L’imperativo è “dare valore ai dati” con modelli di business sostenibili. Perché il concetto di “data monetization”, in certi casi, non basta, se non è affiancato a quello di “data sustainability”. Nel corso degli appuntamenti organizzati dalla Scuola Superiore Sant’Anna nell’ambito delle Innovation Restart Chats della Mind Community non sono mancati gli interventi di alcuni profili che, con i dati, hanno a che fare quotidianamente.
Rientrano tra questi Roberto Siagri, fondatore di Eurotech, e Massimo Canducci, Chief Innovation Officer del Gruppo Engineering. Grazie alle loro riflessioni è stato possibile far luce sul mondo dei dati e sui diversi usi che vengono fatti di questa risorsa.
UNA GROSSA MACCHINA CHE STAVA SULLA SCRIVANIA. Fin dai tempi dell’università (si è laureato in Fisica all’Università di Trieste nel 1985) Roberto Siagri, ora CEO di Eurotech, azienda friulana leader nelle soluzioni innovative ad alta tecnologia, aveva un pensiero fisso in mente. “L’idea che mi frullava in testa era: come usare il personal computer in un modo diverso da quello tradizionale. Negli anni Ottanta il computer era una grossa macchina che stava sulla scrivania, in ufficio. Ma, mi dicevo, se riusciamo a ridurne le dimensioni, possiamo permettere a nuove persone e nuovi mercati di beneficiare di programmi d’interfaccia e strumenti molto semplici per sviluppare applicazioni. A quel tempo Microsoft stava rilasciando il primo sistema operativo per pc, e Ibm standardizzava quest’architettura”.
È così che si è presto andati nella direzione “less is more”, “meno è di più” e dunque è “meglio” (la formula coniata dall’architetto tedesco Ludwig Mies van der Rohe). “L’Internet of Things – continua Siagri – è solo la storia industriale dell’app economy. Se riesci a connettere e a digitalizzare tutti gli asset puoi anche configurare nuovi modelli di business che sono anche molto, molto più sostenibili. E in questo modo entrare in una nuova era, quella dell’economia dell’intangibile, la nuova frontiera per creare un pianeta sostenibile senza dover ridurre la capacità in termini di produzione e senza limitare la crescita. Il limite alla crescita è nel modello economico del tangibile. Non c’è un vero limite alla crescita se abbracciamo, grazie alla digitalizzazione, i modelli di business dell’intangibile”.
UN’AZIENDA IN SETTE PAROLE. ANZI, IN QUATTORDICI. I primi anni di Eurotech sono stati all’insegna del motto “Computer will be incrisingly miniaturized and interconnected”. Nell’ultimo decennio la frase è stata integrata con altre sette parole: “and data are the new raw material”.
“Fondamentalmente – precisa Siagri – la nostra visione è sempre la stessa. Ad un certo punto del tempo abbiamo deciso di spostarci dai bits ai dati. Nella transizione tra il 2005 e il 2010 ci siamo resi conto che non era più abbastanza miniaturizzare e interconnettere, che era la Old phase. C’era bisogno di un nuovo ingrediente, portare i dati al centro dell’attenzione”.
Una mutazione tutt’altro che banale. “Quando inizi a suonare il pianoforte sembra tutto veramente complicato. Ma è tutta una questione di esercizio: e tutto, con il tempo, diventa semplice. Devi diventare un’organizzazione che impara”.
LEADERSHIP, EMPOWERMENT & CULTURE. Per Siagri, i tre elementi fondamentali in azienda sono leadership, empowerment e culture. “Quest’ultima – approfondisce – è una sorta di processo evolutivo emergente nell’organizzazione. Ad un certo punto ti rendi conto di avere una cultura. Ti svegli una mattina, entri nella tua company e senti di aver creato una cultura. E a quel punto, se sei in grado di creare una cultura, allora sei anche in grado di creare un’organizzazione di lungo termine. È un processo emergente. A volte mi chiedo se sarei in grado di replicarlo, e non ne sono sicuro. Servono le persone giuste, nel posto giusto, al momento giusto. E ti rendi conto che sono quelle giuste solo dopo averle assunte, non prima. Una company è sempre una sfida. Ma se hai il team giusto e usi le tecnologie giuste puoi fare cose impensabili e anche in tempi contenuti”.
LA DURA VITA DEGLI SVILUPPATORI. Ne ha percorsa di strada, Massimo Canducci, che nella sua carriera ha ricoperto svariati ruoli nell’universo dell’ingegneria informatica accumulando trent’anni d’esperienza nel campo dell’innovazione e della trasformazione digitale, non soltanto in azienda ma anche nelle vesti di Innovation Management Professor nelle Università di Torino e Pavia.
“Ho cominciato come sviluppatore, poi team leader, quindi project manager. Ora, quello di Chief Innovation Officer che ricopro in Engineering – racconta – abbiamo circa 12mila dipendenti in diversi Paesi, questo significa avere un Innovation Team ben strutturato e in grado di attivare correttamente le iniziative di innovazione. E’ un ruolo certamente impegnativo, fortunatamente, però, è il lavoro che amo. Produciamo software, piattaforme digitali, forniamo servizi, abbiamo clienti in tutto il mondo, abbiamo più di 420 ricercatori e oltre 250 innovatori. Parliamo di persone che ogni giorno lavorano su progetti reali per clienti che operano su tutti i mercati”.
Che cosa chiedono i clienti ad una realtà come Engineering? “I nostri i clienti vogliono da un lato la nostra esperienza nel progettare, realizzare e governare al meglio i sistemi complessi, dall’altro la nostra capacità nel proporre iniziative di innovazione che consentano loro di rendere più efficiente il loro business. Se i ricavi di oggi si fanno con le attività tradizionali, i ricavi di domani arriveranno solo per chi oggi è in grado di innovare i propri processi grazie all’utilizzo sapiente della tecnologia”.
L’innovazione è un ingrediente che non può mai mancare. “Innovare significa guardare al futuro, è impossibile avere progetti non innovativi – precisa Canducci – perché ogni cosa nuova che fai serve a migliorare un processo del tuo business o a fornire un servizio migliore al cliente finale o al cittadino. Anche nei casi più limitati, in cui si applicano i modelli dell’innovazione incrementale e in cui si aggiungono funzioni a sistemi esistenti o si migliorano soltanto alcune componenti, il risultato finale sarà di ottenere un vantaggio per chi utilizza quel sistema. I progetti che più ci piacciono però sono quelli ad alto tasso di innovazione, in cui si utilizzano tecnologie di frontiera per cambiare radicalmente il modo di lavorare o di vivere delle persone. In genere queste iniziative sono progettate da appositi gruppi di lavoro attraverso attività di co-innovazione.
I DATI AL TEMPO DEL COVID-19. Nel già difficile equilibrio tra utilizzo di piattaforme e app da un lato e protezione dei dati personali dall’altro, si è inserita nei mesi scorsi la pandemia da Covid-19.
Esistono contesti eccezionali nei quali, per un interesse generale, sia opportuno mettere a disposizione della sfera pubblica i propri dati, ad esempio per migliorare il tracciamento e monitoraggio del contagio? “Dovremmo spostarci dal concetto di data monetization a quello di data sustainability – teorizza Canducci – e oltretutto i dati sono veramente importanti nella nostra vita, specialmente in questo periodo in cui serve trovare un modo per usarli al meglio. In questo contesto, innovazione significa essere capaci di offrire piattaforme, strumenti o soluzioni tecnologiche che possano davvero essere utili nel combattere questa battaglia contro il Covid”.
Ma che cosa sono questi “dati”? “I dati sono tutto ciò che ci circonda, perché li generiamo noi. Quando usiamo i nostri smartphone o i nostri personal computer, ogni giorno a ogni ora stiamo producendo dati. Le piattaforme tecnologiche che consideriamo gratuite, come i social network, sono in realtà pagate attraverso la cessione dei nostri dati. Parliamo di quegli stessi dati che potrebbero essere utilizzati per aiutare le autorità a salvare le vite delle persone. Dobbiamo quindi cambiare il nostro mindset. La data monetization, se normata correttamente, va bene ma non è abbastanza, con quei dati si può e si deve fare di più”.
Di Alberto Di Minin e Nicola Pasuch