Dal trasferimento tecnologico classico, punto-punto, nel quale un’invenzione dell’università veniva brevettata e licenziata ad un’impresa, e auspicabilmente diventava innovazione, ad uno che comprende più situazioni, sempre più orientato a generare crescita sostenibile, equa e inclusiva. Ecco il cambiamento strategico che sta riguardando università e centri di ricerca in Italia. L’evoluzione – concettuale ed organizzativa – dal trasferimento tecnologico (TT) alla terza missione (TM) si sta consolidando come obiettivo da raggiungere a livello internazionale. Sul fronte del TT, in Italia abbiamo lavorato molto, negli ultimi venti anni, per recuperare terreno rispetto ai paesi primi della classe. Formazione del personale, organizzazione degli uffici, dialogo con le imprese, sviluppo dell’impianto normativo: questi sono stati i fronti principali su cui si è articolato in Italia il confronto tra università, enti pubblici di ricerca e istituzioni. Ora il nostro paese si sta dimostrando ben predisposto ad abbracciare i concetti di TM delle università e di impatto – sociale, economico e culturale – della ricerca pubblica. Si tratta di un modo di ragionare che è più nelle nostre corde culturali, dato che apre molteplici percorsi di valorizzazione e non solo quello classico dei brevetti, delle licenze e delle imprese spin-off. Non a caso da quest’anno Anvur raccoglie anche casi di studio sull’impatto, come nel Regno Unito fanno da anni, con un approccio metodologico rigoroso e fresco che ora viene studiato con curiosità dai nostri partner, anche in contesti influenti come l’OCSE. Finalmente, una seppur piccola parte del Fondo di Finanziamento Ordinario delle università dipende dalle performance nella TM. C’è però un punto da non perdere di vista: mettere in contatto scienza e tecnologia con gli ambiti applicativi (mercato, istituzioni e società civile) rimane un’attività fondamentale per la mission della ricerca pubblica. Per generare impatto è necessario che in qualche modo l’invenzione diventi innovazione. Se siamo d’accordo su questo allora ci sono tre importanti questioni da affrontare tempestivamente e soprattutto da non perdere di vista mentre allarghiamo gli orizzonti del nostro agire.
La prima è non scordiamoci l’ABC. Non dimentichiamo che il TT e la valorizzazione dei risultati della ricerca rimangono questioni molto tecniche. Non perché ogni invenzione debba essere brevettata e licenziata, ma perché per generare impatto sono necessarie le competenze professionali maturate negli anni sui complessi temi del TT. A fronte di alcuni casi di valorizzazione “spontanei”, la maggior parte richiede una gestione creativa e professionale. Ciò che chiediamo agli esperti che lavorano negli uffici di TM è infatti di saper dialogare sia con scienziati che hanno il fare impresa nel loro DNA, sia con ricercatori e ricercatrici assai lontani dalle logiche di commercializzazione. Lo sviluppo di queste competenze relazionali e la padronanza della materia da un punto di vista tecnico, richiede una costante (e costosa) attività di aggiornamento. Richiede, all’interno di questi uffici, lo sviluppo di un capitale intangibile, la cui importanza è stata anche sottolineata alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella nel corso della presentazione dell’annuale rapporto della Fondazione COTEC. Per lo sviluppo di queste attività è in generale richiesto il riconoscimento di una vera e propria categoria professionale, che permetta ai manager della TM di avere ben chiaro come sviluppare la propria carriera all’interno dell’ente di appartenenza o valorizzando l’esperienza fatta in altri contesti pubblici o privati.
Altro punto: servono più persone. Ora che la TM ha acquisito una nuova centralità nell’operato delle università, gli uffici hanno notevolmente ampliato la propria mission e si sono aperti ad una vasta gamma di attività. Tutto ciò, però, lasciando spesso invariato il numero dei dipendenti. Più attività, ma con le stesse persone: non suona bene. Razionalizzare? Identificare le priorità? Si certo, ma teniamo in considerazione di un contesto di strutture pesantemente sotto-staffate. Secondo i numeri degli ultimi rapporti Netval e ASTP, negli uffici di TT lavorano in media poco più di 5 persone, ma solo 0,8 si occupano della commercializzazione dei risultati della ricerca, contro le 12,3 negli Stati Uniti, 10,1 in Israele, e addirittura 18,3 in Giappone e 27,5 nel Regno Unito. Le nostre persone non sono meno in gamba, sono semplicemente di meno.
Infine: il momento di agire è ora. I circa sei miliardi che il PNRR sta per dedicare alla ricerca scientifica daranno vita a tante iniziative, buona scienza, idee e tecnologie. Auspicabilmente ci sarà tanto da trasformare in innovazione e da trasferire alle aziende e alla società. Nell’architettura di questi nuovi progetti, l’identificazione di energie fresche a supporto delle attività di terza missione degli enti di ricerca coinvolti è fondamentale. Negli ultimi anni solo i bandi dell’UIBM-MISE hanno contribuito a rafforzare gli UTT della ricerca pubblica, nella consapevolezza che UTT più staffati lavorano meglio con l’ecosistema aziendale e sociale. Assumere una persona in un UTT costa circa 40K Euro l’anno. Assumerne due per 10 anni per 100 enti costerebbe quindi 80 milioni. Investire in ricerca è sacrosanto. Non investire nelle persone che nelle università, enti pubblici di ricerca e IRCCS dovrebbero valorizzarne i risultati, è pericoloso.
Di Alberto Di Minin e Andrea Piccaluga