All of San Francisco

Sono appena tornato da un viaggio nella Bay Area di San Francisco. Ho accompagnato una ventina di manager del trasferimento tecnologico provenienti dalle principali università italiane, che sotto il cappello di Netval, hanno incontrato i loro colleghi di Berkeley e Stanford, diversi professionisti della Silicon Valley e hanno visitato alcuni incubatori di San Francisco. Io ho dato una mano all’organizzazione della settimana, pensata da Ruggero Frezza, Aldo Cocchiglia, Matteo Faggin di M31 che ci hanno permesso di esplorare luoghi per me molto speciali.

Ho chiesto ai miei compagni di viaggio quali sono state le loro impressioni.
Provo ad elencare gli aspetti più gettonati: gli Americani vanno subito al punto, sorridono molto, pensano in grande, sono contagiati da un virus che li porta a semplificare, per poi passare all’azione.L’atteggiamento è vendere, vendere vendere, pensare dal primo giorno a dimensioni globali, immersi in una nuova corsa all’oro, dove devi imparare a gestire un fallimento,  dove c’è un senso di fiducia diffusa che è però corrisposta da grande professionalità e onestà nelle relazioni sociali…
…C’è profondo rispetto per la missione, il senso di appartenenza, il sentirsi a servizio…
Un ecosistema che riesce ad attivare un circolo virtuoso e altamente resiliente, una terra di opportunità, dove le idee prendono forma, con molta soddisfazione per chi ce la fa, ma anche tanti/troppi gli emarginati e clochard: le differenze sociali di questa società che promuove in ogni modo l’imprenditorialità saltano subito all’occhio.

I miei colleghi si sono portati a casa un desiderio di focalizzarsi/specializzarsi di più, insistere su criteri di meritocrazia, il miraggio di enormi praterie che però sono alla nostra portata (perché i numeri di Stanford e Berkeley sono certo impressionanti ma comunque paragonabili a quelli di alcune nostre università), la consapevolezza che un ricercatore riesce a pubblicare e anche a commercializzare, e che trasferimento tecnologico non vuol dire solo brevetto/spinoff, ma tanto altro. Grande positività dunque, che speriamo non svanisca.

Ecco le mie tre riflessioni.

La prima è inevitabilmente legata all’ormai consolidata espansione della Silicon Valley in città. Ho vissuto da queste parti dal 2002 al 2007: anni pesanti per San Francisco, anni in cui la città si interrogava sul what’s next… e la fiducia in un futuro giocato di nuovo da protagonisti non era poi così diffuso. Ricordo quando l’Università della California di San Francisco, stava facendo partire il campus biotech di Mission Bay, grazie a poderosi finanziamenti pubblici e privati. Accompagnavo mio fratello in macchina, facevamo la spesa vicino alla stazione del CalTrain, circondati sostanzialmente da capannoni dismessi.

Il progetto di Mission Bay circa 2005

Il progetto di Mission Bay circa 2005

SoMa è cambiata. Tutta l’aerea compresa tra Embarcadero, 101, UCSF Mission Bay, AT&T Park, e Bay Bridge… irriconoscibile… e destinata a subire ancora profondi cambiamenti vista la quantità di lavori in corso. L’energia che si respira in città è incredibile. Eravamo ospitati dall’incubatore Galvanize. Non lontani: Greenstart, AngelPad, RocketSpace, Runway, i/o Ventures etc etc. Posti dove si respira un’aria molto informale, spazi di lavoro condivisi e luminosi. Ambienti molto giovani. Molto social.

Spazio dedicato da Google agli imprenditori di Galvanize, uno dei tanti incubatori cittadini

Spazio dedicato da Google agli imprenditori di Galvanize, uno dei tanti incubatori cittadini

Secondo aspetto da sottolineare è l’altro lato della medaglia. Ne parlava Ted Egan, Chief Economist della cittàgentrificazione il processo di imborghesimento (e aumento esponenziale dei costi) di quartieri prima popolari della città. Ma non solo. Il mio compagno di università Devin McIntire ha sempre avuto un occhio per le iniziative di social entrepreneurship… e per social non intendo cose 2.0… intendo proprio servizio sociale. Ecco che Devin, californiano born&raised.. dopo una splendida esperienza ad Ashoka è tornato nella sua Baia e ora lavora per Townsquared. Obiettivo di questo “diverso incubatore” è quello di assicurare supporto da tutti i punti di vista agli startuppari che magari rimangono un po’ indietro, quelli che si accorgono di aver deviato dalle previsioni di crescita esponenziali così ben illustrati nei loro primi business plan, quelli per cui sì: fallire è un problema anche se sei nella land of opportunity dove se non fallisci almeno tre volte al mese non sei nessuno. Quelli che rischiano di isolarsi, di farsi prendere dall’ansia per le telefonate dei creditori, per l’assicurazione medica scaduta e che per risparmiare lavorano dai loro one bedroom apartment, sfruttando la connessione wifi del vicino. Townsquared cerca di recuperare queste persone, mettendole in rete, identificando per loro opportunità, anche semplici, da cui ripartire. Anche il Console italiano a San Francisco, Mauro Battocchi ci ha parlato delle ripercussioni sociali e le frizioni sempre più evidenti in città che questa nuova corsa all’oro sta provocando.

Infine. E collegato. Innovazione è sudore. E’ tanta fatica. E’ passione certo, perché altrimenti non si va da nessuna parte, ma poi il lavoro duro fa fatto, ed essere parte di questo ecosistema non vuol dire semplicemente fare i meeting con i VC mentre si è in fila al Blu Bottle del Ferry Building per quella  tazza di caffè personalizzato, filtrato goccia a goccia.  Ve lo possono dire Alessandro, Matteo e Silvano: i miei tre imprenditori preferiti della Silicon Valley. Dai loro uffici di Palo Alto, dove hanno portato SEM+, rassicurano me (oltre che genitori & investitori), che va tutto bene, che è un’esperienza incredibile, e che essere stati a Las Vegas con i loro dispositivi al Consumer Electronic Show è stato irripetibile. Archiviata però la retorica da minatore del Klondike (un’occasione che non sfruttiamo è un’occasione persa, qua va tutto veloce, bisogna saper cogliere ogni momento & collegare i puntini..) questi tre ragazzi e i loro dipendenti lavorano a testa bassa, sono sul pezzo con i loro pc e le saldatrici. Le placche dei vari riconoscimenti, i premi, le foto, i banner, sono lì appoggiate da qualche parte nel cucinotto: nei loro sguardi vedo ben chiara la consapevolezza che prima di lasciare una tacca nell’universo ci vuole tanta abnegazione e serietà.

I tre soci di Sem+ Spin-off IIT e Scuola Sant'Anna: Alessandro Levi, Silvano Furlan, Matteo Piovanelli, con Andrea Piccaluga, nella loro sede a Palo Alto.

I tre soci di Sem+ Spin-off IIT e Scuola Sant’Anna: Alessandro Levi, Silvano Furlan, Matteo Piovanelli, con Andrea Piccaluga, nella loro sede a Palo Alto.

Da quando nel 1994 è stato pubblicato il suo libro, Regional Advantage, Annalee Saxenian  insiste che la Silicon Valley debba essere compresa e non emulata. Un messaggio che in venti anni la Dean della School of Information a UC Berkeley (il suo predecessore  Hal Varian ha lasciato per dedicarsi al  ruolo di Chief Economist di Google) non si è mai stancata di ripetere.

Aggiungo che alla Silicon Valley ci si possa connettere ed interfacciarsi. Le opportunità ci sono. Il Consolato di SF ci segnala ad esempio il settore dell’Agritech Food, persone come il Prof Alberto SanGiovanni Vincentelli , gli amici di BAIA  e Mind the Bridge, i tanti studenti e docenti italiani che vivono da queste parti: rappresentano un avamposto su cui le persone di buona volontà possono contare.

Con M31, l’incubatore che ha organizzato questo viaggio, NetVal sta studiando un’importante iniziativa per raccontare e accelerare da queste parti la crescita dell’impresa che nasce dalla scienza e dalla tecnologia dei centri di ricerca italiani.

Spero di poterne parlare presto su questo blog.

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