersi i libri del mio amico Jeff Towson, o di ascoltarsi i suoi podcast su Digital China and Asia Tech Strategy (https://jefftowson.com/) … davvero utili per capire queste dinamiche.
Infine, vi sono una moltitudine di PMI cinesi che operano nell’area ASEAN, in parte come fornitori di industrie cinesi, in parte prestando servizi ai moltissimi cittadini cinesi che lavorano o studiano come espatriati nel Sud-est Asiatico.
Quali sono le differenze tra il modello di innovazione tecnologica cinese e quello dei paesi ASEAN? Esistono anche eventuali influenze del modello cinese su quello locale?
I due modelli presentano alcune diversità per una serie di ragioni. Innanzitutto, la Cina è un mercato molto variegato, quando si parla di innovazione si fa riferimento in primis alla GBA, la Greater Bay Area che comprende Hong Kong e Shenzhen, e poi allo Yangtze River Delta e all’asse JJJ (Beijing-Tianjin-Hebei). Anche la tipologia di startup innovative è diversa a seconda dell’area: la GBA è famosa per le telecomunicazioni e l’elettronica; molte startup sono quindi legate all’alta tecnologia, dal cloud computing ad intelligenza artificiale e robotica, dal FinTech alla healthcare technology, dall’e-commerce all’EdTech. Vi sono anche interessanti commistioni di finanza tradizionale e tech ventures, quale il Gruppo Ping An, il maggiore gruppo assicurativo cinese ed uno dei principali a livello globale, che opera anche piattaforme di FinTech e di healthcare technology. Inoltre, la GBA presenta un’ulteriore caratteristica chiave, ossia la presenza della piazza finanziaria di Hong Kong, che permette uno sbocco alle startup di maggior successo (nonché agli unicorni cinesi, 23% a livello mondiale, mentre gli USA sono al 50%), ossia di quotarsi in borsa tramite un IPO oppure uno SPAC, modalità che è, al momento, sotto i riflettori anche ad Hong Kong. La zona dello Yangtze River Delta, tra cui Shanghai e la provincia del Jiangsu, è invece famosa per l’industria manifatturiera (qui ha anche sede il primo stabilimento dell’IVECO in Cina), per cui vi sono startup legate all’Industria 4.0 e smart manufacturing, come ad esempio guida autonoma.
Questi cluster di innovazione non sono così strutturati in ASEAN – il modello cinese unisce solide policy governative di sviluppo dei cluster, l’intraprendenza e dinamismo del settore privato, la presenza di un capitale umano qualificato, l’accesso e l’utilizzo di big data, le economie di scala, il sostegno da parte dei venture capitalist, etc.
Inoltre, in questa fase di crescita tecnologica il governo cinese non ha regolamentato o vietato business model emergenti (come avvenuto in Italia con Uber), e solo adesso, quando molti campioni del settore privato hanno raggiunto una posizione di forza nel mercato (ad esempio, nel settore del FinTech), il governo ha iniziato ad introdurre maggiori regolamentazioni per evitare il formarsi di monopoli. Un altro aspetto interessante del modello cinese è la collaborazione tra il campo privato e quello pubblico: ad esempio, molti progetti di smart city sono co-investiti e co-gestiti, sino al 50%, dai giganti della tecnologia cinese, come Alibaba, Baidu, Tencent o PingAn.
L’ASEAN, dal canto suo, non è ancora un mercato unico e ha paesi con livelli di sviluppo economico alquanto variegato, dalla sofisticata Singapore a nazioni emergenti quali il Myanmar. Vi sono cluster, anche relativi all’innovazione, come quello di Singapore per i servizi, il FinTech e l’EdTech e della Thailandia per quanto riguarda la manifattura, con il Masterplan Thailand 4.0 che promuove le nuove “S-curves of innovation” nell’ambito dell’automotive, aerospace, pharma & healthcare.
Quanto al settore delle startup, l’ASEAN risente della mancanza di un mercato di capitali e, prima ancora, un sistema di venture capital, meno sviluppato; inoltre, si registra ancora un ritardo nel processo di invenzione e di commercializzazione di nuove tecnologie (il c.d. deep tech) rispetto a Cina, Giappone e Corea, anche per la mancanza di capitale umano nei settori STEM e una relativamente bassa produttività – al riguardo, una lettura fondamentale è il recente report della World Bank sull’Innovation Imperative per le economie dell’Asia emergente. Singapore funge da polo delle startup a livello regionale, anche per quanto riguarda il quartier generale di startup malesi e indonesiane (mercato che si distingue per scalabilità, e patria di startup quali GoJek e Tokopedia). È questo il caso di Grab, probabilmente la prima super-app del Sud-est Asiatico, che è attualmente sotto processo di quotazione via SPAC presso il NYSE. A parte il triangolo Singapore-Malesia-Indonesia (accomunato anche da una lingua simile, il bahasa, e dalla presenza di una dinamicissima minoranza di “overseas Chinese” che domina nel settore del tech), si distingue il Vietnam, che ha assistito a una crescita tumultuosa anche di nuove startup, per esempio relative al FinTech, e-payment, e veicoli elettrici. La Thailandia, dal canto suo, ha un ecosistema meno dinamico, anche se sta sperimentando una “via thailandese” all’innovazione, in cui la cooperazione tra il mondo corporate (tramite i bracci finanziari dei maggiori conglomerati del Regno, quale il Gruppo Charoen Pokphand, che si estende dal retail e food production alle telecomunicazioni) e nuove startup emergenti. Inoltre, la Thailandia sconta anche una scarsa propensione (ad esempio, rispetto al Vietnam) al “pensiero imprenditoriale”: è, questo, uno dei motivi per cui l’Università Chulalongkorn, la più antica del Regno e riconosciuta da Times Higher Education quest’anno come migliore università in Asia per il perseguimento degli SDG, si sta ora focalizzando sull’insegnamento dell’Entrepreneruship Mindset & Behaviour.
Quali similitudini, dunque, tra la Cina e l’ASEAN?
Direi che forse la più importante riguarda i business model, le strategie di marketing e simili aspetti relativi al comportamento dei consumatori, tutti accomunati dal desiderio di sperimentare nuove soluzioni e di addentrarsi sempre maggiormente nel digitale, a partire dall’e-payment ormai prevalente. Per questo ricordo ai miei studenti in Bangkok che quello che avviene in Cina adesso avverrà in ASEAN nei prossimi cinque anni.
Quali novità dobbiamo aspettarci dal RCEP per il commercio e per l’innovazione nella regione?
Nell’ultimo decennio, in Asia c’è stata una spinta per una maggiore integrazione regionale. A differenza del nuovo TPP/CPTPP (che era guidato dagli Stati Uniti), il RCEP è più “ASEAN-centric” – infatti, è stato originariamente lanciato nel 2012 dall’ASEAN.
Comprende tutti gli Stati membri dell’ASEAN e i paesi che hanno accordi di libero scambio con l’ASEAN, ovvero Cina, Corea del Sud, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e, originariamente, l’India. Tuttavia, l’India si è ritirata dai negoziati nel 2019.
Il RCEP sottolinea il vantaggio comparativo delle sue economie in via di sviluppo; tuttavia, può essere definito come un trattato ‘relativamente ambizioso’ (Michael Plummer, 2021). Si compone di 20 capitoli, con tagli tariffari sul 92% dei prodotti e regole di origine cumulative per le filiere asiatiche. Più significativamente, questo è il primo accordo di libero scambio tra le economie asiatiche più grandi e avanzate: Cina, Giappone e Corea.
Questi sono alcuni dei probabili risultati del RCEP.
- In primo luogo, mi aspetto che grazie al RCEP il commercio “regionale” cresca più del commercio con il resto del mondo, nel contesto di una prolungata guerra commerciale/tecnologica tra gli Stati Uniti e la Cina… e mi auguro che il recente trattato CAI tra Unione Europea e Cina sia al più presto ratificato, in quanto permetterebbe alle imprese europee (in alcuni settori specifici, non solo manifatturiero, ma anche nel cloud, ospedali privati, servizi di consulenza) di avere un significativo accesso agevolato al mercato cinese e di integrarsi maggiormente nella catena del valore asiatica. Difatti, vanno anche considerate le previsioni del CAI in relazione al level playing field, per cui le imprese di stato cinesi non saranno più tenute ad acquistare soltanto da fornitori cinesi.
- In secondo luogo, l’Asia orientale integrata (Cina, Giappone, Corea) competerà con gli Stati Uniti e la UE sia in dimensione, sia in tecnologia.
- In terzo luogo, l’ASEAN continuerà ad avere un ruolo strategico nella catena del valore globale, guidata dall’Asia orientale (Cina, Giappone, Corea), che senz’altro manterrà una base manifatturiera nel Sud-est asiatico. Da questo punto di vista è molto importante la nuova regola di origine Made in RCEP, che potrebbe anche essere utilizzata da imprese italiane che stabiliscano una base produttiva (ove almeno ultimare la produzione di beni intermedi per il 40% del valore) in Cina o in ASEAN per servire tutti i mercati RCEP.
Per quanto riguarda RCEP ed innovazione, risulta importante analizzare il capitolo 12 del trattato. Queste disposizioni includono miglioramenti per lo sviluppo del commercio elettronico e nella protezione dei dati personali online, nonché miglioramenti nell’amministrazione commerciale utilizzando mezzi elettronici, ad es. commercio senza carta, autenticazione elettronica e firme elettroniche.
Di Alberto Di Minin e Filippo Fasulo