#ChinaIssues con Paolo Farah: le controversie commerciali

Continuano gli appuntamenti della seconda edizione del corso China Issues che si tiene presso la Scuola Superiore Sant’Anna. Lunedì 1 aprile ci siamo occupati di controversie commerciali con Paolo Farah, Professore alla West Virginia University, John D. Rockefeller IV School of Policy and Politics (USA) e Fondatore, Presidente e Direttore di  gLAWcal – Global Law Initiatives for Sustainable Development (UK) oltre che membro del Board della European Society of International Law (ESIL)

 Nelle precedenti settimane abbiamo ospitato gli interventi di Francesco Silvestri sull’intelligenza artificiale, di Lala Hu sull’internazionalizzazione dei brand cinesi, di Romeo Orlandi sulla Cina nell’economia internazionale di Franco Mazzei sulla geopolitica della Cina, di Michele Bonino sull’urbanizzazione e di Guido Giacconi sul piano Made in China 2025

 

Paolo, quali sono i temi principali nell’ambito delle controversie commerciali?

Quando si parla di controversie commerciali solitamente si discute di determinati comportamenti di governi nazionali che influiscono, direttamente come nel caso di un incremento di dazi doganali o indirettamente ad esempio con sovvenzioni o altre tipologie di aiuti di stato, sugli obblighi assunte sotto l’egida dell’Organizzazione Mondiale del Commercio – la WTO (in italiano OMC). Nel caso di controversie commerciali i temi maggiormente discussi e che risultano anche i più problematici sono quelli legati ad industrie e settori economici o ad alto tasso di occupazione ed innovazione (acciaio, nuove tecnologie, agricoltura etc.) o considerati dallo Stato come fondamentali per lo sviluppo del paese e per la sicurezza nazionale. La recente controversia tra Stati Uniti e Cina, che, date le dimensioni e gli interessi in gioco, può essere definita come una vera e propria ‘guerra’ commerciale, è un esempio di questa commistione di diversi interessi che i due paesi cercano di tutelare. Essi includono la tutela dei lavoratori locali, la leadership nel settore delle nuove tecnologie o tecnologie emergenti come l’Intelligenza Artificiale e 5G e la riduzione del disavanzo commerciale tra i due paesi.

Bisogna ricordare che l’adesione della Cina all’OMC è avvenuta dopo 15 anni di estenuanti negoziati e alcuni dei punti fondamentali e di maggiore conflittualità come ad esempio il forte dirigismo statale degli attori economici nazionali, sono stati solo parzialmente affrontati, nella speranza anche che ‘le forze di mercato’ avrebbero aggiustato e portato le politiche commerciali del paese ad un allineamento con il neoliberismo economico. La guerra commerciale tra i due paesi mette anche a confronto due modelli di sviluppo economico in qualche modo antitetici e rivali tra loro, che difficilmente potranno raggiungere nel breve periodo una risoluzione ‘pacifica’ attraverso i canali di comunicazione e le negoziazioni tra i due paesi.

Quali sono gli aspetti più rilevanti fra le barriere non tariffarie?

Quando si parla di barriere non tariffarie al commercio, solitamente ci si riferisce a tutte quelle regolamentazioni che hanno come obiettivo o effetto di limitare ed ostacolare il corretto funzionamento del commercio internazionale. A differenza dei dazi doganali, le barriere non tariffarie sono più difficili da individuare: sia per il fatto che sotto questa definizione rientrano misure molto varie tra loro, come le misure fitosanitarie, le sovvenzioni statali, le procedure di sdoganamento, sia per il fatto che spesso gli interessi nazionali rendono i paesi membri dell’OMC poco propensi a rispettare gli obblighi di trasparenza relativi a queste misure. È interessante notare come, le barriere non tariffarie possano variare anche in base agli obiettivi preposti e alla propria natura. Alcune barriere non tariffarie sono adottate con chiari intenti protezionistici, altre con l’obbiettivo di sostenere e proteggere i settori industriali in crisi e/o supportare l’internazionalizzazione delle imprese nazionali e altre ancora, per incrementare la sicurezza dei consumatori.

Il tema delle barriere non tariffarie è inoltre un tema sensibile agli occhi dell’opinione pubblica, questo spesso rende determinate scelte di Governo quasi obbligate. Ad esempio, nel caso di una crisi di una grande azienda o nel caso della riqualificazione industriale tende a prevalere nelle scelte politiche l’interesse nazionale rispetto agli obblighi assunti in sede internazionale. Pur prevedendo eccezioni generali in cui un governo nazionale, in maniera non arbitraria o ingiustificata, può limitare il commercio per ragioni quali morale pubblica, salute, ambiente etc., recentemente stiamo assistendo ad un ricorso massiccio della clausola sulla sicurezza nazionale. Tale clausola lascia maggiore discrezionalità agli Stati l’adozione di una determinata misura.

 

Come è possibile inquadrare le negoziazioni fra Stati Uniti e Cina in seguito all’avvio della guerra commerciale?

Per tentare di inquadrare le negoziazioni tra Cina e Stati Uniti è necessario, in primo luogo, comprendere la natura bilaterale e la tendenziale novità del tipo di negoziato e, secondo il ristretto arco temporale in cui si stanno sviluppando. Solitamente in caso di negoziazioni di accordi di libero scambio si parte dal presupposto che un eventuale accordo sia teso alla riduzione di determinate barriere tra i due paesi ed a un miglioramento delle loro relazioni commerciali. In questo caso, invece, la situazione è opposta in quanto si vuole evitare l’applicazione e il mantenimento di un piano di graduale incremento dei dazi doganali su determinati prodotti. La scadenza, recentemente posticipata per permettere un esito positivo nelle negoziazioni, rende la situazione ancora più complessa in quanto un mancato accordo avrà conseguenze rilevanti non solo sul commercio tra i due paesi, ma in generale anche sui paesi partner e sulle scelte di questi paesi di produrre e/o investire negli Stati Uniti o in Cina.

Un’altra possibile ripercussione è quella che le misure protezionistiche vengano parallelamente applicate anche ad altri paesi; come nel caso dell’aumento da parte degli Stati Uniti dei dazi doganali di importazione su alluminio e ferro, dazi applicati non solo alla Cina. Queste misure protezionistiche, insieme a determinate scelte degli Stati Uniti riguardo alla nomina di nuovi giudici dell’organo di appello dell’OMC, rischiano di minare alle fondamenta il funzionamento del sistema di libero scambio. Per quanto riguarda i contenuti del possibile accordo, bisogna inoltre tenere in considerazione che l’accordo dovrà comunque essere conforme alla normativa dell’OMC e, data la natura strettamente bilaterale e non finalizzata alla creazione di un’area di libero scambio, potranno sorgere ulteriori problemi giuridici e politici.

Si è discusso molto sui possibili contenuti e sulle priorità dei due paesi, e si tende a riconoscere che gli obbiettivi principali degli Stati Uniti siano: 1) ridurre il disavanzo commerciale con la Cina attraverso maggiori esportazioni; 2) proteggere e tutelare maggiormente le aziende statunitensi che operano in Cina e soprattutto la loro proprietà intellettuale; 3) evitare quello che il paese considera il ‘forzato’ trasferimento tecnologico.

Per quanto riguarda la Cina, le priorità, o meglio, la priorità risulta essere l’eliminazione al più presto dei dazi doganali addizionali.

Un accordo è assolutamente necessario per la Cina sia in virtu’ del rallentamento della crescita economica del paese e sia per le crescenti restrizioni imposte da parte degli Stati Uniti e di numerosi governi stranieri, nei confronti delle imprese cinesi operanti all’estero come nel caso del 5G e di Huawei o, nel caso del nuovo strumento di controllo degli investimenti diretti esteri europeo.

 

Che ruolo può avere il WTO/OMC nel contesto delle attuali discussioni commerciali fra Stati Uniti, Europa e Cina?

È probabile che il contenuto dell’accordo rifletterà i problemi specifici tra i due paesi ed eventuali misure saranno implementate in maniera bilaterale e preferenziale, che dovranno superare l’eventuale vaglio dell’organo di risoluzione delle controversie dell’OMC in caso di conflitto con altri paesi. Oltre alla particolarità di questo accordo commerciale, che come visto precedentemente non è teso alla realizzazione di un’area di libero scambio e o alla liberalizzazione del commercio, un problema concreto che potrà sorgere dall’accordo sarà l’eventuale applicazione di misure discriminatorie in possibile violazione dell clausola della nazione più favorita (CNPF) o Most Favored Nation (MFN) clause. L’OMC, in questo senso, avrà la possibilità di un controllo ex-post sull’accordo e sulle eventuali violazioni degli obblighi internazionali assunti dai paesi nel contesto dell’OMC.

Il ruolo dell’OMC in questo contesto è, tuttavia, fortemente limitato anche per il fatto che, in primo luogo gli Stati Uniti, ricorrendo all’eccezione sulla sicurezza nazionale dell’Articolo XXI GATT, si sono protetti dall’eventuale vaglio dell’organo di risoluzione delle controversie dell’OMC. In secondo luogo, l’azione di ostacolo degli Stati Uniti riguardo alla nomina o alla rielezione di membri dell’organo di appello dell’OMC ha messo a serio rischio l’indipendenza nelle decisioni dei membri dell’organo di appello dell’OMC che si troveranno ad esaminare controversie riguardanti gli Stati Uniti con il rischio di una ritorsione nei propri confronti e, inoltre, se questi ritardi nelle nomine dovessero ripetersi in futuro, non permetteranno di avere la certezza di una pronta e rapida risposta in caso di controversie.

Quest’ultimo elemento influirà sicuramente sulla rapidità di una eventuale pronuncia sull’accordo e anche sullo stesso funzionamento del sistema di risoluzione delle controversie. È necessario, inoltre, ricordare che l’effettiva esecuzione delle decisioni dell’OMC è sempre basata sulla volontarietà della scelta dei paesi membri e gli Stati Uniti, in alcune precedenti circostanze, quindi non solo l’amministrazione Trump, non hanno ottemperato pienamente alle decisioni o posticipato l’ottemperamento delle stesse. Questa mancanza di volontà di applicare a pieno le decisioni dell’organo di risoluzioni delle controversie dell’OMC potrebbe diventare ancora più marcata nel caso in cui ci fosse una presa di posizione forte dell’OMC sugli accordi bilaterali eventualmente stipulati tra le parti.

Di Alberto Di Minin e Filippo Fasulo