Brilla la stella italiana della Space economy

Nel cielo della Space Economy brilla la stella italiana. Ci fanno in particolar modo ben sperare alcune situazioni del Mezzogiorno italiano, dove per una serie di ragioni quest’ambito emergente ha trovato terreno fertile. Non a caso, porta le firme di due docenti del Politecnico di Bari, Antonio Messeni Petruzzelli e Umberto Panniello, il libro “Space Economy, storia e prospettiva di business” (edizioni Franco Angeli), acuta analisi di un settore in forte espansione che necessita, più di altri, di un costante dialogo tra sfere pubblica e privata.

ECONOMIA SPAZIALE A PROVA DI LOCKDOWN. “Più che un ambito di nicchia – precisa, anzitutto, Messeni Petruzzelli – questo è un ambito emergente. Nel 2040 dovrebbe arrivare ad un valore di circa 1100 miliardi a livello mondiale, più di sette volte quello che aveva nel 2018. A causa del lockdown moltissime aziende del trasporto avio-commerciale hanno cominciato a ragionare su come trasformare le loro attività dedicandosi maggiormente al settore aerospaziale. È uno dei pochi settori che nonostante il lockdown ha infatti mostrato un tasso di crescita e non di riduzione. Rispetto al quinquennio precedente, l’European Space Agency (ESA) ha investito notevolmente di più, arrivando a circa 15 miliardi di euro per i prossimi cinque anni. Proprio l’Italia ha avuto un ruolo chiave, perché ha visto il suo contributo salire del 16%. C’è una propulsione di spesa pubblica importante rispetto ad altri settori. Questo, particolarmente, necessita di una forte interazione pubblico-privato. Necessita di una politica industriale centralizzata”.

DALLA TERRA ALLO SPAZIO, E VICEVERSA. L’economia dello spazio si divide in due “emisferi”: dallo spazio alla terra e dalla terra allo spazio.  “Oggi – spiegano i due docenti del Politecnico – siamo molto concentrati sulla prima: la valorizzazione di tecnologie nate in ambito Space per farne uso in ambito terrestre, quali per esempio i sistemi di geolocalizzazione o l’agricoltura di precisione. La più grossa fetta di attività di business dallo spazio alla terra è rappresentata dai satelliti. Il ruolo forte delle politiche pubbliche è costruire e sollecitare questa domanda, perché in qualche modo le tecnologie, cioè la parte dell’offerta, ci sono”.

Dalla terra allo spazio, invece? “Fa riferimento ad un modello di economia dello spazio più emergente, per esempio le basi lunari, i viaggi interspaziali, tutte quelle soluzioni che si occupano di sviluppare soluzioni per migliorare ad esempio la vita sulle stazioni spaziali. Per esempio, la macchinetta realizzata da Lavazza insieme ad Argotec che permette agli astronauti di bere un normale caffè espresso nello spazio. Qui il ruolo del pubblico è davvero determinante e serve a stimolare una serie d’iniziative e di imprese che possano muoversi ed entrare in questo settore”.

OPEN SPACE INNOVATION. La sfida dei prossimi anni è “ibridare imprese che non hanno niente a che fare con lo spazio e portarle a diventare player di questa Space Economy”, sostiene Messeni Petruzzelli, che ricorda come, non molto tempo fa, l’ESA abbia supportato un’impresa francese che si occupava di esplorazioni archeologiche subacquee affinché applicasse le sue tecnologie e conoscenze nell’ambito spaziale.  “Siamo in un mercato che ha elevata incertezza sia commerciale sia tecnica. Pensiamo a SpaceX, a quanti tentativi ha fatto prima di lanciare il razzo… Questo settore ha bisogno di una politica industriale omogenea che probabilmente, più che in Europa, stanno portando avanti negli Stati Uniti. Per esempio, la Nasa affida a Virgin Galactic i corsi di formazione per gli astronauti. Quindi il ruolo del pubblico, tramite commesse e sostegno alle imprese, è fondamentale per poter mantenere e sviluppare quest’economia. Questa dello ‘stato innovatore’ di Mariana Mazzucato è la stessa dinamica che abbiamo trovato nel biotech, nell’ICT, dove lo stato ha giocato un ruolo centrale, da pivot, nello sviluppo dell’economia”.

LA STELLA ITALIANA. L’industria aerospaziale può giocare un ruolo cruciale per il Mezzogiorno e, più in generale, per l’Italia. “Nel nostro contesto pugliese – continuano Messeni Petruzzelli e Panniello – noi abbiamo la più grossa impresa privata italiana nell’ambito dello spazio, Sitael, a Mola di Bari, che produce tecnologie spaziali. Ma anche lo spazioporto di Grottaglie per i voli suborbitali, da cui possono partire una serie di iniziative sia commerciali sia di ricerca e sperimentazione scientifica. È un settore fortemente innovativo, dove il 13% dei ricavi è reinvestito in ricerca e sviluppo e dove, negli ultimi 10 anni, vi è una media di brevetti per impresa pari a 8,5 contro una media di 1,5 registrata nelle imprese del manifatturiero in generale o dei beni di investimento”.

TRADIZIONE MERIDIONALE. A cosa può essere ricondotta la concentrazione di realtà che si occupano di Space Economy nel Mezzogiorno?  “Ad un ispessimento scientifico, culturale, tecnologico. Il primo presidente dell’agenzia spaziale italiana è stato il professor Luciano Guerriero, un fisico del Politecnico di Bari che si occupava da sempre di satelliti. C’è una tradizione sul tema dell’aerospazio che probabilmente ha dato origine ad una serie di spillover che si sono poi concretizzati in una serie di iniziative sia di ricerca sia commerciali, come le imprese Planetek, Sitael, Avioe, nella zona di Brindisi, il distretto tecnologico dell’aerospazio (DTA)”.

LUNA “POP”. Tre fasi storiche possono essere individuate. Nell’Old space economy (from science to space) gli attori erano completamente pubblici, il modello di innovazione era technology push e si operava in un contesto fortemente condizionato da un’incertezza di natura prevalentemente tecnologica. L’innovazione era prettamente radicale. Nella New space economy (from space to industry, o dallo spazio alla terra) il modello di innovazione prevalente è market pull, perché si cerca di applicare tecnologie esistenti a nuovi bisogni. L’innovazione è incrementale. La terza fase, la più avveniristica, è la cosiddetta Emerging space economy (dalla terra allo spazio, vale a dire from industry to space). Qui il modello d’innovazione è probabilmente resource driven e appare più corretto parlare di environmental uncertainty. L’innovazione, né radicale né incrementale, è più propriamente architetturale.

TANTI PICCOLI PASSI. Ma se la Space economy è effettivamente un settore così fortemente in espansione, come mai se ne parla ancora così poco? “Non se ne parla perché, a parte essere non ancora mainstream dal punto di vista culturale, la new space economy in realtà è caratterizzata non da scoperte tecnologiche che chiaramente hanno un certo clamore come l’uomo che va sulla luna – spiega Panniello – ma da tante piccole e grandi aziende che sfruttano lo spazio per costruirci attorno il loro modello di business. Nei numeri della new space economy rientrano tante imprese che magari non associ allo spazio perché non volano nello spazio ma utilizzano conoscenza e dati provenienti dallo spazio. Anche Amazon rientra nella New space economy, ma non per mandare l’uomo nello spazio o trovare risorse nello spazio, ma per crearsi un’infrastruttura attorno alla quale amplificare modelli di business che attualmente sviluppa sulla terra”.

GIOCHIAMO? In questa New space economy rientra, ad esempio, buona parte del mondo dei videogiochi basati sulla geolocalizzazione. “Si parla di imprese che hanno il loro modello di business radicato e costruito sulla terra, ma lo spazio diventa per loro infrastruttura o value preposition. È un settore mastodontico che richiede dei supporti capital-intensive, anche pubblici. Deve diventare un po’ più pop. Nel lancio di SpaceX, gli astronauti non erano in quegli scafandri enormi in cui siamo abituati a vederli, ma erano in tute particolarmente slim. Gli interni dell’astronave erano sicuramente più accattivanti di quelli che siamo abituati a vedere. Sono tutte iniziative che anche dal punto di vista del marketing e della comunicazione rendono lo spazio un po’ più pop e questo renderà l’intero settore più popolare”.

SPACE DOC. Anche per avvicinare gli studenti a questo settore, il Politecnico di Bari (dove è stato fondato il terzo EsaLab d’Italia dopo quelli di Bocconi e Ca’ Foscari) ha voluto lanciare un dottorato di ricerca sull’aerospazio ed un insegnamento di Space economy all’interno del corso di laurea magistrale in Aerospace Engineering in partnership con l’Università del Salento.

Di Alberto Di Minin e Nicola Pasuch

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