Nonostante la distanza fisica, mediata dallo schermo, è quasi impossibile non meravigliarsi e farsi contagiare dalla passione genuina con cui Giovanni Battistini parla di innovazione.
Nel terzo appuntamento della seconda edizione delle “Innovation Restart Chats”, organizzate dalla Scuola Superiore Sant’Anna e dalla MIND Community, l’attuale Managing Director di Better Gambit ed ex vicepresidente del dipartimento di Open Innovation di Ferrero, racconta della sua esperienza nel campo dell’innovazione. Lo fa partendo dalla sua storia, che è quella di un animo imprenditoriale incapace di accontentarsi, consapevole che cambiamento e trasformazione vanno perseguiti con dedizione, senza avere paura di rimettersi in gioco in ambiti sempre diversi. Questo è esattamente ciò che tiene accesa la sua passione, curiosità e voglia di imparare. Battistini ci racconta un’avventura intrigante con il concetto di innovazione, che lo ha portato a concludere progetti di grande successo.
Battistini ripercorre per noi alcuni momenti chiave della sua carriera. Prima ancora che si iniziasse a parlare di Open Innovation, “figure come la mia, con una lunga esperienza nell’ambito del management dell’innovazione, sperimentata sia in realtà piccole e grandi e in settori diversi, erano davvero merce rara, molto ricercata sul mercato dei professionals”: negli anni in cui gli accademici stavano iniziando a definire il concetto di innovazione aperta, giganti come Ferrero stavano già cercando chi potesse iniziare una gestire logiche di collaborazione, portando avanti e migliorando i processi di apertura che già da tempo erano attivi e dandogli una direzione strategica. Negli anni, Ferrero , aveva già investito nella creazione di ecosistemi di partner e collaboratori lungo tutta la catena di valore: il modello di innovazione non era chiuso nemmeno prima dell’arrivo di Battistini. Quello che si cercava era una nuova mentalità capace di bilanciare lo sguardo tra il mondo della scienza e della tecnologia pura e il mondo dei prodotti e del mercato, con un’ottica quindi sempre più aperta e ricettiva. Ferrero non si allontanava molto da quello che era il rischio percepito da tante altre grandi imprese, quello cioè di perdersi per strada delle buone opportunità, o di non essere in grado di cogliere l’attimo, di non attivarsi in tempo e cavalcare l’onda di un cambiamento tecnologico o di un trend di mercato.
Ferrero era da sempre stata capace di fare innovazione, sfruttando un eccellente reparto di Ricerca e Sviluppo: la sfida per Battistini diventa quella di portare un modo nuovo di guardare al di là dei confini di impresa.
Il come, lo spiega lui stesso: partendo da un approccio sistemico per attuare il cambiamento, si definiscono nuovi processi e modelli per monitorare le possibili direzioni future e dare priorità a quelle che sono strategiche per l’impresa. Secondo Battistini, la capacità di mantenere le antenne attive in settori diversi, dal biotecnologico al packaging, è imprescindibile se si concepisce l’innovazione in maniera olistica, ma contemporaneamente bisogna saper decidere cosa perseguire, dove concentrare le risorse e come distribuirle nel tempo.
Il processo è senza dubbio complesso e sofisticato, e necessita di metriche e misure del potenziale impatto e rischio: “uno dei primi passi strategici è stato proprio quello di definire il return on the future” dei diversi progetti, una base quantitativa tramite cui poter confrontare e discutere di diversi progetti innovativi.
Il secondo passo è quello di creare reti nuove e di saper sfruttare quelle già esistenti: i partner non sono tutti uguali, ma possono essere divisi per la loro funzione specifica. Da una parte c’è la comunità dei connectors che segnala le migliori opportunità di innovazione. C’è poi il mondo degli innovators che hanno idee e progetti promettenti, ma spesso non hanno le risorse o le competenze per renderli possibili. Ci sono poi i visionaries: partner che permettono di vedere dove sarà il mondo tra dieci anni ed infine gli enablers, i facilitatori: sono imprese che hanno competenze specifiche che permettono di rendere concreto il progetto e di trasformarlo in impatto.
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare.. per Battistini la messa a terra di idee e progetti è il passaggio chiave, da monitorare e curare con attenzione. “Non c’è innovazione senza impatto”. Ovvero, se non si crea valore o non lo si riesce a catturare, non si può parlare sinceramente di innovazione. “Purtroppo”, sottolinea, “ci si dimentica spesso che fare innovazione significa non solo fare differenza con le idee, ma anche saperle integrare e innovare sulle strategie di adozione.”
Questo passaggio è fondamentale per Battistini, che rifacendosi ad un concetto caro al mondo delle startup, parla della capacità di attraversare il baratro (Crossing the Chasm, scrisse negli anni 90 Geoffrey Moore), di affrontare quel passaggio pericoloso ma necessario al di là del quale i clienti adotteranno l’idea o la tecnologia innovativa, perché già sufficientemente provata e sicura. Per attraversare il baratro però bisogna avere convinto ed appassionato un buon numero di pionieri, che supportano, migliorano, e diffondono l’innovazione.
“Questo però non accade solo per il processo di diffusione del prodotto nel mercato, ma accade in primis all’interno dell’organizzazione stessa”: il processo di selezione delle idee e dei progetti da portare avanti, sui quali investire, può essere descritto esattamente con la stessa curva di adozione. Ci saranno coloro che, avversi al rischio, combatteranno per innovare in maniera più incrementale e sicura, esattamente come ci saranno quelli che, con un grande appetito per il rischio, si batteranno per progetti rischiosi ma ad altissimo potenziale.
“All’interno di una grande impresa, quindi, è importante saper convincere, saper vendere la propria idea e aver un buon numero di persone e di partner di supporto”: il suo consiglio è di lavorare sulla credibilità e dare visibilità sia a progetti altamente innovativi ma ad uno stato embrionale che a progetti più strutturati e chiari. Concentrarsi solo sui primi rischia di spaventare la maggioranza avversa al rischio, ignorarli completamente significa invece perdere potenziali opportunità di business alle quali i pionieri potrebbero essere interessati. Occorre sempre un bilanciamento e la capacità di cogliere il “momentum”, ovvero “quell’attimo in cui l’organizzazione è ricettiva e in movimento, pronta ad accogliere l’idea innovativa e diffonderla grazie ad un clima aziendale favorevole.”
Essere capaci di avere una visione e di portarla avanti, trovare supporter e prepararsi al futuro, selezionando strategicamente le tecnologie di oggi senza tralasciare le opportunità di domani, è quel tipo di competenza dinamica tipica dell’imprenditore.
Dalle parole di Battistini si intuisce l’importanza di preservare anche nelle grandi imprese il mindset giusto per fare innovazione: per pensarla e per realizzarla. Saper trovare il consenso delle persone e dei team che poi agiranno da veri e propri sostenitori è cruciale quando non si ha il potere decisionale finale. È un processo lungo e impegnativo, fatto di tentativi, di errori, di misure sofisticate e di prove ripetute, che coinvolge molti all’interno e all’esterno dell’impresa stessa, ma serve proprio per creare quella credibilità senza la quale non si hanno opportunità.
Il ruolo dell’open innovator è, in sostanza, quello di contribuire al disegno e all’implementazione del business futuro. Il ruolo dell’imprenditore rimane quello di decidere la direzione, la vision, ma l’obbligo del manager-innovatore è quello di tenere gli occhi aperti, saper indicare la strada da seguire senza inciampare, quali passi è meglio fare per primi e che scarpe conviene indossare. Guardare la cartina e allo stesso tempo sapersi orientare anche senza, perché si hanno i riferimenti giusti per cogliere, grazie anche ad un sesto senso che viene dall’esperienza e dagli errori precedenti, le opportunità e i pericoli. L’elemento critico dell’innovatore non è solo quindi quello di aprire un sentiero nuovo, ma anche quello di avere di fianco a sé persone che si confrontino sulla direzione intrapresa in un rapporto di fiducia reciproco e che arrivino poi a condividerne le scelte per imboccare il sentiero migliore per arrivare alla meta.
Sposando il pensiero dello stesso Michele Ferrero, per Battistini uno degli ultimi punti davvero importanti è il ruolo chiave della condivisione totale delle strategie e idee. A prescindere dalla dimensione dell’impresa e del progetto, bisogna saper trovare il giusto mix tra persone interne ed esterne, capaci di condividere un linguaggio e una visione comune ma allo stesso tempo di metterla in discussione, uscendo dalla zona di comfort se necessario. Costruirsi una costellazione di collaboratori che non si lascino intimidire dalle sfide, che si lascino stimolare e che abbiano voglia di imparare è fondamentale: “solo dove ci sono persone che sanno fare le giuste domande e capire davvero le risposte, persone oneste e affidabili, testarde e flessibili allo stesso tempo, è possibile sperimentare e creare davvero impatto, cioè innovare.”
La sua carriera lavorativa è esemplare: prima dell’avventura in Ferrero, Battistini si trasferisce da giovane negli Stati Uniti, dove inizia implementando strategie di innovazione in diversi ambiti industriali. Dopo qualche anno, la voglia di mettersi in gioco lo porta ad uscire dalle logiche della grande impresa e ad iniziare qualcosa di nuovo, nel mondo delle startup, sperimentando e imparando molto dai numerosi successi e fallimenti nell’high-tech prima e successivamente specializzandosi nell’ambito “Food and Nutrition”, che gli ha aperto le porte naturalmente verso il colosso piemontese. Oggi, ha deciso di tornare al mondo della creazione di venture innovative, attraverso la consulenza, l’individuazione e la generazione di progetti con un grande potenziale. Questo è “il bello dell’innovazione: il viaggio può prendere forme diverse, l’importante è non fermarsi mai!”
Di Alberto Di Minin e Laura Porta